Il governo e il Pd sull’orlo di una crisi di Mes. E anche un po’ imprevedibilmente, dato che lo strappo con Giuseppe Conte su questo punto pareva essere stato ricucito dallo stesso presidente del Consiglio impaurito da un nuovo focolaio di tensione. Ecco perché è strano che il numero due del Nazareno Andrea Orlando abbia dato la sua adesione all’intergruppo Mes subito ideato da Matteo Renzi in evidente funzione di ariete conMestro la barricata anti-Meccanismo europeo di stabilità eretta dal presidente del Consiglio spalleggiato dal titolare dell’Economia Roberto Gualtieri, punta di diamante della squadra dem al governo.
Orlando ha spiegato che se non si vuole il Mes bisogna dire quali altre strade si preferiscono, stante il fatto che per rimettere in piedi il Sistema sanitario nazionale occorre «una leva finanziaria». È la stessa linea di un altro pezzo grosso del partito, il capogruppo alla Camera Graziano Delrio, in sintonia con l’altro capogruppo dem al Senato, Andrea Marcucci. Di fatto, non è la posizione di Gualtieri. Il quale è assediato dal gruppo dirigente del suo partito. Come Conte. Solo che lui è esponente di punta di quel partito.
I due presidenti dei gruppi parlamentari conoscono benissimo il clima che c’è fra i parlamentari su questa questione. Le chat contenenti le lamentele (eufemismo) contro il tandem Conte-Gualtieri sono finite su qualche giornale, in linea d’altronde con le reiterate dichiarazioni di Nicola Zingaretti. Non è bastato. L’offensiva contro l’asse Palazzo Chigi-via XX settembre continua al punto che contro il ministro dell’Economia è sceso in campo, seppur indirettamente, il vicesegretario del partito del partito (oltretutto, i due sono anche vicini nella geografia interna del Pd)? Lo ha fatto in nome e per conto di Nicola Zingaretti o per una sua scelta personale?
D’altra parte la posizione del Nazareno non cambia, come ci ha spiegato il responsabile economico Emanuele Felice: «In concreto il Mes ci conviene (risparmiamo circa 300 milioni all’anno, per dieci anni) ed è utile, data l’emergenza sanitaria. Per questo siamo favorevoli. Certo, se poi per arrivare il Mes bisogna minacciare la crisi di governo e quindi far schizzare in alto i tassi di interesse, allora si perderebbe tutto il vantaggio. Noi quindi il Mes lo chiediamo, per motivi di buon senso. E insistiamo. Ma se fra i partiti che sostengono il governo la nostra posizione non è maggioritaria (e non lo è peraltro nemmeno in Parlamento), con lo stesso buon senso non possiamo metterci a fare le barricate».
Tradotto: si attendono i famosi Stati generali dei grillini dai quali potrebbe emergere un ripresa di leadership di Di Maio e magari una qualche apertura sul Mes: Conte lo ha detto chiaramente, ed è il pensiero anche di Gualtieri. Per quanto possa apparire surreale, il Mes è appeso a questo finto congresso via zoom del Movimento. Ma è su queste cose che si regge l’equilibrio di governo.
Il fatto ha ulteriormente innervosito via XX Settembre, che tutto si aspettava tranne che vedere il vicesegretario del Pd marciargli contro. E c’è il sospetto che dietro questa polemica si celi altro: la virtuale apertura dell’eterno, stucchevole capitolo del rimpasto, o come minimo, un segnale forte teso a rimettere in riga un troppo autonomo Gualtieri.
Renzi ha dunque acceso il frullatore delle tensioni interne alla maggioranza raccogliendo anche il consenso di un membro dell’opposizione come Renato Brunetta. Ma è chiaro che l’effetto della sua iniziativa, forse persino al di là delle sue aspettative, è stato quello di agitare i soliti sospetti fra i dem, mai paghi dei raggiunti livelli di nervosismo interno.