«Sono mesi che la Uil chiede una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. In Germania e in Finlandia se ne discute concretamente e l’Unione europea studia seriamente l’ipotesi. È tempo anche per noi di assumere decisioni». Le parole sono del segretario generale Uil Pierpaolo Bombardieri. Il tema della riduzione dell’orario di lavoro, sia nella singola giornata sia nel numero dei giorni di lavoro settimanali, non è una rivendicazione recente per lavoratori e sindacati, «ne discutiamo sicuramente da prima della pandemia».
Ma con la crisi economica, e la necessità di rispettare il distanziamento in ufficio, il tema del “lavorare meno lavorare tutti” è nuovamente uno dei più attuali nel mondo del lavoro.
Un recente articolo del Financial Times riporta uno studio condotto su 3,1 milioni di lavoratori a distanza in Nord America, Europa e Medio Oriente fatto durante la pandemia dal National Bureau of Economic Research degli Stati Uniti: l’istituto ha rilevato che «in media le giornate lavorative si sono allungate e i dipendenti hanno partecipato a più riunioni, anche se più brevi. E non è chiaro se questo aumento della durata media della giornata lavorativa sia un vantaggio o uno svantaggio per il benessere dei lavoratori».
In generale, i favorevoli a una riduzione dell’orario di lavoro fanno leva sull’idea che «quantità» non equivale a «qualità», e che ridurre le ore di un singolo lavoratore permetterebbe di aumentare la forza lavoro, anche a parità di salario. Per i detrattori, invece, la riduzione delle ore di lavoro rischia di portare a un aumento dei costi, con un conseguente calo dell’occupazione.
Lo stesso quotidiano britannico, un anno fa citava il caso della Blue Street Capital, società californiana del settore finanziario, che nel 2016 aveva deciso di ridurre la giornata lavorativa a sole cinque ore. «Nel primo anno – spiega il Financial Times – le vendite sono incrementate del 30 per cento. Nel giro di tre anni la compagnia ha addirittura raddoppiato la sua forza lavoro».
Il caso della Blue Street Capital è il manifesto di un trend già parzialmente in atto. Sono molti gli esempio di aziende che hanno tentato la stessa strada. In Italia uno dei casi recenti più discussi è stato quello della milanese Carter&Benson: a fine 2019 aveva annunciato una riduzione dell’orario di lavoro da 40 a 36 ore, per poi tagliare la settimana a quattro giorni di lavoro dal 2021. Tutto rigorosamente a parità di salario.
Misure che per il momento trovano il favore dei sindacati. Sempre Bombardieri, segretario generale Uil, sostiene che «se decidessimo di ragionare su un’organizzazione del lavoro che si misura anche sugli obiettivi, l’orario può diventare una variabile quasi indipendente».
L’idea alla base del ragionamento di Bombardieri è che la diffusione dei robot rischia di portare una riduzione della manodopera necessaria. Ma allo stesso tempo permette alle aziende di avere una maggior produttività e aumentare i profitti. Quindi «invece di ridurre il personale si può ridurre il numero di ore e lasciare il salario inalterato».
Nel resto d’Europa, gli orari di lavoro sono mediamente più bassi rispetto all’Italia. Le ultime rilevazioni dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) indicano l’Italia tra i Paesi europei con il monte ore annuale più alto, con 1.718 ore di lavoro annuali, circa 33 ore settimanali. Dati che considerano sia i lavoratori a tempo pieno sia il part-time e i part-year, quelli che lavorano solo in alcuni periodi dell’anno.
In questa classifica l’Italia è oltre la media europea di 30 ore settimanali. In Olanda, ad esempio, la stessa media misura 1.434 ore l’anno, vale a dire 27,5 ore settimanali, mentre in Danimarca si scende fino a 1.380 ore annuali. Stesso discorso per la Germania, che ne conta 1.386 in un anno, quindi poco più di 26 in una settimana.
Proprio negli ultimi giorni il sindacato dei metalmeccanici tedesco, Ig Metall, aveva fatto leva sulla necessità di ridurre il monte ore totali soprattutto in un settore, quello automobilistico, che in Germania conta diverse centinaia di migliaia di lavoratori. «Per evitare licenziamenti dobbiamo far lavorare tutti, ma meno», aveva detto il numero uno del sindacato Jörg Hoffman, spiegando che il kurzarbeit, la settimana breve, sarebbe stata una giusta risposta alle trasformazioni dell’intero settore.
Nel Regno Unito, invece, un gruppo di parlamentari ha proposto al cancelliere Rishi Sunak di considerare una settimana lavorativa di quattro giorni «per contrastare la disoccupazione e redistribuire il lavoro». La proposta inglese somiglia molto a quella che la presidente finlandese Sanna Marin aveva lanciato in campagna elettorale e che ha riproposto come soluzione alla crisi occupazionale post-Covid: una settimana lavorativa di quattro giorni da sei ore ciascuno. «Le persone meritano di passare più tempo con i propri familiari, con i propri cari, e di occuparsi di altre cose come le attività culturali», aveva detto.
L’ipotesi di un abbassamento del monte ore totale riguarda inevitabilmente solo alcune categorie di lavoratori, ad esempio quelle che possono garantire comunque un certo standard di produttività, magari perché aiutate dallo sviluppo di nuove tecnologie. Il Financial Times fa notare che in un periodo di crisi come questo «i dipendenti difficilmente potranno dettare le condizioni di lavoro. E un orario di lavoro più breve con piena retribuzione non sarà la priorità per quei datori di lavoro che lottano per mantenere in vita le loro aziende».
E non solo: «Molti, in particolare quelli con redditi più bassi, che hanno subito una riduzione dello stipendio vorranno più ore anziché meno», spiega il quotidiano economico. Ma dove possibile il mercato del lavoro prova a ripartire anche da una nuova flessibilità, da un minor numero di ore di lavoro ogni giorno, o magari da settimane di lavoro più brevi.
Come ha detto Bombardieri, «la ripresa produttiva e occupazionale può passare anche attraverso questa strada. Confindustria e tutte le altre Associazioni datoriali, dunque, mettano da parte remore ideologiche e affrontino questa sfida con spirito di modernità e lungimiranza. È un investimento che può dare una nuova prospettiva al Paese; una scommessa che può avere solo vincitori». Resta da capire prima, però, perché in Italia, pur lavorando così tante ore, la produttività sia ancora così bassa.