Un viaggio e quattro donne. Basta questo alla scrittrice Valeria Parrella, finalista al premio Strega 2020, per creare in poco più di cento pagine un intero universo. È quello raccontato in “Quel tipo di donna”, il suo ultimo romanzo pubblicato per Harper Collins Italia, un acquerello di vita ed emozioni, intreccio di rituali femminini e ode all’amicizia.
La storia è semplice: una delle protagoniste perde la figlia, già grande, le altre le si stringono intorno: decidono di partire, da Napoli alla Turchia, in un’estate di Ramadan.
Tutte hanno più di 40 anni, una vita confusa alle spalle, esperienze di amori svaniti, lavori e creatività. Una è «fricchettona», una è «ordinata, puntuale nelle consegne, organizzata per tutto il tempo in cui stava all’in piedi», una è la voce narrante.
Hanno un bagaglio di ricordi, il peso (e la fortuna) del proprio carattere e la consapevolezza di non essere “quel tipo di donna”. «Noi eravamo quattro amiche, alla soglia di quel viaggio, ma in realtà con noi c’erano moltissime altre donne: un’intera comunità che principiava dalle nostre madri e dalle madri delle nostre madri. Donne che si erano battute per la nostra libertà anche quando ci avrebbero voluto prendere a pantofolate».
È un filo ancestrale che, di generazione in generazione, viene svolto nelle parole e nei ricordi delle quattro protagoniste. E mentre sfilano lungo le moschee di Istanbul o si infilano nei cunicoli della Cappadocia, rievocano storie del passato, zie e nonne che si sono ribellate, signore che hanno avuto coraggio e hanno abbandonato povertà e miseria in cerca di felicità e gioia.
Nella vacanza sono loro quattro, due gemelli e due capricorni («Noi abbiamo salvato le gemelli dai casini, loro ci hanno salvato dalla noia»). Ma, appunto, sono anche tutte le altre donne del mondo (almeno, quelle di un certo tipo).
È un universo di libertà, raccontato con il ritmo di una passeggiata primaverile e i colori di un film di Almodovar. Le protagoniste hanno paura (qualche volta) se la cavano (sempre), conoscono nuove persone e luoghi, affondano nei sogni, nei ricordi e nelle acque del mare turco.
Una libertà a volte condizionata: la voce narrante, dalla vita «comodissima» e con un eterno ruolo subalterno negli affari sentimentali parte proprio è sulla soglia di (forse) una nuova storia d’amore, con un uomo che (lei si stupisce) pensa a lei e la cerca.
Le altre, le amiche, la prendono per mano: sono loro, a questo turno, che “tirano le pantofole”. Sono la comunità che accerchia, difende e che – vedi il caso dei messaggi al telefono – sa fare la cosa giusta quando una, da sola, farebbe (sapendolo!) la cosa sbagliata.
L’amicizia in fondo è una atmosfera ariosa e viva, che si accende in una gita on the road verso oriente, dove la patente è una metafora e una formalità (chi guida, per esempio, non ce l’ha) e conta davvero solo la pratica.
E lo spazio femminile, o femminino, che per Valeria Parrella è «ciò che di divino v’è nell’uomo» si esplica in un mondo e una religione che separa e divide i sessi.
Non a caso la voce narrante, estenuata dalla vita fino a quel momento, troverà proprio lì un momento di requie: «All’improvviso mi riposavo nel mondo diviso dagli uomini, attraversato solo con donne, senza nessuno da rincorrere o aspettare. Forse mi riposavo dalla gravidanza di quell’altra, dalla morte di Saciko che ci aveva messe di fronte a una profondità che non conoscevamo, dal perpetuarsi per secoli del Ramadan. Smaltivo la fatica delle generazioni che ci precedevano e preparavo le forze per quelle a venire». Una lezione, forse. Per tutti i tipi di donne.