La grande fuga che non c’èPerché Milano attira ancora studenti e resta una città universitaria globale

Nonostante le previsioni, la Statale ha registrato un incremento del 13,6 per cento sulle immatricolazioni nelle lauree triennali, e un sorprendente +56 per cento nelle lauree magistrali. Segno che il Nord sta bene e può tornare a trainare il Paese

(Photo by Miguel Medina / AFP)

Doveva esserci la fine delle città, delle metropoli e di una in particolare: Milano. Ma i numeri, nonostante i tanti uccelli del malaugurio sparsi per la penisola, dimostrano ben altro. Milano c’è e ci sarà e lo si capisce dai dati delle tante Università meneghine che, a dispetto delle previsioni, producono segnali straordinari.

Per mesi Rettori, associazioni studentesche, enti locali hanno segnalato il pericolo concreto di un cospicuo abbandono degli studi da parte degli studenti per le ripercussioni causate dal Covid-19. Tasse universitarie, abbonamenti ai trasporti, costo della vita, l’impennata di offerta nel mercato degli affitti. Tanto che lo stesso Ministro dell’Università Gaetano Manfredi lanciò l’allarme, ipotizzando – in pieno lockdown – un calo di iscritti fino al 20 per cento, come era già successo dopo la crisi del 2008.

Grazie agli investimenti presenti nel Decreto Rilancio (1,4 miliardi di euro di cui quasi 300 milioni per il diritto allo studio) e alle misure messe in campo dai singoli atenei per prevenire l’emorragia di studenti (come l’allargamento della platea degli studenti esentati dal pagamento le tasse universitarie o che le pagano in forma ridotta), il sistema ha retto, scongiurando il rischio di un Universitalexit.

I dati di queste settimane su iscrizioni e immatricolazioni delineano un quadro rassicurante segno che il catastrofismo facilmente seduce l’opinione pubblica, ma che spesso non ha sufficienti riscontri nella realtà. La situazione Covid ha portato ad un cambio della geografia delle iscrizioni con meno studenti in fuga dal Sud, più stranieri al Nord, che finora attraeva talenti da tutta Italia ma molti anche ne esportava all’estero e che invece, ora, preferiscono restare.

Le immatricolazioni tengono in tutte le regioni d’Italia e al Sud si registra un aumento fra il 5-10 per cento. Segnale evidente che dimostra come l’alimentare la narrazione di uno scontro tra parti del Paese non sia utile per nulla poiché i successi di una Regione non necessariamente devono essere a scapito di un’altra.

Milano, dunque, si conferma città universitaria: non solo tiene, ma si rafforza. Crescono le matricole, come dimostra il trend della Statale dove – al 30 settembre – si registra un +13,6 per cento nelle triennali, ma soprattutto un +56 per cento alle magistrali indice di una scelta ancor più consapevole e di qualità.

A monte del boom nelle immatricolazioni ci sono molteplici fattori. La città resta attrattiva con una grande offerta formativa multidisciplinare in un tessuto socio-economico che è in un momento di crisi sì, ma più ricco che altrove e gli studenti hanno capito che la ripartenza passa da questi grandi atenei. Anche nei corsi di laurea a numero chiuso si è verificato un incremento delle candidature ai test. Alla Bocconi, per 2.700 posti nelle triennali a numero programmato, i candidati erano il 5 per cento in più rispetto all’anno accademico 2019/2020. In Humanitas sono andati tutti occupati i 180 posti in medicina, i 70 di MedTec, i 130 di infermieristica e i 47 di fisioterapia. All’università San Raffaele erano 6.717 gli iscritti al test di medicina, svoltosi tra il 24 e il 31 agosto, per un totale di 300 posti.

I numeri lasciano sperare che il Covid non abbia intaccato il riconoscimento del valore dell’istruzione che ci auspichiamo, anzi, si rafforzi in tutte le sue forme e non solo legandola all’ambito universitario.

Insomma, i giovani studenti non hanno tradito la città che più di tutte negli anni è stata l’America italiana. Quel luogo dove merito, impegno e lavoro venivano riconosciuti e trovavano l’opportunità di essere espressi più che altrove.

Ma Milano significa anche lavoro. Nel Paese fanalino di coda per l’occupazione giovanile (56,3 per cento) e dove oltre 3 milioni di giovani né studiano né lavorano, la realtà milanese è stata capace lo scorso anno di dare vita in media ad una Start Up al giorno e di attrarre più del 20 per cento delle 965 realtà innovative che hanno avviato l’attività in Italia nei primi cinque mesi del 2019, come riporta Il Sole 24 ore. Qui vengono registrati il 32 per cento dei brevetti italiani e si effettua il 27 per cento della ricerca scientifica più citata a livello globale.

Ora, però, occorre prendere atto delle difficoltà che un giovane incontra venendo a lavorare a Milano. Proprio come ha fatto il mondo universitario con evidente grande efficacia, bisogna concentrarci su come rimuovere concretamente gli ostacoli che determinano questa situazione con provvedimenti specifici.

È evidente che Milano e tutte le metropoli globali, debbano ripensarsi e devono farlo con grande attenzione a coniugare la dimensione ambientale ed economica con quella sociale e umana già di grande necessità nel periodo pre-pandemia ma, nell’attesa che questo avvenga, occorrono interventi semplici e mirati a sostegno di un target, quello dei giovani, troppo spesso dimenticato dalle istituzioni e dalla politica italiana.

Milano in controtendenza, come solo lei sa fare, deve avere il coraggio di dare strumenti e fiducia a quei ragazzi che hanno sano entusiasmo e voglia di lavorare, di crescere, di affermarsi che hanno sempre visto in questa città il luogo delle grandi opportunità per la propria vita. Non sarà facile, non sarà breve, ma non dare ora una prova di forza significherebbe spegnere il motore d’Italia e il cuore di migliaia di cittadini del domani.

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