Pubblicato originariamente da Courrier des Balkans
In Piazza Vittoria, nel centro di Atene, le coperte sono nuovamente stese sotto i gelsi. «Queste immagini ricordano quelle del picco della crisi migratoria nel 2015 e nel 2016. La situazione è spaventosa, lo stato dovrebbe fornire loro una sistemazione e non costringere i residenti del quartiere a vedere questi rifugiati dormire per strada», denuncia un barista. Dall’inizio di giugno, circa un centinaio di rifugiati arrivano ogni giorno dalle isole dell’Egeo settentrionale, di fronte alla Turchia, e si accampano a temperature torride sulla piazza nota da anni come punto di incontro per i passeur. È il risultato della nuova normativa sull’asilo, approvata lo scorso novembre dalla maggioranza conservatrice, ma la cui applicazione è stata ritardata a causa dell’epidemia di coronavirus.
La nuova legge riduce da sei a un solo mese il periodo durante il quale i rifugiati a cui è stato concesso asilo possono soggiornare nei campi e negli appartamenti gestiti dall’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR) nell’ambito del programma di alloggio ESTIA. Anche gli aiuti finanziari terminano dopo un mese. Più di 11.200 rifugiati rischiano quindi di essere sfrattati dagli alloggi o dai campi in cui hanno vissuto fino ad ora.
Il direttore del campo di Moria, ad esempio, stima che nel solo mese di giugno 1.215 richiedenti asilo abbiano già lasciato il centro di identificazione e accoglienza. Seduto a gambe incrociate su un sottile plaid grigio, Hamid, dall’Afghanistan, è arrivato ad Atene due settimane fa dall’isola di Lesbo con la moglie e tre figli. «A Lesbo la situazione non era certo ideale, ma qui è anche peggio. Siamo in strada senza alcun aiuto… Dov’è lo stato greco? Dove sono le Ong?», esclama addolorato. “Siamo stati riconosciuti come rifugiati, pensavamo che ciò ci avrebbe dato accesso a determinati diritti ma siamo trattati come appestati.
Quando lui e la famiglia sono arrivati ad Atene, la polizia li ha trasferiti al campo rifugiati di Corinto, ma il direttore alla fine li ha informati che il campo era pieno e che non potevano accoglierli. «Siamo tornati al punto zero, Piazza della Vittoria, dopo solo due giorni. Non è stato pianificato nulla per noi, ci trasportano da un campo all’altro senza organizzazione», sospira Hamid, che accetta poi il cibo distribuito da un religioso pakistano, l’Imam Atta Ul-Naseer, e dai suoi fedeli.
A Lesbo, dove Hamid ha vissuto per più di un anno in una roulotte nel centro di Karatepé, era riuscito a fare tutte le pratiche necessarie, ottenendo un codice fiscale, indispensabile per affittare un appartamento, e il certificato di previdenza sociale, che fornisce l’accesso all’assistenza gratuita. Ma nonostante questo, non riesce a trovare alloggio. «Tutti i proprietari ci chiedono almeno 500 euro per un piccolo appartamento, non abbiamo più assistenza finanziaria dall’inizio di giugno e dobbiamo versare anticipatamente una caparra per firmare il contratto di affitto e per poi poter usufruire dell’assistenza abitativa», racconta il 30enne, ex tassista di Kabul.
A chi viene riconosciuto lo status di rifugiato viene data la possibilità di fare domanda per il programma HELIOS, istituito dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), che consente di seguire corsi di greco, di essere sostenuti nella ricerca di lavoro e di beneficiare di un’indennità per l’alloggio. Ma riguarda un massimo di 3.500 persone e il processo è complicato: ci si aspetta che i rifugiati aprano un conto in banca, trovino un alloggio da soli, firmino il contratto di affitto in modo che possano ricevere l’aiuto.
Secondo un sondaggio delle associazioni Refugee Support Aegean (RSA) e PRO ASYL, condotto nel giugno 2020, sono 2.484 tra le persone a cui è stato concesso asilo dall’inizio del 2018, ovvero solo il 4% dei rifugiati riconosciuti, sono state integrate nel programma HELIOS … Roya e i suoi cinque figli sono anche loro originari dell’Afghanistan. Dormono in Piazza Vittoria solo da due giorni ma sono già sconvolti e preoccupati. «Non sapevo dove andare quando sono arrivata al porto del Pireo, abbiamo sentito che a piazza Vittoria vi erano vari rifugiati e che le autorità li avrebbero incontrati per trovare un alloggio. Ma non vedo alcun aiuto», si lamenta questa donna con gli occhi tirati, esausta dal caldo.
La polizia cerca di trasportare settimanalmente le famiglie nei campi intorno ad Atene, ma a Schisto, Skaramangas, Elaionas e Malakassa i posti mancano. Secondo l’Ong RSA, tensioni sono emerse anche la sera del 4 luglio quando le forze dell’ordine hanno tentato di trasportare con la forza i rifugiati al centro di detenzione di Amygdaleza. Volontari e rifugiati sono stati arrestati e trasportati alla stazione di polizia. Il rapporto RSA evidenzia anche le pessime condizioni in cui i rifugiati vengono accolti nei campi già pieni.
A Elaionas devono dormire in tende anguste fuori dal campo; ad Amygdaleza il centro è completamente chiuso e le famiglie non hanno facile accesso alle docce, ai medici e all’essenziale per i propri figli (pannolini, latte, ecc.). Al municipio di Atene si teme che possano sorgere tensioni tra residenti e rifugiati, e si cerca una soluzione. Durante l’ultima riunione del consiglio comunale, è emersa l’idea di un dormitorio di transito per circa 500 profughi delle isole, costruito vicino al campo di Elaionas, nel nord-ovest di Atene. Nel frattempo, Roya sta meditando. «A Moria ho resistito per tredici mesi tra la sporcizia e l’insicurezza. La mie forze diminuiscono… Devo rimanere forte per i miei figli ma sto perdendo la speranza. Qual è il nostro futuro in Grecia? Di cosa vivranno i miei figli?».
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