Non siamo Stato noi Trump, l’Inps e altre ragioni per cui l’America in fondo è un’Italia più grossa

Trump evade le tasse, ma davvero pensate che ci sia qualcuno che si indigna per ciò che, potendo, farebbe anche lui, cioè dichiarare abbastanza perdite da non pagare imposte? O crediamo che solo in Italia si parcheggi in seconda fila?

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«È il problema del sogno americano: tutti si preoccupano del giorno in cui diventeranno ricchi». Lo diceva il presidente Bartlet, l’ideale democratico di The West Wing, a qualcuno che gli chiedeva perché mai i deputati neri fossero contrari alla tassa di successione. 

È uno dei pochi momenti di TWW che non siano stati demoliti dai (primi?) quattro anni di presidenza Trump, una presidenza il cui principale risultato è stato farci capire che l’America è un’Italia più grossa. 

Non è quel posto che avevamo idealizzato guardando Bartlet, dove tutti sono rispettosi della forma e delle istituzioni, e se qualcuno osa accennare una scortesia istituzionale viene guardato come il matto di piazza Barberini. 

Gli anni di Trump hanno dimostrato che, se nessuno aveva fino ad allora mangiato la mortadella sui banchi del parlamento, non era perché da loro quelle cose non si facessero: era perché a nessuno era venuto in mente che si potessero fare senza che crollasse il mondo (scegliete voi qual è il corrispondente americano del leghista che mangia mortadella: il giudice della Corte Suprema che frigna che al liceo gli piaceva la birra? Il presidente che twitta che vuole l’antidoping per l’avversario elettorale? Il genero messo a occuparsi di politica internazionale in nome della sua qualifica di genero?). 

Adesso, c’è questo dettaglio delle tasse. Che, se l’America fosse quella di TWW, dovrebbe essere dirimente per far perdere a Trump le prossime elezioni. E invece, indovinate un po’. 

Ho letto gli opinionisti americani di sinistra che dicono sia una posizione cinica, quella di chi dice che gli elettori non faranno un plissé di fronte all’elusione fiscale. “Cinico” è secondo, nell’uso a casaccio come epiteto impreciso, solo a “radical chic” e a “fascista”. 

Qual è il contrario di “cinico”? “Romantico”? “Ottimista”? “Fesso”? Cosa sei, se pensi che elettori che non si sono fatti distrarre da «le prendo per la figa» (sintesi di Trump, candidato presidente, dei suoi rapporti con donne sconosciute) s’indigneranno per ciò che, potendo, farebbero anche loro, cioè dichiarare abbastanza perdite da non dover dare nulla allo Stato? 

Che conseguenze ebbero i Paradise Papers, le carte del 2017 che raccontavano gli investimenti in posti tipo le isole Cayman di gente ricca che voleva pagare meno tasse, tra cui alcuni ministri di Trump? E i Panama Papers di due anni prima? C’è stato qualcuno di coloro che avevano portato i soldi all’estero che ha avuto conseguenze lavorative, morali, reputazionali? Qualcuno cui è toccato dire che erano i risparmi della mamma dentista, giustificarsi, imbarazzarsi? Sarà proprio vero che solo in Italia si parcheggia in doppia fila, o tutto il mondo sarà dominio degli spregiudicati, siano essi parcheggiatori o commercialisti? 

L’elettore italiano, quando ha visto che certi deputati avevano pezzentemente chiesto seicento euro all’Inps pur guadagnando più che bene, si sarà indignato e avrà annotato i nomi sull’agenda per non votarli mai più, o avrà pensato che tutto sommato, pure lui, al loro posto, avrebbe fatto uguale? 

Certo, poi c’è la questione “i nostri soldi”. Usata diversamente qui e lì. 

Qui, per dire che «con i nostri soldi» non si può aumentare lo stipendio al presidente dell’Inps, o che se chiedi un sussidio che non ti spetta lo stai facendo rubando a tutti noi (nei giorni in cui i giornali titolavano su quei cinque derelitti che si erano arrubbati seicento euro l’uno, mi chiedevo come li avremmo spesi, quei tremila euro che stavamo riempiendo intere prime pagine per farci restituire: adesso che avevamo sottratto al dominio lessicale di Ricucci l’epiteto “furbetti”, di certo avremmo risanato il bilancio dello Stato). 

Lì, «con i nostri soldi» è la formula antitrumpiana. Se Trump non andasse a giocare a golf coi nostri soldi, avremmo tutti la sanità gratuita. Se non avesse evaso le tasse, avremmo risolto il problema dei senzatetto, dei reduci di guerra, e pure quello delle mense scolastiche. Eccetera. 

Insomma, qui è una formula che usano i populisti; lì è la formula con cui si cerca di minare la credibilità del populista in chief. 

Una specie di taglia unica degli slogan. 

Tuttavia, quando crediamo di argomentare dicendo «i nostri soldi», dovremmo tenere presenti due cose. 

La più banale è: non è che pagare le tasse ti dia il diritto di decidere come verranno spesi i tuoi soldi, la democrazia rappresentativa prevede che l’elettore non venga consultato (disturbato) per ogni piccola decisione. 

La più interessante è: quanto poco chiaro il concetto «quelli statali sono i miei soldi» sia all’elettore medio. Se vi affacciate in un qualsiasi gruppo Facebook in cui si chiedano consulenze sul reddito di cittadinanza, troverete in ogni discussione qualcuno che dice «vergognatevi, andate a lavorare, state campando coi miei soldi», e qualcun altro che risponde senza alcun intento sarcastico che i soldi non sono mica di chi commenta su Facebook: sono dello Stato. 

Il cittadino medio, sia esso italiano o americano, non è pratico del sillogismo «se l’ospedale pubblico non ha fondi per curarmi tempestivamente, o la scuola pubblica non ha la cartigienica, è perché quelli come me non pagano le tasse». Il cittadino medio pensa che lo Stato sia un’entità astratta. A farglielo pensare ha probabilmente contribuito ogni politico che abbia mai detto «non vi metteremo le mani nelle tasche», come se i soldi con cui contribuisci ad avere scuole e strade e ospedali e vivere civilmente fossero una rapina a mano armata. 

(«Le prendo per la figa» non ha minimamente ostacolato la carriera di Trump; «Le tasse sono una cosa bellissima» affossò quella di Padoa Schioppa). 

Non ricordo chi fosse, ieri, a twittare che, se avesse un consigliere decente, stasera Joe Biden, nel dibattito per le presidenziali, dovrebbe salire sul palco, gettare settecentocinquanta dollari in contanti ai piedi di Trump, e dire «Tie’, non li vogliamo». (Settecentocinquanta dollari è l’ammontare delle tasse pagate da Trump nel 2016.) 

È un’idea molto divertente, e se fossi un autore del Saturday Night Live me la arrubberei subito. Non credo accadrà davvero, al dibattito, per molte ragioni. Non ultima quella che alla destra non importa niente dell’elusione fiscale ma, se Biden gettasse dei contanti addosso a Trump come Alfredo Germont a Violetta Valéry, la sinistra avrebbe giorni d’isteria: «Questa donna pagata io l’ho» è un riferimento sessista, perdincibacco.

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