«Non basta una collezione di progetti già presenti nei cassetti». Né «un catalogo di spese» o una «raccolta di esigenze ed emergenze». Il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, in audizione davanti alle commissioni Bilancio e Politiche Ue di Camera e Senato, riporta la politica italiana al lavoro dopo la pausa estiva, fornendo paletti e istruzioni d’uso per passare l’esame di Bruxelles e ottenere i 209 miliardi del “Recovery and resilience facility”, la parte più importante del “Next generation Eu”. Ricordando per giunta a tutti che a disposizione dell’Italia, e pure subito, ci sarebbero anche i 36 miliardi della linea di credito del Mes destinati alla sanità. Che «non hanno niente a che fare con la Troika».
Quello che si sa, per ora, è che sulla scrivania del ministro Enzo Amendola si sono accumulati 534 progetti. Il 9 settembre è convocato il Comitato per gli affari europei (Ciae) per stilare le linee guida del piano, che il Parlamento poi dovrà discutere a fine settembre insieme alla Nadef (Nota di aggiornamento al Def). Ed entro il 15 ottobre, poi, le prime bozze del Recovery Plan italiano dovranno essere inviate a Bruxelles.
Questa la tabella di marcia, che ora dovrà essere riempita con progetti e riforme. Perché «i piani nazionali di ripresa e di resilienza», ha precisato Gentiloni, «non saranno redatti a Bruxelles, tantomeno imposti dalle autorità europee, a differenza dei piani di aggiustamento macroeconomico che hanno coinvolto alcuni Paesi nella crisi finanziaria del decennio scorso». Ma «guai a pensare che usiamo questi 200 miliardi per ridurre le tasse».
La palla passa quindi in mano al governo e al Parlamento. Ma ci saranno delle priorità da seguire. «Deve essere chiaro che la Commissione non è un intermediario finanziario che trasferisce le risorse a scatola chiusa», ha detto Gentiloni. Bisogna «garantire la coerenza dei piani sia con le priorità comuni dell’Unione sia con il mix di riforme e investimenti necessari».
Tre gli assi sui quali dovrà muoversi il piano nazionale. Il primo è la transizione ambientale: oltre il 35% delle risorse sarà vincolato a misure green, secondo il principio stabilito a luglio del «Do no harm», «Non fare danni». A seguire, la sostenibilità sociale e la resilienza, con le misure che riguardano educazione, sanità e lavoro. E infine la transizione digitale. Queste tre priorità andranno poi mixate con le raccomandazioni che la Commissione ha fatto all’Italia negli ultimi anni: aumento della crescita e della produttività, digitalizzazione, riduzione dei tempi della giustizia civile, investimenti in scuola e ricerca, aumento del tasso di occupazione per giovani e donne.
«La Commissione chiede che il governo elabori il piano nazionale nel quadro di queste priorità», ha spiegato Gentiloni, ma non per varare un «catalogo di spese», bensì «per prendere decisioni sulle riforme e gli investimenti della cui necessità ci occupiamo da tempo». Oggi, ha sottolineato più volte il commissario, «abbiamo risorse e spazio di bilancio per affrontare queste strozzature. Non è stato così negli ultimi decenni. Se non affrontiamo oggi questi problemi annosi, il rischio è che non lo facciamo più».
Ma non basterà fare l’elenco delle emergenze italiane per vedersi erogare i soldi europei. «Serve il coraggio di scegliere e guidare questa ripresa. Bisogna fare lo sforzo di dire che usiamo queste risorse non per tornare all’economia precedente ma per riconvertirla».
Al governo restano 45 giorni per seguire le direttive. E la sensazione è che si sia già accumulato parecchio ritardo. Entro la metà di ottobre il governo dovrà inviare a Bruxelles le prime bozze con le indicazioni degli obiettivi generali, le linee di intervento e le priorità.
Dopo il primo passaggio, la presentazione finale dei piani dovrà avvenire entro la fine di aprile del 2021. «L’incoraggiamento», ha detto Gentiloni, «è, dove possibile, di presentarli in forma definitiva anche prima della scadenza». Una volta presentato il piano, la Commissione europea avrà otto settimane per proporre al Consiglio l’approvazione del documento. E il Consiglio a sua volta, dopo una discussione «esaustiva», avrà quattro settimane per approvarlo, non all’unanimità, ma a maggioranza qualificata. Questi i passaggi. Da quando il piano sarà presentato ufficialmente, ci vorranno quindi almeno due-tre mesi per l’approvazione. Tradotto: prima si presenta il piano, prima arriveranno i soldi.
Con l’ok del Consiglio, «ci sarà una prima erogazione del 10% dell’ammontare della quota del Recovery», ha spiegato Gentiloni. Circa 20 miliardi, che il governo vorrebbe già incorporare nella legge di bilancio come leva per gli investimenti, ma che non sarebbero però immediatamente disponibili. Le altre erogazioni avverranno poi a cadenza semestrale, due volte l’anno. Ma non saranno automatiche, bensì la commissione valuterà di volta in volta il raggiungimento dei risultati e il rispetto dei tempi individuati nel piano. Insomma, si controllerà se i soldi saranno spesi in linea con quanto previsto nel piano.
Nel 2020, quindi, del Recovery Fund non arriverà nulla. «Non c’è nessuna trattativa per avere qualche anticipo», ha precisato Gentiloni. Entro la fine dell’anno, arriveranno i 27 miliardi del programma Sure per il sostegno all’occupazione. E anche quelli del React-Eu per rispondere alle conseguenze immediate della pandemia, dalla povertà al sostegno alle piccole e medie imprese, che saranno disponibili già nell’ultimo trimestre di quest’anno: 47 miliardi, di cui 15 dovrebbero arrivare nelle casse italiane.
E poi ci sono i 36 miliardi del Mes, spina nel fianco del governo. Sul tema Gentiloni è stato chiaro: il fondo salva Stati «consentirebbe prestiti fino al 2% del Pil per ciascun Paese, finalizzati al tema sanitario. È fondamentale per rafforzare la resilienza dei sistemi sanitari e dobbiamo farlo adesso alla luce della crisi». Chiarendo che «le condizionalità macroeconomiche che hanno caratterizzato l’azione Mes nella crisi precedente sono state eliminate per queste linee di credito straordinarie», con un emendamento al regolamento del 2013, in modo da «chiarire in modo definitivo che i Paesi che ne beneficeranno non sono tenuti a nessuna forma di reporting». I prestiti sarebbero «immediati», è il messaggio del commissario. «Basta comunicare la finalizzazione delle linee di credito che chiede di attivare».
Meglio non farsi sfuggire l’occasione, è il messaggio. E soprattutto per «Paesi con tassi di interesse più elevati si tratta di un vantaggio». E se il Ministero dell’Economia «ha valutato in alcuni miliardi il vantaggio per il bilancio italiano del prestito Sure», a cui tutti hanno applaudito, nel caso del Mes, ricorda Gentiloni, «sarebbe di 6 o 7 miliardi maggiore». Ma, avverte, «i tempi per chiederlo non sono illimitati: la proposta è valida solo per due anni». Il governo italiano è avvertito. Anche perché i primi soldi del Recovery Fund non si vedranno prima di giugno 2021.