ScetticismoQuelli che vogliono cancellare il filosofo Hume, ma non sanno che senza di lui non esisterebbero

Dopo le proteste e le petizioni del movimento Black Lives Matter e degli attivisti britannici per le minoranze, il nome dell’illustre pensatore illuminista è stato tolto da una Torre dell’Università di Edimburgo, in attesa che le autorità scozzesi prendano una decisione definitiva

Afp

«David Hume mi ha svegliato dal sonno dogmatico della ragione», scrisse Immanuel Kant. Bertrand Russell lo definì «un termine estremo: in quella direzione è impossibile andare oltre». Si riferiva a quell’idea secondo la quale non c’è in realtà una prova certa che gli oggetti al di fuori di noi esistano davvero o non siano piuttosto una mera proiezione della nostra mente. Voltaire, che pure di Hume era amico, per uscire da quel dilemma non trovò di meglio che cavarsela con una battuta: «dopo una battaglia, dovremmo dire che sembra che diecimila uomini siano stati uccisi».

«La Storia dell’Inghilterra di David Hume è stato il manuale della mia adolescenza», raccontò Winston Churchill. E cosa è infatti quella famosa battuta dello stesso Churchill secondo cui «la democrazia è il peggior sistema di governo eccettuati tutti gli altri», se non una generalizzazione di quella definizione di Hume per cui l’Inghilterra forse «non godeva del migliore sistema di governo», ma perlomeno aveva «il più completo sistema di libertà mai visto dal genere umano»?

Eppure, il pensatore antidogmatico, scettico, radicale e difensore della libertà adesso è finito pure lui nel tritacarne del Black lives matter. Definito «razzista» e «schiavista», il suo nome è stato tolto da una Torre della Università di Edimburgo che gli era stato dedicata, e che serve da biblioteca. Misura temporanea, a dire il vero, in attesa che le autorità prendano una decisione definitiva. Per questo l’istituzione non è stata ribattezzata, e sarà provvisoriamente indicata con la semplice indicazione dello stradario: 40 George Square.

In 1700 hanno infatti firmato una petizione di studenti passata per Internet in cui si lanciava contro Hume un anatema: «ha scritto epiteti razzisti». Ex professore a Edimburgo ora passato a Oxford, Felix Waldman aveva definito Hume «sfacciatamente razzista» dopo la scoperta di una lettera in cui il filosofo dava il consiglio di investire in una piantagione con schiavi. «Nessuno sta esigendo che cancelliamo David Hume dalla storia», ha concesso la studentessa iniziatrice della campagna Elizabeth Lund. «Tuttavia non dovremmo stare promuovendo la figura di un uomo che ha difeso la supremazia bianca».

«Vergognatevi», è la risposta che il docente emerito di Edimburgo Sir Tom Devine ha dato: in particolare al rettore Peter Mathieson. Lo stesso Devine ha dato dei commenti a caldo che in effetti potrebbero essere applicati a tutta l’escalation di casi del genere che si è verificata dopo la morte di George Floyd: evento che secondo lo stesso ateneo è alla base della decisione. «Agli studenti di Storia si insegna a non cadere mai nel peccato intellettuale del giudizio anacronistico, cioè di imporre i valori di oggi a quelli del passato», ha ad esempio ricordato. Che sarebbe di per sé abbastanza definitivo. Ma ha anche aggiunto su Hume, «la mente filosofica più grande che mai abbia prodotto la Scozia»: «nell’anno della lettera di David Hume sulle piantagioni non c’è evidenza che nessun gruppo in Scozia si opponesse alla schiavitù nelle colonie». Insomma, «fu un uomo del suo tempo: né migliore e né peggiore di qualunque altro scozzese dell’epoca».

Ma in difesa di Hume è sceso anche Asanga Welikala: docente di diritto pubblico alla stessa Università di Edimburgo e copresidente del The Arthur Berriedale Keith Forum on Commonwealth Constitutionalism. Srilankese di origine, non solo si è detto «non d’accordo con la decisione», ma ha pure spiegato che è stato proprio il pensiero di David Hume a ispirarlo «in una carriera di 20 anni a lavorare per promuovere la democrazia costituzionale in Asia, Medio Oriente e Africa».

Ecco. Un punto su cui in questi ultimi mesi si è molto insistito è che un personaggio che ha fatto la storia del pensiero e della cultura dovrebbe essere giudicato per quel che ha apportato su quel campo. Senza tacere ovviamente sui particolari biografici imbarazzanti: ma Pier Paolo Pasolini resta un gigante anche se aveva con minorenni comportamenti tuttora considerati reato, Pablo Neruda anche se confessò di aver stuprato nello Sri Lanka una donna delle pulizie tamil, Paul Verlaine anche se sparò a Rimbaud e cercò di dare fuoco a sua moglie, Arthur Rimbaud anche se divenne mercante di armi e acquirente di schiavi, Benvenuto Cellini e François Villon anche se furono assassini confessi e Cellini pure ladro, e non ha senso cancellare nomi di biblioteche o abbattere statue per questi motivi.

