Anarchia calabreseAgostino Miozzo non diventerà il nuovo commissario per la sanità in Calabria

Il governo non è riuscito a convincere nemmeno il chirurgo specializzato in ginecologia e braccio destro di Bertolaso negli anni d’oro della Protezione Civile, che oggi coordina a titolo gratuito il Comitato tecnico-scientifico. Giuseppe Conte aveva scelto lui dopo la commedia dei candidati impresentabili, ma le richieste del medico non sono state giudicate accettabili, e la trattativa è naufragata

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È saltato anche il nome di Agostino Miozzo per la carica di commissario alla sanità in Calabria. Il coordinatore del Comitato tecnico-scientifico aveva chiesto al governo alcune condizioni precise per accettare l’incarico. Squadra, poteri speciali e ritorno in servizio (è in pensione da ottobre) per fronteggiare una situazione già gravemente compromessa, come quella calabrese. Ma l’esecutivo ha ritenuto di non poter concedere le rassicurazioni.

Quella di Miozzo è l’ennesima candidatura che sfuma. La vicenda dei commissari diventa ancora più imbarazzante per Palazzo Chigi dopo la commedia dei candidati bruciati tra dichiarazioni infelici e giustificazioni da barzelletta. La battuta che aveva fatto il capo del Cts qualche giorno fa sembrava di buon auspicio: «Mia moglie non avrebbe nessun problema a trasferirsi a Catanzaro». Niente da fare.

D’altronde un dirigente della Protezione Civile che conosce bene Miozzo racconta a Linkiesta: «Il suo nome per la Calabria non basta. Bisogna capire il contesto in cui sarebbe andato. E quali possibilità vengono date per fare il lavoro. Se la regione è commissariata da undici anni, qualche problema c’è». E Miozzo, che non è uno sprovveduto, ha voluto vederci chiaro.

L’uomo che avrebbe dovuto risollevare le sorti della sanità calabrese è un medico padovano in pensione. Agostino Miozzo è il jolly delle emergenze dal curriculum internazionale, braccio destro di Bertolaso negli anni d’oro della Protezione Civile. Oggi coordina a titolo gratuito il Comitato tecnico-scientifico, il gruppo di 26 scienziati che orienta le scelte del governo ai tempi della pandemia. E avrebbe chiesto al premier Conte il ritorno in servizio per volare in Calabria a fare il commissario.

Un’occasione persa. Il suo è un profilo di livello. Da settimane il dottore classe 1953 è diventato il protagonista della battaglia per la riapertura delle scuole. Mentre a Palazzo Chigi si arrovellavano su cenoni di Natale e piste da sci, Miozzo ha schierato il Comitato tecnico scientifico per il ritorno in classe degli studenti. «È la vera emergenza che dobbiamo affrontare subito» perché «la scuola non è un luogo di rischio». Da settimane lancia allarmi: «Non ci si rende conto del disastro che si sta consumando nelle giovani generazioni». Le conseguenze saranno enormi dal punto di vista educativo, sociale e psicologico.

Miozzo dirige un organo tecnico e indica scelte politiche. Parla con tutti, da Conte a Speranza. È diventato il miglior alleato della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina e di Italia Viva nella disputa con l’ala rigorista dell’esecutivo guidata dal capodelegazione Pd Dario Franceschini. La titolare di Viale Trastevere cita le interviste di Miozzo e i report del Cts a sostegno del piano per far tornare gli studenti in classe.

Sulla scuola Miozzo è stato tra i pochi a esporsi subito, tralasciando il politichese. Ha riscosso successo la “sindrome della capanna”, citata dal capo del Cts sul Corriere della Sera. «Ci sono giovani che da settimane o mesi non escono più di casa, rifugiati nel buio della loro stanza davanti a uno schermo del Pc per ore e ore, vittime di una sindrome che genera paure, ansie, insonnie e tante altre patologie della mente. Fra qualche tempo vedremo i disastri provocati».

Non lesina critiche al governo. «Molti politici hanno scelto di sacrificare la scuola come risposta all’emergenza». Rivendica il lavoro del Cts, in alcuni casi ignorato da Palazzo Chigi. «Siamo rimasti inascoltati sulla riorganizzazione del trasporto pubblico. Lo chiediamo dal 18 aprile, i verbali dimostrano che lo abbiamo scritto per ben venti volte». E a proposito della seconda ondata non ha dubbi: «Abbiamo avuto tanto tempo per prepararci ma non abbiamo fatto tutto quello che avremmo dovuto». Chi lo conosce non si stupisce: «Lui dice quello che pensa, non gliene frega più di tanto, è coerente con le sue idee».

Parla sempre, tutti i giorni. Collegamenti televisivi, interviste ai giornali, interventi radiofonici. I toni improntati alla responsabilità, più che all’allarmismo. Severo sul Natale, prudente sul lockdown. Durante i mesi della prima ondata, nelle conferenze stampa si susseguivano le facce dei Brusaferro, dei Rezza dei Locatelli. Il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli leggeva il bollettino di contagi, salvo poi defilarsi fino a sparire, con la nomina di Domenico Arcuri a commissario straordinario.

