Un usato garantito, conservato nell’estetica e perfettamente funzionate in termini di software. Gli smartphone ricondizionati (assieme a tablet e laptop, anche se con meno successo) sono quei device che vengono rigenerati, resettati e dotati molto spesso di una nuova batteria, per poi essere venduti a un prezzo competitivo e decisamente inferiore a quello dei top di gamma.
I prodotti ricondizionati non sono una novità ed esistono un po’ ovunque, dall’elettronica all’abbigliamento: quello della tecnologia, però, è un settore dove non hanno mai trovato troppo spazio. Per stessa natura del mercato, il consumatore è sempre spinto a comprare l’ultimo modello uscito, anche se questo significa cambiare dispositivo dopo neanche un anno di utilizzo.
Dopo lo shock economico causato dalla pandemia, sembra però che qualcosa sia cambiato. «Per la prima volta la domanda sul mercato formale, ovvero di ricondizionati certificati, è più grande della domanda sul mercato informale, l’usato non certificato» ammette Fabian Thobe, Ceo di riCompro, azienda leader in Italia nel mercato dei ricondizionati. «In questo periodo di emergenza sanitaria il nostro flusso di vendite è aumentato vertiginosamente: sia per il fatto si essere solo uno store online, sia perché lo smart working ha causato una richiesta maggiore di dispositivi a buon prezzo. Ma non è ancora abbastanza» continua Thobe.
La Counterpoint Technology stima che la fetta dei ricondizionati sul mercato abbia raggiunto il 10% dei telefoni venduti per un valore di 17 miliardi di dollari e di 120 milioni di apparecchi rigenerati a livello globale. Un business che inoltre si basa sui principi dell’economia circolare: con i ricondizionati viene limitato lo spreco di terre rare (utilizzate per le batterie) e arginato il problema della produzione dei Raee (i rifiuti da apparecchi elettrici ed elettronici). L’Unione Europea ha calcolato che nel 2020 in Europa ci saranno 12 milioni di tonnellate di cellulari, computer, tablet, frigoriferi, e lavatrici da smaltire.
Mentre nel 2019, a livello mondiale, è stato stabilito il record di 53,6 milioni di tonnellate metriche (Mt) di rifiuti elettronici generati, con un aumento del 21% in soli cinque anni, secondo il Global E-waste Monitor 2020 delle Nazioni Unite. Il rapporto prevede anche che i rifiuti elettronici globali raggiungeranno le 74 Mt milioni di tonnellate metriche entro il 2030, quasi un raddoppio dei rifiuti elettronici in soli 16 anni. L’Asia ha generato il maggior volume di rifiuti elettronici nel 2019 (circa 24,9 Mt), seguita da Americhe (13,1 Mt) ed Europa (12 Mt). Anche l’Italia ha fatto la sua parte. «Più del 52.4% degli italiani tiene il vecchio dispositivo inutilizzato nei cassetti di casa», avverte Fabian Thobe. «Il danno economico è di oltre 3,4 miliardi di euro, ovvero il valore degli smartphone rimasti inutilizzati a livello nazionale. Senza contare l’impatto ambientale: la produzione, l’assemblamento e il trasporto al punto di vendita, per esempio di un singolo iPhone 6, comporta la produzione di circa 81 kg di CO2. Le emissioni di CO2 all’anno sono tra 600 milioni e più di 1.1 miliardi di Kg» continua ancora.
Ma cosa frena realmente questo settore? I prodotti di punta di aziende come Apple e Samsung raramente sono in sconto, e possono arrivare a costare anche più di 1.500 euro. Una spesa certamente non per tutti. Un Galaxy s9 ricondizionato sul sito di riCompro, o un iPhone SE da 16 gb sul portale Smartgeneration, costano invece rispettivamente 320 e 90 euro. Ecco la risposta. L’abisso che divide i costi non si lega alla logica di mercato e di profitto delle multinazionali hi-tech. Così che, fino a pochi anni fa i ricondizionati certificati (solo Apple, perché Samsung fatica ancora oggi nel settore), venivano pubblicizzati obtorto collo, in quanto per definizione “ammazzavano la concorrenza”.
Adesso l’operazione di rigenerazione viene svolta sia dai venditori ufficiali (come Apple) sia da rivenditori “terzi”, che si appoggiano poi a grandi distributori online come Amazon e eBay. «La domanda dei ricondizionati sta aumentando da circa tre anni, da quando le grandi piattaforme commerciali ne hanno capito il potenziale» spiega un consulente tecnico di molte aziende di telefonia, che preferisce rimanere anonimo. «La prima cosa cui stare attenti, quindi, è proprio il venditore: che sia affidabile e che garantisca la riparazione, la sostituzione o eventualmente il rimborso del prodotto entro i termini della garanzia» continua la fonte.
Un grosso impedimento dei ricondizionati è infatti la provenienza. I grossi rivenditori come eBay e Amazon e le varie startup emergenti sono solitamente affidabili nella vendita dei prodotti ricondizionati, così come Apple offre la possibilità di comprare un ricondizionato da una sezione del sito dedicata (a un prezzo superiore rispetto ai ricondizionati che si trovano altrove). Ma la qualità e l’origine dei componenti, tuttavia, rimane per tutti un nodo incombente. Le rotte degli e-waste, su tutti smartphone, tv e laptop, confluiscono infatti nel continente africano – dando vita a scenari come quello di Agbogbloshie, un sobborgo di Accra in Ghana la cui discarica e-waste copre un’area pari a quella di 11 campi di calcio.
Lì la manodopera ha un costo irrisorio e, una volta ripulito, l’apparecchio prende la via dell’Asia, dove lo attende una seconda vita. In teoria i movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi sono regolati dalla Convenzione di Basilea del 1989, che ratifica come ogni rifiuto elettronico per uscire dai confini Ue e di altri 182 paesi (tranne Haiti e Stati Uniti che non firmarono l’accordo) deve superare specifici controlli. In pratica, però, la storia è diversa. «C’è troppa domanda e reperire scocche e componenti tecnologici per ricondizionare e produrre device di qualità è diventato difficile: o sono troppo usurati, o il costo è troppo alto. Ci si affida quindi al mercato che ha maggiore disponibilità, ovvero quello cinese. Dove i processi di lavorazione avvengono in contesti illegali e ovviamente non certificati, con il risultato che il prodotto a volte pecca di qualità. È decisamente un’occasione persa per l’economia del nostro Paese» continua il consulente.
Questo non vale per le grandi aziende, che si affidano invece a laboratori ufficiali. Mentre per gli altri player il costo di una produzione “occidentale” è insostenibile, e l’intero processo andrebbe a sbattere contro i cavilli del copyright che difendono lo stile e le caratteristiche tecniche dei vari iPhone e Galaxy. «Se non ti affidi ai laboratori certificati in Europa è molto complicato ricreare i device delle grandi marche. Finché non sarà stilato un paper con il quale si svincola queste tipi di lavorazioni di economia circolare, in molti si riforniranno dal mercato cinese, che tuttavia non può soddisfare la domanda esigente dei consumatori e innesca così un cortocircuito che frena l’interno settore dei ricondizionati. Tra qualche anno la produzione dei materiali si sposterà nelle Filippine, un mercato tecnologico in netta crescita, e allora arriveranno più modelli da vendere anche qui in Italia» conclude la fonte.