Nessun effetto GretaI Verdi in Svezia vanno così male da mettere a rischio l’intero movimento ambientalista

Proprio come in Italia, anche nel paese scandinavo il partito langue sull’orlo della scomparsa. In caso di uscita dal Parlamento al prossimo giro elettorale passerebbe il messaggio che l’agenda climatica non ha peso politico: a quel punto anche le voci dei ragazzi che scioperano per il clima potrebbero diventare più deboli

Afp

La storia di Miljöpartiet de Gröna, il partito dei Verdi svedesi, è una parabola che dimostra come non ci sia un nessun capitale politico troppo grande da non poter essere sprecato. Nel paese dove è nato il più importante movimento ambientalista dei nostri tempi, il partito ambientalista è al minimo nei sondaggi, sotto la soglia di sbarramento del 4%.

Se si votasse oggi invece che nel 2022 le strade sarebbero piene di studenti che protestano per l’ambiente, nella Giornata d’azione globale per il clima, mentre i Verdi sarebbero fuori dal Parlamento.

I loro corrispettivi europei in questo momento si dividono in due categorie, quelli che riescono a tradurre il pensiero ecologista in un’offerta politica di successo e di massa, come di recente alle elezioni municipali in Francia, e quelli che languono sull’orlo della scomparsa, come in Svezia o in Italia. Se a Stoccolma c’è un «effetto Greta Thunberg», in questo momento sta funzionando al contrario.

Ovviamente il miglior modo di sprecare un capitale politico è provare a usarlo, cioè governare. I Verdi svedesi sono membro di minoranza del governo da sei anni e due elezioni, e questa è una prima chiave per capire cosa è andato storto: l’affaticamento del potere.

«I Verdi hanno perso tutte le battaglie politiche che hanno provato a combattere», spiega Niklas Bodin, docente di Scienze Politiche alla Mittuniversistet, che da anni studia il partito e le sue evoluzioni. Non sono riusciti a chiudere le centrali a carbone né il piccolo aeroporto cittadino di Stoccolma, il Bromma, e non stanno riuscendo a impedire che l’azienda petrolifera Preem espanda le sue raffinerie.

Il contesto politico non ha aiutato: sono andati al governo quando è iniziata la crisi dei migranti, che in Svezia ha avuto (e continua ad avere) un impatto forte sull’opinione pubblica.

«Avevano una piattaforma decisamente progressista in materia, piena di promesse che non hanno potuto mantenere». Al di là della complicata convivenza con i ragazzi in sciopero per il clima, in questa storia c’è un nodo di fondo difficile da sciogliere per i partiti ambientalisti. Quando vanno al governo sono troppo piccoli per imporre la propria piattaforma, ma se non riescono a imporla perdono consenso e diventano ancora più piccoli. «In questo momento vivono una crisi di fiducia nella società svedese: sono davvero in grado di avere un impatto sulle politiche ambientali?».

Oggi i sondaggi li danno al 3,8 per cento. La curva è stata preoccupante: nel 2010 avevano avuto il 7,3 per cento dei voti, nel 2014 – quando sono andati al governo – il 6,8 per cento, nel 2018 – quando hanno mantenuto il posto al governo – il 4,4 per cento.

Nell’agosto di quell’anno una ragazza di nome Greta Thunberg mostrava un cartello con su scritto «Skolstrejk för klimatet», sciopero per il clima. La velocità di affermazione del suo movimento è stata stupefacente. «Le nostre organizzazioni giovanili volevano partecipare agli scioperi, andare a fare i selfie con Greta, io ero contraria, avevo paura che avremmo ucciso il movimento se l’avessimo in qualche modo legato al partito», ricorda al telefono Märta Stenevi, segretario generale dei Verdi, forse sopravvalutando la forza simbolica del Miljöpartiet de Gröna (o sottovalutando gli interlocutori).

In ogni caso, i Fridays for Future sono rimasti apartici, Greta Thunberg è diventata l’ambientalista più famosa al mondo e per i Verdi la vita politica è diventata all’improvviso più difficile. La radicalità delle richieste dei ragazzi in sciopero ha fatto apparire qualunque successo politico in Parlamento come irrilevante, ha ingigantito le sconfitte e messo l’asticella troppo in alto per un partito con il 4,4 per cento dei voti e 16 parlamentari.

«Il problema dell’ambientalismo politico è l’orizzonte temporale», spiega Märta Stenevi. «La cornice è troppo lunga, l’impatto sulla vita di tutti i giorni è sempre graduale. Ci sono altre aree della politica dove i risultati li vedi in breve tempo, sull’ambiente non funziona così».

Negli anni precedenti al 2014 il partito aveva fatto un lungo lavoro per migliorare la propria credibilità politica generale, «perché se chiedi il voto alle persone devi dimostrare di sapere cosa fare in tutti gli ambiti della loro vita, la scuola, la salute, la sicurezza». È un altro format dello stesso dilemma di prima: per farti votare devi diventare un partito come gli altri, ma se diventi un partito come gli altri, perché ti dovrebbero votare?

Sull’onda dei sondaggi particolarmente negativi, il dibattito interno è diventato – come dire – vivace. «Abbiamo persone che vogliono abolire le automobili, ma come facciamo a rimpiazzare un’infrastruttura di questo tipo senza che le persone perdano il lavoro? Alcuni membri del partito parlano della vita nel cottage, tra i boschi, ma la maggior parte delle persone vivono in città. Sui temi ambientali la scelta tra cambiare il sistema o lavorare dentro il sistema non esiste, il cambiamento climatico è troppo urgente per mettersi a cambiare tutto il sistema, non c’è semplicemente tempo», dice Stenevi.

La sua posizione è lucida, ragionevole e bocciata dai sondaggi. I Verdi svedesi al momento si devono confrontare con la possibilità di uscire dal Parlamento tra due anni. «Sarebbe un segnale terribile, non solo per noi. Lo dico sempre ai ragazzi degli scioperi per il clima: se noi spariamo dal Parlamento, sparisce anche la loro voce. E se perdiamo rappresentanza, tutti gli altri partiti riceveranno un gran brutto segnale, che non c’è niente da guadagnare mettendo l’agenda climatica al primo posto».

Il problema è che nel frattempo non peggiora soltanto il clima come lo intende Greta Thunberg, ma anche quello più strettamente politico.

«La mia paura è che un’agenda conservatrice, nazionalista e xenofoba possa prendere piede anche in Svezia, il paese potrebbe tornare indietro di decenni sui diritti umani, sulla questione Lgbt, e ovviamente sul clima», dice Stenevi.

I numeri sembrano suggerirlo, gli xenofobi di Sd (Democratici Svedesi) sono sopra il 19 per cento e potrebbero formare un blocco conservatore con i Moderati e i Cristiano Democratici. «La Svezia – conclude Stenevi – non è naturalmente progressista, siamo un popolo legato al consenso consolidato. Per decenni, questo si è aggregato su un’agenda progressista. Ma oggi il vento sta cambiando, in peggio e anche molto velocemente».

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