Martedi si è concluso il primo viaggio in Europa dallo scoppio della pandemia del ministro degli esteri cinesi, Wang Yi. Gli obiettivi principali erano due: il primo, dichiarato, era rilanciare il supporto e la cooperazione tra la Cina e i paesi europei per uscire dalla crisi economico-sanitaria causata dal coronavirus. Il secondo scopo, non dichiarato, mirava a convincere i principali stati europei a non cedere alle pressioni americane sulla questione del 5G.
Il tour di Wang, infatti, seguiva la visita in Europa orientale di Mike Pompeo, segretario di Stato americano, che aveva sorvolato l’Atlantico per creare un blocco europeo compatto, riaffermando la necessità di evitare l’utilizzo delle tecnologie cinesi di Huawei perché rappresentano una possibile minaccia per la sicurezza.
Nel viaggio che lo ha portato in Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Francia e Germania, Wang ha affrontato vari temi come la situazione di Hong Kong e della comunità Uigura, il premio Nobel, il nucleare e i rapporti con l’Unione europea. Da subito la Cina si è presentata come il paese che non desidera una nuova “guerra fredda”, ma che sposa i valori del multilateralismo e del libero scambio. Il riferimento – neanche troppo velato – era agli Stati Uniti e al loro tentativo di compattare il fronte europeo in una lotta commerciale e tecnologica contro la Cina.
La missione diplomatica cinese aveva l’ulteriore fine di preparare l’incontro (virtuale) che si terrà il 14 settembre tra Xi Jinping e il Consiglio europeo. Alla presenza dei 27 capi di stato e di governo europei, l’Unione europea guidata dalla Merkel – la Germania ricopre il semestre di presidenza del Consiglio Ue – cercherà di trovare un’intesa sugli investimenti in Cina: Bruxelles desidera ottenere un maggiore accesso ai mercati cinesi e condizioni commerciali più equilibrate. La Cina è accusata dall’Europa di mancanza di reciprocità poiché essa difende il mercato interno dalle imprese estere più di quanto faccia l’Ue nei confronti di Pechino.
La prima tappa di Wang è stata in Italia confermando il rapporto speciale che lega i due paesi da marzo 2019, quando il Belpaese – primo e unico paese del G7- ha firmato il Memorandum d’intesa della Nuova Via della Seta con la Cina. Pur rivendicando il “ruolo di ponte” che l’Italia cerca di svolge tra Cina e Stati Uniti, il ministro degli Esteri Di Maio ha assicurato che l’Italia «terrà fede alla proprie alleanze storiche» che sono «ben salde e più forti che mai». Un notevole cambiamento quello annunciato da Di Maio, dacché nemmeno 12 mesi fa proclamava per l’Italia un approccio «di non ingerenza» negli affari di Hong Kong: esattamente la linea politica seguita dal Partito comunista cinese.
«Wang Yi ha trovato un clima molti diverso rispetto a solo 18 mesi fa poiché il sentimento sulla Cina è completamente mutato in Italia» afferma a Linkiesta.it Lucrezia Poggetti, analista presso il centro di ricerca sulla Cina Merics. «Lo dimostrano gli sviluppi sulla gestione del 5G e la lettera firmata dai membri di 5 partiti italiani, dove si chiedeva a Di Maio di sollevare la questione di Hong Kong durante il vertice con la delegazione cinese».
Inoltre, mentre i due ministri si confrontavano a Villa Madama, davanti alla sede della Farnesina si è svolta una manifestazione di protesta contro la legge sulla sicurezza nazionale introdotta da Pechino. Giunto da Londra, tra i partecipanti c’era anche Nathan Law, uno dei più noti attivisti per l’indipendenza di Hong Kong.
