Pandemia non sempre fa rima con crisi, alcuni soggetti si stanno avvantaggiando dal confinamento mettendo a segno risultati record. È il caso di Twich che ha raggiunto volumi globali di ore fruite nell’ordine del biliardo. Se è questo ciò in cui valorizziamo il nostro tempo presto non avremo più un ruolo nel mondo né voce in capitolo sul futuro.
Anche se l’umorismo che corre in rete persevera nel ritenere questo 2020 un annus horribilis, dipingendolo come un cigno nero che, con pertinacia e una ciclopica dose di sadismo, si ostina a funestare l’intera umanità perseguitandola con ogni sorta di malignità, nella realtà dei fatti e dei numeri non è sempre così o meglio, non lo è per tutti.
Per alcuni il 2020 è un annus mirabilis. Un anno in cui si avverano risultati che superano le più rosee aspettative. Uno di questi esempi è Twich. Leggevo recentemente, infatti, che la piattaforma Amazon di livestreaming focalizzata principalmente sui videogiochi, può archiviare questo 2020 come anno dei miracoli avendo, nel periodo da gennaio a maggio, festeggiato il proprio record di sempre in fatto di utenti unici attivi al giorno contandone 22,7 milioni.
Stiamo parlando di volumi globali di ore viste, e di relativi annunci pubblicitari cliccati e fatturati, che rientrano nell’ordine dei biliardi, un numero che non saprei neanche rappresentare graficamente nemmeno se dovessi riferirmi al solo mercato domestico: in Italia, solo a maggio, cubava 12 milioni di utenti.
Tuttavia, non è per criticare o evidenziare questioni commerciali o di business o di mercato, se ne scrivo qui, né tantomeno per stigmatizzare il colosso o i colossi del digitale che ci stanno conducendo al galoppo in un regime monopolistico dal quale governano sulle nostre vite. Mi interessa di più trattare il tema in termini più alti e dove può ancora esistere una maggiore autonomia decisionale individuale e collettiva, portandolo sotto una lente assoluta, quella che ha a che fare con l’uso consapevole delle nostre esistenze.
Per quanto siamo abituati a remotizzarlo da noi, a dimenticarci arbitrariamente che scorrere costantemente e a occuparlo con micro-questioni e micro-affanni, il tempo, non è solo uno dei principali punti di domanda filosofici sul quale l’uomo si interroga da sempre senza addivenire ad alcuna risposta certa, è la misura delle nostre vite. Ed è una misura che si applica sia in termini di quantità sia anche di qualità.
Ma prima di scendere verticalmente in queste riflessioni e per supportarle con un dato statistico, ci sono alcuni numeri che dobbiamo tenere a mente. Il primo è che oggi al mondo siamo 7,81 miliardi di persone. Di questi, 5,20 miliardi usano lo smartphone, 4,66 miliardi sono utenti internet, 4,14 miliardi utilizzano i social. Più di 9 utenti su 10 si connettono a internet da dispositivi mobili, due terzi però continuano a utilizzare anche il computer. Se però ci concentriamo sui social, preferiscono affidarci ai device mobili. Solo 1 persona su 5 usa invece il computer.
Operando un rapido calcolo, ci accorgiamo facilmente che investiamo in rete una mole di tempo abnorme. Secondo i più recenti dati di GlobalWebIndex l’utente web tipico tra aprile e giugno di quest’anno ha trascorso quasi 7 ore al giorno usando device connessi. E in questo contesto i social occupano circa un terzo del tempo con una media di circa 2 ore e mezzo al giorno.
Dunque, in totale al momento l’umanità trascorre oltre dieci miliardi di ore ogni giorno usando i social, oltre un milione di anni!
C’è da chiedersi se non abbiamo perso la consapevolezza del nostro ruolo nel mondo, sottovalutando la nostra responsabilità individuale nei confronti delle sorti dell’intera popolazione terrestre. Trovo estremamente preoccupante questo assottigliamento costante delle nostre coscienze. Lo trovo molto preoccupante vieppiù di fronte agli straordinari ultimi eventi che tra l’altro si sono innestati in un’epoca già densa di cambiamenti, che coinvolgono non solo il nostro rapporto con la tecnologia ma anche l’ambiente in cui viviamo e soprattutto le relazioni con gli altri esseri umani con i quali ci troviamo a condividere questo tempo e questo spazio vitale.
Se non torniamo alla consapevolezza che le nostre esistenze altro non sono se non un andare verso un destino comune capace di impattare sul presente e sul futuro nostro e delle generazioni successive, se non interveniamo adeguatamente e tempestivamente, impiegando il nostro tempo, inteso come metro di misura e come qualità dell’impresa nella quale lo impieghiamo, il futuro potrebbe riportarci a una condizione di homo homini lupus in cui superficialità, ignoranza ed egoismi annienteranno il nostro progresso e renderanno del tutto superflui ed inutili le potenzialità inimmaginabili della nostra specie e della tecnologia stessa.
Sta ancora a noi valutare se permettere che l’ecosistema digitale in cui siamo immersi finisca con l’inglobarci oppure diventare società capaci di usare queste straordinarie innovazioni per salvare noi stessi e il Pianeta.