La crisi e lo sviluppo/2La vera rivoluzione per l’Italia sarà crescere senza indebitarsi

Non sarà facile attuare un piano senza debito con la collaborazione di una popolazione che è stata “drogata” dalla spesa pubblica facile del passato. Ma l’unica strada percorribile è quella del risanamento lento e progressivo per mano di una generazione che dovrà essere attenta, capace di decidere anche misure impopolari, e frugale

Unsplash

Pubblichiamo la seconda di cinque puntate di un articolo di Giovanni Cagnoli che uscirà sul numero dell’Avanti in edicola a inizio settembre. Qui la prima.

Il momento in cui si dovrà affrontare l’annoso tema della produzione del reddito come precondizione per la sua redistribuzione è vicinissimo, ma non si vedono per nulla le politiche che ne anticipano gli effetti come visto. Tuttavia i numeri del rapporto indebitamento/pil, il decremento del pil per effetto Covid e la ripresa che sarà molto meno rapida rispetto ai Partners europei, l’asimmetria della crisi, e l’imponete massa dei trasferimenti tra generazioni, territori, e classi sociali, sono tutti elementi che impietosamente renderanno il giorno del “risveglio” particolarmente vicino e particolarmente amaro.

Ci sono ancora alcune strade quasi letali che la politica miope e populista da un punto di vista economico potrebbe tentare, ma che realisticamente il paese intero respingerà in modo concorde.

Le strade miopi sono:

  • una massiccia patrimoniale che avrebbe l’effetto di deprimere per un decennio investimenti e valori immobiliari senza peraltro incidere in modo sostanziale sullo stock di debito pubblico che sarà nel 2022 oltre 2800 miliardi di euro. Un prelievo assolutamente mostruoso in termini assoluti di 200 miliardi, porterebbe lo stock a 2600 miliardi e sarebbe ancora una volta molto asimmetrico perché dovrebbe necessariamente escludere i titoli di stato, probabilmente le aziende per evitare una crisi da crollo degli investimenti e sarebbe inevitabilmente concentrato sugli immobili deprimendone il valore in modo cospicuo e generando un crollo di investimenti nel settore.
  • un’elevata inflazione che non sarà peraltro permessa dalla BCE e dalla moneta comune Europea (anche se è a mio avviso realistico prevedere una certa maggiore tolleranza della BCE per un tasso di inflazione superiore al 2% target per qualche anno)
  • l’ipotesi di uscire dall’euro e appunto creare Iper-inflazione che ormai sostiene solo Bagnai e di conseguenza Salvini, senza alcuna base logica anche a fronte dei 209 miliardi di Recovery Fund. La conseguenza pressoché certa sarebbe poi il default ma questo non viene ammesso dai “cultori” di questa ipotesi puramente populista.
  • l’ipotesi di andare in default sul debito che sarà negata in modo definitivo dai partner europei e anche atlantici per le conseguenze sistemiche mondiali come risulta evidente dalla posizione della Germania nell’ultimo negoziato sul Recovery Fund.

In ultima analisi tutte le soluzioni miopi porterebbero prima o dopo al default sul debito, cioè all’azzeramento di tutta la costruzione statale come la conosciamo e alla penalizzazione violentissima e ineludibile delle classi più deboli (pensionati in primis) E l’effetto di secondo ordine di una giungla di “nuovi privilegi” concentrati nei pochissimi che potranno godere di Monopoli e rendite di posizione. Uno scenario più venezuelano che argentino che non sembra dispiacere a qualche esponente 5 stelle e che dovrebbe essere all’opposto quanto di peggio si possa anche solo immaginare per una forza politica genuinamente di sinistra.

Quindi residua l’unica strada percorribile che è quella del risanamento lento e progressivo in una generazione che dovrà essere attenta, capace di decidere anche misure impopolari, e “frugale”. Un salto di consapevolezza e lungimiranza epocale dopo 40 anni di spesa come se non ci fosse limite, nessuna capacità di decisioni impopolari nella classe dirigente, e minima attenzione alle conseguenza dei trasferimenti tra classi e generazioni.

Il redde rationem passa inesorabilmente dalla priorità del lavoro e della creazione di ricchezza prima di ogni attività redistributiva. Dare priorità al lavoro significa orientare per la prima volta la spesa dello stato in modo prioritario sulle politiche che possano creare lavoro e sviluppo economico , in modo decisamente prioritario rispetto all’assistenza e al welfare nella consapevolezza (che andrà resa collettiva) che il lavoro e lo sviluppo creano  le premesse per sostenere welfare, sanità e scuola.

L’assenza della dimensione “indebitamento” è una rivoluzione copernicana nella politica italiana e sarà ineludibile a brevissimo. Non sarà invece facile trasferire alla popolazione che è stata “drogata” da spesa pubblica facile che si deve cambiare registro. È un po’ come dire in famiglia che improvvisamente la festa è finita. Si cercheranno colpevoli esterni e forse non si riuscirà a rendere tutti consapevoli che non ci sono alternative con tutti i rischi di un populismo negazionista sulla realtà economica che fronteggeremo e che voglia andare su una delle soluzioni miopi e tragiche nelle conseguenze ultime viste sopra.

2. Continua