La rabbia dopo la pauraPronto il nuovo libro su Trump di Bob Woodward, se va bene sarà l’ultimo

Si intitolerà “Rage” e racconterà le ultime fasi dell’amministrazione di fronte a proteste e pandemia. Ci saranno documenti inediti, come le lettere tra il presidente e Kim Jong-un, in cui si può cogliere tutta l’intesa tra due leader che non amano la democrazia

Brendan Smialowski / AFP

Non sarà l’ultimo in ordine di tempo, ma con ogni probabilità sarà quello definitivo. Il secondo libro del celebre giornalista americano Bob Woodward su Donald Trump si intitolerà “Rage” (rabbia), uscirà il 15 settembre e sarà un affresco complessivo, completo e ricco di novità sull’amministrazione Trump.

Il primo, “Fear” (Paura), era uscito nel 2018, a quasi due anni dall’insediamento e poco prima delle elezioni di midterm. Fu subito un bestseller, uno dei primi del nuovo genere (reportage e studi sulla pessima gestione dell’Amministrazione Trump), preceduto da “The Fire and the Fury”, del giornalista Michael Wolff, e seguito da una serie di resoconti da parte di ex funzionari, licenziati e cacciati dalla furia del commander-in-chief.

Tra gli ultimi il più preciso – e letale – è senza dubbio “The Room Where It Happened”, di John Bolton, ex consigliere per la Sicurezza Nazionale, seguito da “Too Much and Never Enough” di Mary Trump, che invece esplora il coté familiare, anche quello disastroso.

Tuttavia quello di Woodward promette, con una serie di documenti ancora inediti, ore e ore di conversazioni, interviste, accompagnate da documenti esaminati di persona, di essere “il” libro su Trump.

Se avrà lo stesso effetto che ebbe “Fear” – la vittoria dei Dem alle elezioni – potrebbe anche chiudere la stagione più assurda della politica americana.

Stavolta il suo asso nella manica (nel volume precedente erano gli asssistenti del presidente che toglievano i documenti dal tavolo a sua insaputa per evitare che prendesse decisioni pericolose) sarebbero 25 lettere della corrispondenza tra Donald Trump e il leader nordocoreano Kim Jong-un.

In una di queste il dittatore asiatico descrive il loro rapporto come «qualcosa che sembra uscito da un film fantasy», ma il tono generale è quello di un minuetto, una danza di cortesie e simpatie che, del resto, era già risultata evidente dalle immagini dei loro incontri.

Il tentativo (finora non riuscito) di normalizzare i rapporti tra i due Paesi è stato uno dei punti più significativi dell’Amministrazione americana, forse più del muro con il Messico.

Non solo. Rispetto al libro del 2018, stavolta Trump e il suo staff si sono dimostrati collaborativi nei confronti del giornalista del Watergate.

Anzi, il presidente ha scelto di farsi intervistare più volte, cercando di offrire al reporter «una finestra sulla sua mente», come dice la casa editrice.

Il risultato è un resoconto con nuovi elementi sulle prime decisioni e sulle ultime difficoltà incontrate dall’inquilino della Casa Bianca, cioè la reazione alla pandemia e alle settimane di proteste. «La sua risposta a questi problemi è stata basata sull’esperienza maturata nei suoi tre anni al potere», continua la Simon & Schuster. E questo spiegherebbe perché siano state del tutto inefficaci.

In ogni caso Woodward ci tiene a mantenere un profilo imparziale. Lo spiega al Guardian: «Ho riportato quello che è accaduto davvero. Troppe persone hanno perso la capacità di mantenere la giusta prospettiva, non hanno più equilibrio emotivo quando si tratta di Trump».

Lui fa una cosa, cioè giornalismo. «Il mio lavoro. Porto le prove, solide come la roccia, di quello che succede. Ecco i documenti, le note. Non ci sono solo le frasi, ma anche dove sono state dette, dove si sono incontrati e soprattutto cosa è successo». Di fronte ai fatti, «sarà il sistema politico a rispondere».

Oppure il sistema elettorale. “Rage”, come del resto “Fear”, trae il suo titolo da una conversazione che il giornalista aveva avuto con Trump ancora nel 2016, quando era uno dei candidati alla nomination. «Io faccio uscire la rabbia delle persone, da sempre. Non so se sia un vantaggio o uno svantaggio. È così e basta».

Però, aggiunge, «porto anche molta unità. Tanta gente, che mi ha odiato come non ha odiato mai nessuno, una volta che gli è passata, è diventata mia amica».

Da politico, a quanto pare, il meccanismo si deve essere nceppato: dopo quattro anni con lui alla Casa Bianca, l’America è più divisa e spaventata, oltre che in preda a un’epidemia che non sa risolvere. Le violenze sono in crescita e la simpatia per il presidente, chissà perché, non è ancora scattata.

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