Il pensiero di BergoglioLa Chiesa dovrebbe evitare di fare riforme seguendo la “mondanità spirituale”

Oggi la tentazione nella quale rischiano di cadere alcuni commentatori e analisti è quella di immaginare un pontefice che costruisce una road map funzionalistica e organizzativa, piegando la volontà di rinnovamento alle influenze esterne. C’è invece una pensiero aureo che osserva e ascolta le proposte per il cammino del pontificato

Afp

Pubblichiamo un estratto dell’articolo “Il Governo di Francesco” di Antonio Spadaro pubblicato dalla rivista La civiltà cattolica.

Un processo che affronta limiti, conflitti e problemi
Bergoglio non parla mai di un desiderio eroico e sublime. Non è «massimalista». Egli non crede a un idealismo rigido né a un «eticismo» né a un «“astrazionismo” spiritualista». Fanno parte integrante del cammino spirituale i limiti, i conflitti e i problemi. All’interno della crescita occorre, anzi, «non maltrattare i limiti»Con questa espressione Bergoglio intende mettere in guardia nuovamente dall’aggressione dell’idealismo, «che ha sempre la tentazione di proiettare sulla realtà lo schema ideale, senza tener conto dei limiti di quella realtà (quale che sia). Questo pericolo può comparire anche al livello ascetico: maltrattare i limiti per eccesso (pretendendo in maniera assolutistica) oppure per difetto (cedendo, non fissando paletti che andrebbero posti)».

Non bisogna temere neppure i conflitti, che a volte scuotono e impauriscono. Francesco ha usato una bella immagine parlando ai superiori degli Ordini religiosi maschili nel novembre del 2013: «accarezzare i conflitti». Ma per Bergoglio la caratteristica stessa della Compagnia di Gesù è «rendere possibile armonizzare le contraddizioni», cosa certo non favorita dalla rigidità, davanti alla quale il Papa spesso chiede di stare attenti. Le contraddizioni fanno parte di una storia feconda. Come pure i problemi, in realtà. A tal punto che non sempre è opportuno risolverli, scrive Bergoglio. Non è detto che un problema sia sempre da risolvere, immediatamente. C’è un discernimento che implica la storia e verifica i tempi e i momenti. A volte un problema si risolve senza volerlo affrontare subito. Occorre dunque comprendere i processi in atto, anche rinunciando alle cose del momento. Queste sono parole importanti per capire l’atteggiamento di Francesco nei confronti della tempistica del processo riformatore.

Un processo che affronta tentazioni
La tentazione si annida spesso nelle istituzioni, specialmente in quelle alte, santamente sublimi. «Lo spirito cattivo – scrive Bergoglio – è abbastanza astuto da sapere che la sua battaglia diventa davvero difficile e ha scarse probabilità di vittoria quando deve affrontare uomini e comunità in cui il tratto dominante è la sapienza dello Spirito».

In questo caso esso agisce cercando di tentare sotto apparenza di bene. La finezza dell’argomentazione del «Nemico» si fa estrema, perché chi è tentato crede di dover agire per il bene della Chiesa. La maggiore sottigliezza consiste nel «farci credere che la Chiesa si stia snaturando e di tentare di convincerci che, quindi, noi dobbiamo salvarla, forse anche malgrado se stessa. Si tratta di una tentazione costante e presente sotto un’infinità di maschere diverse ma che in definitiva hanno tutte qualcosa in comune: la mancanza di fede nel potere di Dio che abita sempre nella sua Chiesa».

Da qui anche «gli infecondi scontri con la gerarchia, i conflitti devastanti tra “ali” (per esempio, “progressista” o “reazionaria”) dentro la Chiesa… insomma, tutte quelle cose in cui “assolutizziamo” ciò che è secondario». Francesco, del resto, non è legato ad «ali» politiche. Apprezza invece l’onestà, che può essere propria dei progressisti come dei conservatori. Il suo giudizio prescinde pure dall’apertura o dalla chiusura «mentale»: è attratto dall’onestà del giudizio.

Invece l’ideologo (di «destra» o di «sinistra») vive spesso la tentazione sotto apparenza di bene, la quale ha l’effetto di staccare la Chiesa dalla realtà, dalla storia: è questo uno dei suoi risultati più disastrosi e pervasivi. Lo sperimentiamo, ad esempio, quando sorgono figure che sembrano volersi sostituire al Papa nella difesa della dottrina o della vera riforma, o quando esse seminano incertezza e confusione, lasciando persino immaginare pericoli per l’ortodossia o per il cambiamento. E questo in particolare quando, nell’assumere tali atteggiamenti, l’ipocrisia induce a professare apertamente «devozione filiale» al Santo Padre e uno spirito di rispettosa «correzione fraterna».

Oggi la tentazione nella quale rischiano di cadere alcuni commentatori e analisti è quella di immaginare un Papa che costruisce una road map di riforme istituzionali, elaborate con spirito progettuale, funzionalistico e organizzativo. Come pure la tentazione di proiettare i contenuti di tale mappa sul procedere del pontificato, e infine giudicarlo alla luce di tali criteri. Francesco ha nel discernimento la chiave dello sviluppo e del dinamismo – attualmente ben attivo – del suo ministero petrino.

Non c’è un piano astratto di riforma da applicare alla realtà. Pertanto, «gli Apostoli non preparano una strategia; quando erano chiusi lì, nel Cenacolo, non facevano la strategia, no, non preparavano un piano pastorale». Non è a questo livello che si trova il metro di valutazione del dinamismo del pontificato. C’è invece una dialettica spirituale che osserva e ascolta non soltanto i pensieri e le proposte per il cammino della Chiesa, ma anche da quale spirito (buono o cattivo) vengono, al di là della loro stessa validità in sé e per sé.

Comprendiamo, quindi, che occorre evitare il rischio di piegare la volontà di riforma alla «mondanità spirituale». Cediamo a tale mondanità  tutte le volte che facciamo il bene, e tuttavia lo facciamo per raggiungere i nostri obiettivi, le nostre «idee» di Chiesa così come dovrebbe essere, non ispirati dal discernimento proprio della fede in Gesù.

La logica mondana resta l’ultima e più profonda tentazione – anche di carattere strutturale – contro cui lottare senza respiro nella Chiesa. Nella sua omelia nella Messa di Pentecoste del 2020 Francesco lo ha dichiarato apertamente: «Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia».

È proprio questo lo sguardo che sa vedere nella Chiesa un «ospedale da campo», immagine efficace della sua vera struttura. «Io vedo con chiarezza – disse il Papa a La Civiltà Cattolica nella sua prima intervista del 2013 – che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite…».

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