Il Consiglio europeo del 15 ottobre ha ribadito che i progressi nei negoziati commerciali con il Regno Unito non sono sufficienti, di voler rispettare l’accordo di recesso firmato da Londra e Bruxelles nel 2019 e di essere pronti a qualsiasi scenario. Il capo negoziatore della Commissione Ue, Michel Barnier ha invitato il governo inglese ad altre due settimane di intensi negoziati, dicendo di voler fare «tutto il possibile, ma non a qualsiasi prezzo». A sua volta il capo negoziatore inglese, David Frost, ha risposto in modo piccato su Twitter, dicendosi «sorpreso dal suggerimento che per ottenere un accordo tutte le mosse future devono provenire dal Regno Unito». Insomma lo stallo continua, la fine del periodo di transizione si avvicina (31 dicembre 2020) e il rischio di una Hard Brexit diventa sempre più concreto.
Dal 2016 a oggi l’Unione è rimasta unita dietro Barnier. Lungi dal seminare discordia, obiettivo degli euroscettici, la Brexit si è anzi dimostrata un utile esercizio di team building. «In questo – secondo Rahman – hanno aiutato i vari governi Tory, incluso il tentativo dell’ex premier Theresa May di entrare e uscire simultaneamente dal mercato unico e la retorica apertamente euro-ostile di Boris Johnson». Tuttavia, con i segnali di un potenziale movimento del Regno Unito verso alcuni tra i maggiori interessi dell’Europa – gli aiuti di Stato o il regime di sussidi britannico post-Brexit -, potrebbero sorgere incomprensioni tra Francia e Germania.
Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno opinioni differenti su come risolvere lo stallo e hanno avuto approcci diversi alla Brexit fin dall’inizio, come ricorda Mujtaba Rahman su Politico. La Cancelliera è stata quella che più si è preoccupata delle conseguenze strategiche e geopolitiche dell’uscita di scena del Regno Unito, che vede come una grande perdita tanto per l’Unione quanto per la Germania. Anche perché un quarto del commercio del Regno Unito avviene con le imprese tedesche. Questo ha spinto Merkel a impegnarsi in un processo educato, civile e costruttivo con Londra durante il divorzio e i negoziati commerciali.
La posizione di Macron sulla Brexit è stata invece più difensiva e influenzata dalla politica interna. Durante la campagna elettorale per le elezioni del Parlamento europeo nel 2019, Macron era del parere che i tre risultati possibili dei negoziati – un accordo soft, nessun accordo, oppure un referendum e un’inversione di tendenza – lo avrebbero comunque avvantaggiato nella sua sfida contro Marine Le Pen. Questo pensiero ha poi trovato forza dalla convinzione dell’Eliseo per cui la Brexit sarebbe un’opportunità per la Francia e l’Unione.
In un’Europa a 27 Stati, la Francia cerca già di controbilanciare il dominio economico della Germania, finora senza grande successo. Non è un caso se la visione di Macron dell’Europa – un’unione geopolitica che non teme di denunciare la «morte cerebrale» della Nato e cerca «l’autonomia strategica dal resto del mondo» – privilegia quei settori in cui Parigi ha un vantaggio comparativo su Berlino.
L’Eliseo ritiene che il Regno Unito stia negoziando da una posizione di debolezza. Alti funzionari francesi sottolineano che la posta in gioco della Francia nell’evitare uno scenario senza accordo è minore rispetto, ad esempio, all’Irlanda, alla Germania o ai Paesi Bassi, attori che più dipendono dalle relazioni commerciale tra Unione europea e Regno Unito.
La fede di Macron in una «Europa strategica» è economica oltre che diplomatica. La sua visione di una potenza industriale e innovativa europea, in grado di rimanere indipendente da Stati Uniti e Cina, è incompatibile con un futuro Regno Unito “a briglie sciolte”, che agirebbe come una «portaerei inaffondabile» per il continuo dominio economico americano o cinese sull’Unione europea a 27 Stati.
In tutto questo, Merkel non vuole diatribe interne sulla Brexit. La tensione di Berlino a cercare un accordo che mantenga l’unità dell’Unione sarà fondamentale anche per mantenere quel potere che Merkel esercita su Macron. La cancelliera sarà supportata dal presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che desidera un accordo, per garantire che le sue priorità politiche, in particolare la transizione verde e l’economia digitale, non siano compromesse da una crisi senza accordo. La presidente della Commissione, parallelamente, deve anche la sua fedeltà a Macron: è stato lui ad averla proposta come presidente della Commissione quando i negoziati post-elettorali si erano bloccati l’anno scorso.