Tratto da una storia vera. Una persona segnala via Whatsapp a un amico la sconcertante storia su Instagram di una ragazza che scopre, aprendo per caso l’app Immuni, di essere stata circa un mese prima a contatto con una qualcuno risultato positivo al virus. Cioè, testimonia la ragazza nel video, l’app Immuni non funziona, non avverte, non vibra per fare la cosa semplice per cui è stata progettata e scaricata, cioè segnalare il contatto con un positivo. In questo mese, se la ragazza fosse stata contagiata avrebbe potuto infettare chissà quante altre persone nonostante lo strumento previsto dallo Stato per tracciare la diffusione del virus fosse perfettamente al corrente del pericolo, solo che non è riuscito a comunicarlo.
Ma va’, è incredibile anzi è impossibile, commenta l’amico che riceve il messaggio whatsapp. E così, per dimostrarlo, va a controllare la sua app Immuni, scaricata prima che glielo dicesse Casalino via giornali compiacenti, consapevole che l’app invece è ovvio che avverta, anche quando non è aperta, se sei venuto a contatto con un positivo.
Nella home di Immuni c’è scritto in modo esplicito, peraltro, anche perché altrimenti l’app non servirebbe a nulla a meno di distogliere l’attenzione dalla timeline di Twitter, dalle storie su Instagram e dalle bacheche di Facebook per impiegare il tempo a controllare ogni 5 minuti che novità ci sono su Immuni.
E così, andando a controllare l’app fortunatamente silente fin dall’installazione, l’amico che non credeva al fallimento strutturale di Immuni raccontato dalla ragazza su Instagram ha scoperto che nove giorni prima è stato a contatto con un positivo, ma che la discreta app evidentemente ha usato la cortesia di non disturbarlo per notificargli il contatto. Non era incredibile e neanche impossibile, dunque. Era esattamente come raccontato dalla ragazza su Instagram.
L’alert di Immuni che non ha allertato un beato cavolo ora consiglia di consultarsi con il medico di famiglia. Il medico di famiglia, molto gentile, spiega che a questo punto bisogna mettersi in isolamento fiduciario e, in assenza di sintomi, aspettare quattordici giorni prima di uscirne oppure dal decimo giorno in poi fare un tampone. Per fare il tampone il medico deve registrare il potenziale soggetto a rischio all’Ats, la quale poi fisserà una data per effettuarlo. Senonché, dice il medico, meglio farlo privatamente il tampone perché la prenotazione Ats potrebbe non arrivare mai, visto il sovraccarico del sistema, ma a quel punto, una volta registrati all’Ats, non si è più liberi di muoversi senza l’evidenza di un tampone negativo, anche oltre i quattordici giorni senza sintomi.
Quindi lo sventurato amico che la sera prima ha aperto il link whatsapp si mette alla ricerca di una struttura che effettua privatamente i tamponi, incurante dei 90 euro di spesa e pur sapendo che nella neoliberista New York in casi simili le strutture private lo fanno gratuitamente in un quarto d’ora. Dopo un paio di possibili appuntamenti a distanza di due settimane, da effettuarsi peraltro in strutture fuori Milano, la prima prenotazione che l’amico riesce a bloccare è comunque oltre i quattordici giorni dal contatto non segnalato da Immuni, quindi in teoria quando il tampone secondo le regole della quarantena fiduciaria sarebbe ormai superato.
Questa piccola storia vera è solo una tra tante, ma dimostra che un paese che in tutto questo tempo non è riuscito ad adottare un’app che funzioni in modo appropriato né a costruire un sistema di tracciamento umano e nemmeno a organizzare test e tamponi per i soggetti che il sistema stesso reputa a rischio, magari perché impegnato a mortificare la politica con il referendum anticasta e altre baggianate, è un paese fallito e senza speranza; è un paese governato da una classe dirigente locale e nazionale che quando tutto questo sarà finito, se sarà finito, andrà giudicato se non in una Norimberga per crimini nella guerra contro il virus, quanto meno con un serio processo di autoanalisi politica e collettiva per capire come sia stato possibile votare alle Regioni ed eleggere in Parlamento gente simile.