Più ampio è il discorso che comunque un personaggio va riportato al contesto della sua epoca. Tornando ai personaggi citati, Pasolini, Neruda, Verlaine, Cellini e Villon in effetti violarono anche i codici penali del proprio tempo: infatti Pasolini ebbe vari problemi, Verlaine e Cellini finirono dentro, Villon sparì in modo misterioso; ma Rimbaud si prese come domestico uno schiavo in un contesto geografico e culturale in cui non c’erano altre possibilità di “assumerne” uno; Hume come Aristotele difese la schiavitù in un contesto dove era ammessa; e lo stesso Hume come Voltaire sostenne l’ineguaglianza delle razze in un momento dove più o meno tutti la pensavano allo stesso modo.

«Tutti gli uomini sono stati creati uguali» viene in realtà affermato per la prima volta con forza solo nella Dichiarazione di Indipendenza americana del 1776. Ma anche lì l’interpretazione di fatto è che la proposizione valga per i soli bianchi, tanto è vero che per la liberazione degli schiavi bisognerà aspettare 86 anni e una guerra civile; per la effettiva eguaglianza 190 anni e la stagione dei diritti civili.

«Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune», proclama di nuovo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese il 26 agosto 1789. La discriminazione razziale fu però effettivamente abolita solo il 28 marzo del 1792, e per togliere di mezzo la schiavitù nelle colonie bisognò aspettare il 4 febbraio 1794. Però poi Napoleone la ristabilì, e l’abolizionismo definitivo parte con i voti del Parlamento britannico: lo Slave Trade Act che nel 1807 abolisce la tratta e lo Slavery Abolition Act che nel 1833 abolisce la schiavitù.

Attenzione che nella cultura africana la schiavitù esisteva, come esisteva nell’Islam e in tutte le culture del mondo. La schiavitù non fu una imposizione occidentale, ma piuttosto fu una imposizione occidentale la sua abolizione. Spesso, imposizione a cannonate. A volte l’abolizione della schiavitù fu addirittura pretesto per imprese coloniali: la stessa aggressione fascista all’Etiopia, che la canzone Faccetta Nera motivava con la volontà di liberare la «moretta che sei schiava tra gli schiavi». A volte l’opposizione all’abolizione della schiavitù imposta dagli occidentali fu addirittura bandiera di rivolte anticoloniali, come quella del Mahdi in Sudan.

Da dove era venuta questa idea che i neri potessero essere uguali ai bianchi? Esattamente dallo sviluppo delle idee illuministe che originarono le Rivoluzioni Americana e Francese e che motivarono il movimento antischiavista britannico. Anche se quasi tutti i promotori dell’illuminismo, in primo luogo appunto Hume e Voltaire, condividevano pregiudizi in contraddizione con la logica profonda del proprio pensiero. E infatti la contraddizione saltò. «La morale è una questione di fatto, non di scienza astratta», aveva in realtà teorizzato Hume, spiegando che non dipende dalla ragione ma dal sentimento della simpatia per il nostro prossimo. Ma aveva anche definito la fede come un sentimento irrazionale ed emotivo, che non insegna all’uomo a migliorarsi dal punto di vista morale e anzi spesso lo peggiora.

Terzo grande nome della triade empirista che inizia con Locke e Berkeley, Hume spiega però che neanche dalla esperienza possiamo ricavare alcuna certezza: «ogni cosa che è, può non essere». Una posizione di scetticismo teorico da confrontare con ciò che il futuro filosofo a 20 anni amava ripetere agli amici: «da un professore non c’è da imparare nulla che non si possa trovare nei libri». Insomma, uno scetticismo filosofico radicale che era chiaramente collegato a insofferenze altrettanto radicali, e che avrebbe portato in politica a posizioni libertarie ugualmente radicali. Se perfino la realtà oggettiva non doveva essere accettata supinamente, figuriamoci istituzioni storiche come la stessa schiavitù! Che era sempre esistita, ma poteva tranquillamente essere abolita se il nostro sentimento di simpatia per il prossimo lo suggeriva. Hume non lo disse e pensò mai: ma pose la premessa perché altri lo pensassero e dicessero.

Insomma, il Black lives matter contesta Hume, ma senza Hume neanche il Black lives matter esisterebbe. Un bel paradosso…