«I vini di Sting affidati alla star degli enologi Riccardo Cotarella», così titolava solo qualche giorno fa il quotidiano La Nazione nel riportare il cambio della guardia appena avvenuto all’interno della cantina toscana del famoso cantautore inglese. La settimana successiva è stata WineNews a dare una notizia simile: «Ecco il vino di Brunello Cucinelli: quattro varietà e una sola etichetta firmata Riccardo Cotarella». Personalità che si affiancano a quelle di Bruno Vespa, proprietario insieme ai figli della Vespa Vignaioli, in Puglia, e di Massimo D’Alema della Cantina La Madeleine, in Umbria, tutte legate da un filo conduttore comune: quello del più famoso enologo italiano.
L’enologo è quella figura professionale che in cantina si occupa di tutte le fasi relative alla produzione del vino. Una persona con una solida preparazione agronomica il cui lavoro su una specifica etichetta inizia con la vendemmia e finisce con l’imbottigliamento, anche molti anni dopo. Uno specialista – in Italia l’accesso alla professione richiede la laurea triennale di primo livello relativa al settore vitivinicolo – che si occupa quindi della produzione dell’uva e della definizione del suo protocollo di lavorazione, della valutazione della qualità del vino in fase di affinamento e in parte di quelle strategie di marketing che portano al suo posizionamento, una volta commercializzato.
Un professionista che nell’immaginario collettivo viene spesso solo affiancato a realtà medio grandi, come se enologo fosse sinonimo o quasi di vini industriali. Non è così, sono tantissimi quelli che lavorano con cantine piccole o piccolissime, altrettanti i produttori che potrebbero farne a meno e che invece si affidano a loro anche solo per una consulenza a distanza, o quasi. Una figura molto trasversale quindi, il cui lavoro non è possibile racchiudere così facilmente in una sola e unica definizione, anche se la sua omonima parola in inglese funziona molto bene: winemaker.
Riccardo Cotarella è nato a Monterubiaglio, in provincia di Terni, nel 1948. Ha studiato a Conegliano, in Veneto, nella storica e prestigiosa scuola enologica. Ha fondato con il fratello Renzo la Falesco, oggi una delle più importanti realtà vitivinicole dell’Umbria. Soprattutto nel 1981 ha costituito la sua società di consulenze, di cui ancora oggi è direttore generale. Una realtà che si avvale di 12 collaboratori tra enologi ed agronomi, team che lavora in tutta Italia e in parte anche all’estero affiancando le aziende dalla fase di produzione fino alla comunicazione dei vini una volta pronti.
Si tratta di una realtà molto grande per il suo genere, che lavora con oltre 70 cantine in tutta la Penisola anche se il grosso è concentrato fra Umbria, Toscana, Puglia e Campania. Alcuni nomi: Codice Citra in Abruzzo, Montevetrano e Villa Matilde Avallone in Campania, Torre Rosazza in Friuli-Venezia Giulia, Villa Crespia in Lombardia, Moncaro nelle Marche, Cantina Due Palme e Leone De Castris in Puglia, Baglio del Cristo di Campobello in Sicilia, Castello di Volpaia e Tenute del Cerro in Toscana, Cantina Monrubio e Terre De La Custodia in Umbria, Monte Zovo, Tenuta Sant’Anna e Villa Sandi in Veneto.
Un numero talmente grande che negli anni ha portato a un certo numero di critiche. Non è per esempio un segreto che in molti definiscano Cotarella come il “re del merlot” data la sua spiccata predilezione per questo vino/vitigno internazionale così noto e così diffuso. Tantissime le cantine che sotto la sua guida hanno puntato in modo deciso su vini che cercano proprio nel merlot il loro tratto distintivo spesso a scapito di varietà meno note, magari più difficili da lavorare ma al tempo stesso tipiche dell’area in cui venivano coltivate.
La cantina di Massimo D’Alema si trova per esempio nell’areale del ciliegiolo, varietà che nella zona di Narni trova alcune delle espressioni più felici del Centro Italia, ma è conosciuta soprattutto per vitigni internazionali come il cabernet franc e il pinot nero. La futura cantina di Brunello Cucinelli ha annunciato un solo vino a base di sangiovese, montepulciano, merlot e cabernet sauvignon, tutte varietà che è possibile trovare nella tradizione del territorio ma che in questo contesto appaiono più frutto di un preciso modello enologico che di una ricerca storica. È questo il problema con alcuni degli enologi più famosi: in alcuni casi assaggiandone i vini si avverte la loro mano, come se il loro tratto stilistico prevaricasse altre caratteristiche fondamentali per ogni vino come la riconoscibilità territoriale.
A questa intensa attività di consulenza, Riccardo Cotarella ne affianca un’altra altrettanto significativa sul fronte istituzionale: è presidente dell’Union Internationale des Œnologues, federazione che raggruppa e rappresenta a livello mondiale le associazioni nazionali professionali dei tecnici del settore vitivinicolo, e di Assoenologi, la più importante associazione italiana di categoria. È inoltre docente del corso di laurea in enologia presso l’Università della Tuscia di Viterbo.