Oggi la voce istituzionale più ascoltata è quella di Miozzo. «Agostino lavora sempre, è un rullo compressore. Per essere un dipendente pubblico è uno che spinge tanto», racconta a Linkiesta un membro del Cts. Chiuso nell’ufficio di via Vitorchiano, a Roma Nord, sovrintende la struttura più consultata e criticata degli ultimi mesi. Insieme agli scienziati, stende linee guida e dossier sui rischi del contagio.

Il Cts elabora pareri, sforna verbali e li trasmette al governo che poi li inserisce nei dpcm di Conte. Tutti chiedono lumi al Comitato, ogni giorno, su qualunque tema. Non ci sono solo governo e regioni. Negli uffici della Protezione Civile viene recapitata anche la richiesta della parrocchia di provincia o la mail del privato cittadino.

Fino a oggi il Comitato tecnico-scientifico. Ma ieri? Chirurgo specializzato in ginecologia, Miozzo ha girato mezzo mondo. Tra missioni umanitarie e task force. Medico volontario nello Zimbabwe, ha lavorato per il ministero degli Esteri. Responsabile dei programmi di cooperazione socio-sanitari in Africa, quando ancora giravano quattrini. Poi ha coordinato gli interventi legati a calamità naturali e guerre. Erano gli anni Novanta, nei corridoi della Farnesina si diceva: «Miozzo conta più di un ministro».

Un passaggio anche al Campidoglio, dove con Rutelli sindaco era nello staff dei manager per l’organizzazione del Giubileo. Ma è alla Protezione Civile che il dottore veneto diventa l’uomo delle emergenze internazionali. Direttore generale, dal 2002 al 2010. Sono gli anni d’oro del dipartimento, quelli del berlusconiano Guido Bertolaso che gli garantisce un contratto generoso. Miozzo è il suo braccio destro, fa parte del cerchio magico. Il Riformista li aveva ribattezzati «Starsky e Hutch». Miozzo gestisce i dossier più importanti in Italia e all’estero. Operativo sul campo. Dal terremoto in Iran allo tsunami in Sri Lanka, passando per Haiti. Coordina task force, ma dirige anche le relazioni istituzionali e il mondo del volontariato.

Duro e puntiglioso, a tratti burbero. «Facciamo un lavoro di merda che ha a che fare con catastrofi e tragedie, abbiamo orari lunghissimi, lui è il tipo che fa squadra e alleggerisce i momenti pesanti con una risata», raccontano dagli uffici romani della Protezione Civile.

Conclusa l’esperienza al fianco di Bertolaso, che intanto veniva travolto da inchieste e scandali, nel 2010 Miozzo si trasferisce a Bruxelles. Qui guida l’ufficio che, per conto dell’Alto Rappresentate Ue per gli affari esteri, gestisce crisi ed emergenze in giro per il mondo. Cinque anni ad alti livelli. Si occupa di primavere arabe, guerre in Africa centrale, Myanmar e Filippine.

«Ma quando è tornato in Italia è stato messo in castigo, pagava lo scotto della vicinanza a Bertolaso», spiega chi lo conosce bene. Siamo nel 2015, Miozzo viene dirottato al Dipartimento antidroga di Palazzo Chigi. Un ufficio, racconterà lui stesso, «con scarsi mezzi e senza possibilità di impatto sulle tossicodipendenze, un lavoro poco soddisfacente».

Forse anche per questo cerca nuovi sbocchi. Nel 2016 entra nella squadra di esperti voluta da Alfio Marchini, il costruttore candidato a sindaco di Roma per Forza Italia. Una meteora. L’anno successivo se ne va a lavorare per Emergency come responsabile delle relazioni internazionali, curando anche i corsi di formazione per i volontari.

Lontano dalle emergenze, gli chiedono cosa pensi della nuova Protezione Civile, quella alle prese con il terremoto del centro Italia del 2016 e la tragedia dell’hotel Rigopiano in Abruzzo, segnata dai ritardi nei soccorsi. «Non siamo più la miglior Protezione Civile, il sistema arranca», dichiara a Libero. Nel 2018 il ritorno a casa: Angelo Borrelli lo richiama al Dipartimento. Finché non scoppia la pandemia. «Non c’è stato nessun dubbio su chi dovesse coordinare il Cts, per titoli ed esperienza quel ruolo spettava a lui», racconta a Linkiesta un dirigente della Protezione Civile.

Dal primo ottobre 2020 Miozzo è ufficialmente pensionato. Non percepisce più i 160 mila euro annui da dirigente di prima fascia della Presidenza del Consiglio. Per guidare gli scienziati del Cts lavora gratis. «Non ho voglia di chiudere la mia carriera ammuffendo chiuso in un ufficio», diceva nel 2017. Adesso il gran finale, con il colpo di scena sulla Calabria.