Proprio le preoccupazioni sulle violazioni dei diritti umani nello Xinjiang e sul futuro di Hong Kong sono state al centro dell’incontro che Wang ha avuto nei Paesi Bassi con l’omologo Stef Blok. In più, a margine del bilaterale il parlamentare olandese Martjin Helvert, membro di una associazione interpartitica (IPAC) che cerca di favorire riforme democratiche in Cina, ha ufficialmente invitato Wang ad un incontro col comitato affari esteri olandese per discutere di diritti umani. La delegazione cinese ha rifiutato l’invito e si è anche molto risentita per la presenza al meeting di due componenti della comunità uigura, scappati dai centri di detenzione cinesi.
Il vero obiettivo per la Cina nella tappa olandese era sbloccare lo stallo su ASML: il governo olandese, cedendo alle pressioni americane, a gennaio aveva bloccato un ordine di 150 milioni di dollari diretto a Pechino. ASML è leader nella produzione di macchinari per la fabbricazione di chip e la fiorente industria cinese dei semiconduttori necessità di questa commessa per poter ridurre la dipendenza dai fornitori americani. Nonostante la Cina lamenti una politicizzazione di rapporti commerciali, il governo locale non ha attualmente intenzione di rinnovare la licenza per esportare questi macchinari, che essendo potenzialmente utilizzabili per scopi militari richiedono un’autorizzazione statale per l’esporto.
Wang è poi volato in Norvegia, unico paese del suo tour non membro dell’Unione europea, dove ha chiarito che «non vi è certezza sull’origine cinese» del Covid-19. Si è trattata di una visita storica poiché il ministro degli Esteri cinese non visitava la Norvegia dal 2006. Tra il 2010 e il 2016 i rapporti diplomatici si erano interrotti: la Cina non aveva gradito che il comitato del premio Nobel per la pace – che si riunisce a Oslo – avesse assegnato il premio all’attivista e dissidente Liu Xiaobo, morto poi nel 2017 ancora sotto regime di detenzione.
La presenza di Wang in Norvegia era proprio legata al Nobel per la pace. Si vocifera infatti che tra i candidati, che non vengono mai resi noti in anticipo, per il premio del 2020 vi sia il movimento pro-indipendenza di Hong Kong. Determinato a evitare che ciò avvenga, Wang ha ricordato che la Cina «rifiuterà con forza ogni tentativo di usare il Nobel per la Pace per intervenire negli affari interni della Cina».
Nel bilaterale tra Francia e Cina si è parlato molto di 5G e dall’Eliseo Macron ha detto di preferire una soluzione europea. «Voi fareste esattamente come me» ha spiegato a Xi Jinping in un colloquio telefonico. Rispetto alla linea britannica su Huawei, la Francia ha scelto un approccio più moderato ma dal risultato simile: non sarà infatti proibito l’utilizzo della tecnologia della società di Shenzhen, ma gli operatori francesi che ne dispongono avranno una licenza ridotta a soli otto anni. Un accordo per proseguire insieme i due paesi lo hanno trovato nell’industria nucleare, dove i rapporti francesi con Pechino risalgono ai primi anni del 2000.
Di tecnologia, invece, non si è parlato a Berlino, dove il ministro degli esteri tedesco Maas ha chiesto che il principio «un paese, due sistemi sia pienamente applicato» e che le elezioni parlamentari ad Hong Kong si svolgano «rapidamente e senza ostacoli». Riferendosi alle parole cinesi sulla visita a Taiwan di una delegazione ceca, ha poi ammonito che l’Unione «ha creato una cassetta degli attrezzi comuni» per imporre sanzioni alla Cina.
Poggetti ricorda che l’Unione «forte di essere il primo partner economico di Pechino, è oggi molto determinata a far valere questo suo peso per proteggere le sue infrastrutture digitali, ampliare i suoi benefici commerciali e difendere lo statuto di Hong Kong». Infine nonostante la Cina stia dando all’Europa un’attenzione senza precedenti nella speranza che faccia da contrappeso alle pressioni della Casa Bianca, Wang Yi ha sperimentato in prima persona il danno alla reputazione cinese causato dalla pandemia».