Ondata di democratizzazioneLa Slovacchia è diventato lo Stato meno euroscettico del gruppo di Visegrad

Nel Paese sembrano esserci segnali di un arretramento di quel blocco anti-europeista e a vocazione illiberale che invece impera in Ungheria, Polonia e Cechia. Se la democrazia sta arrancando nel resto dell’Europa centro-orientale, Bratislava sembra nuotare placidamente controcorrente 

Afp

Chi segue le vicende dell’Europa centrale sa bene come la Slovacchia agisca sovente in maniera molto diversa dagli altri Stati della regione. Questo paese sembra vivere in un frangente politico quasi specularmente opposto a quello dei colleghi regionali più rumorosi. Se l’Ungheria si qualifica ora come “autocrazia elettorale” e la Polonia sembra ambire a seguirne le orme, la Slovacchia ha vissuto negli ultimi anni una nuova ondata di democratizzazione. 

L’indignazione popolare seguita all’omicidio del giornalista investigativo Ján Kuciak e della sua fidanzata Martina Martina Kušnírová, (21 febbraio 2018) si era tradotta in imponenti manifestazione di protesta contro il governo guidato dal socialdemocratico Robert Fico, al potere già nella legislatura 2006-2010, poi rieletto nel  2012 e confermato nel 2016. Il malcontento contro la corruzione del paese si era fuso presto con la critica al governo: nello slogan “MAFIA GET OUT OF MY COUNTRY” che si leggeva sui poster dei manifestanti, “FI” e “CO” erano in grassetto. 

Questa dimostrazione di insofferenza trasversale, un’eccezione per un’opinione pubblica così poco consolidata come quella slovacca, aveva dunque portato, nell’ordine, alle dimissioni dell’esecutivo Fico, all’elezione dell’attivista anti-corruzione Zuzana Čaputová come presidente e alla vittoria delle opposizioni populiste ma moderatamente filo-Ue. Il governo oggi guidato da Igor Matovič mira a intrattenere una relazione con Bruxelles molto più costruttiva e pragmatica di quella turbolenta che intessono Viktor Orbán e l’esecutivo ultra-conservatore polacco, come  è emerso per esempio nella discussione sul Green Deal. 

In Slovacchia sembrano esserci segnali di un arretramento di quel blocco anti-europeista e a vocazione illiberale che invece impera nei paesi limitrofi – con la Cechia a costituire un caso limite, avendo un governo tendenzialmente moderato ma un presidente fortemente euroscettico. 

Due fatti recenti, uno giudiziario e uno politico, tra loro scollegati, hanno certificato la sostanziale alterità della Slovacchia, illuminandone ancora più nitidamente del solito la sua caratura anti-Visegrad. Se la democrazia sta arrancando nel resto dell’Europa centro-orientale, Bratislava sembra nuotare placidamente controcorrente 

La prima notizia: lunedì 12 ottobre Martin Kotleba, ex governatore della regione di Banksa Bystrica (2013-2017) e leader della formazione di estrema destra Partito Popolare Slovacchia Nostra, che detiene 17 seggi (su 150) in parlamento, è stato condannato in primo grado a quattro anni e quattro mesi di carcere per aver utilizzato simboli nazisti. 

La vicenda oggetto della sentenza merita un approfondimento. 

Prima della Seconda guerra mondiale la Slovacchia non era mai stata un soggetto statale indipendente. Per questo motivo, lo Stato fantoccio creato dai nazisti ed esistito tra il 1939-1945, quella Slovacchia filo-nazista governata dal prete cattolico Jozef Tiso, è ricordato con affetto da una cospicua parte della popolazione. Glissando su alcuni suoi aspetti poco apprezzabili dall’opinione pubblica nazionale (collaborazionismo, autoritarismo, ultra-fondamentalismo, persecuzione degli ebrei), si commemora il primo esperimento di Stato autonomo slovacco. Commemorazioni che tendono a coinvolgere soprattutto esponenti e simpatizzanti dei partiti più nazionalisti. 

Durante una di queste celebrazioni organizzata nel 2017, Kotleba e i suoi compagni di partito distribuirono assegni di sostegno alle famiglie con membri disabili. Un gesto filantropico, che ha però in seguito attirato l’attenzione della magistratura per via di un dettaglio a prima vista risibile: tutti gli assegni avevano come importo 1488 euro. Una scelta non casuale. 

Le due coppie di cifre che compongono questa numero hanno un elevato valore simbolico negli ambienti sciovinisti e reazionari. Il numero 14 richiama il manifesto del suprematismo bianco “14 parole” redatto dall’estremista di destra David Lane. Il numero 88 rimanda all’ottava lettera dell’alfabeto, l’H, iniziale delle due parole che compongono il celebre saluto “Heil Hitler”.  

In un’arringa personale lunga quasi otto ore, Kotleba ha deriso l’accusa, fingendo di non aver mai conosciuto questa declinazione simbolica ed elencando una lista di prodotti venduti a prezzi contenenti i numeri 14 o 88. Non è bastata a convincere la giuria. 

Se confermata in appello, la condanna rappresenterebbe la fine della carriera politica del leader neofascista slovacco.  

La seconda notizia: in un’intervista rilasciata al Financial Times domenica scorsa la presidente della Slovacchia Zuzana Čaputová ha espresso il proprio favore alla proposta di vincolare l’erogazione dei fondi comunitari stabilita nel bilancio pluriennale 2021-2017 attualmente in discussione alle valutazioni sullo Stato di diritto di ciascun paese membro. 

Quest’eventualità è vista come fumo negli occhi dai governi polacco e ungherese. Se diventasse realtà, le loro ambizioni autocratiche verrebbero probabilmente notevolmente ridimensionate. È ormai un fatto riconosciuto che i finanziamenti garantiti dall’Ue a questi due paesi rappresentino una fonte di sostentamento insostituibile per gli autocrati oltrecortina, permettendo loro di ingrassare le cerchie clientelari da cui dipende il loro potere – il settore agricolo è probabilmente il caso più eclatante. 

Senza giri di parole, Čaputová ha criticato la reticenza del Partito popolare europeo a sanzionare Fidesz, dicendosi “sorpresa” che una deviazione dai valori comuni come quella della fazione conservatrice ungherese possa ancora venire tollerata. Ha paventato il rischio che l’Ue diventi “ostaggio” di Stati membri autoritari se non riesce a identificare una strategia efficace per difendere lo Stato di diritto. 

Si è infine detta favorevole alla modifica del meccanismo di voto in seno al Consiglio europeo, applicando per tutti gli ambiti il voto a maggioranza qualificata. 

Anche questo scenario non fa dormire sonni tranquilli a Orbán ed emuli. L’introduzione del voto a maggioranza qualificata su tutti i temi discussi dal Consiglio sarebbe verosimilmente il preludio all’attivazione del celebre Articolo 7 contro Polonia e Ungheria, che sono riuscite finora a evitarle proprio grazie al requisito dell’unanimità.  

I fatti di questa settimana hanno ulteriormente chiarito che la Slovacchia mira a giocare in un campo diverso da quello dei suoi più noti vicini.