Average Joe è il Signor Rossi nato al di là dell’Atlantico. L’americano medio delle barzellette, quello che guida una familiare con i coprimozzi arrugginiti o persi per strada chissà quanto tempo fa, il cane con il muso sbiancato, la six pack di birra economica e il giardino sul retro troppo piccolo per curarlo davvero.
Average Joe spesso perde o forse perde sempre, vota chiunque lo consideri ma nessuno lo considera perché è parte di un panorama complesso in cui sono altre le cose di cui curarsi.
Average Joe è l’uomo senza qualità.
Joe Biden di average ha poco o nulla.
Nel discorso di accettazione più strano della storia, scandito tra i grandi suv davanti al palco e il silenzio offeso e ostinato del Presidente in carica, Biden ha ribadito che la spina dorsale del paese è la middle class.
La piccola borghesia americana che va ricostruita, aiutata ad allontanare i fantasmi e svelenire le giornate, a non temere il vicino di casa e non armarsi fino ai denti.
Aiutata ad arricchirsi, risparmiare, migliorare.
Joe Biden non è average ma è il prodotto migliore di quella classe media che ha saputo riconquistare, da politico di grande saggezza qual è.
Rassicurare non significa narcotizzare, parlare non per forza equivale a sussurrare.
Biden è un labour-dem, nasce nell’area più riformista di un grande partito popolare che non è mai stato, non è e mai sarà un partito di sinistra, con buona pace del riduzionismo fanatico dei commentatori italiani, di buona parte di essi.
Il partito democratico americano è un partito, democratico, americano.
Semplice ma non a sufficienza da evitare quel tic, il riflesso pavloviano dei politologi autoconvocati che in questi giorni affollano la rete e non solo loro.
La sfida di Biden è di quelle che fan tremare le gambe, raccontare l’America agli americani, ricostruire un tessuto connettivo bruciato da quattro anni di puro delirio anarchico e riportare la middle class al centro, perché e da lì che nascono tutte le pulsioni più forti e sane della società americana intesa come grande entropia da governare, contenere e indirizzare.
Il sogno americano, la seconda possibilità, il diritto a essere nuovi, la necessità del presente, del qui e subito.
Biden sa che la cura viene dopo la diagnosi e che prima di operare tocca alleggerire, sedare, calmare il dolore.
Anche gli americani lo sanno e quella del plebiscito anti trumpista è verità che ne contiene altre, una su tutte: nessun altro avrebbe potuto battere Trump. Lo sanno i politici di lungo corso come Bernie Sanders, che non ama Biden ma lo ha aiutato fino all’ultimo. Lo sa AOC, la stella polare del futuro dem. Lo sa Kamala Harris e lo sa Elizabeth Warren, la vera grande sconfitta delle primarie, forse l’unica vera alternativa a Biden.
Queste presidenziali sarebbero state l’incubo di qualunque altro candidato democratico, non di Biden.
Per conoscere la storia di Joseph Robinette Biden jr ed evitare di farlo su Wikipedia c’è in giro un bellissimo libro, un’autobiografia delle emozioni. Si chiama Papà, fammi una promessa, l’ha tradotto Francesco Costa e pubblicato NR. La storia di un lutto e quella di un uomo in missione, la morte dell’amato figlio Beau e quella di un doppio mandato da vicepresidente più che operativo, determinante nelle scelte della politica estera americana nelle zone più calde del pianeta, dall’Iraq all’Ucraina.
Joe Biden conosce il dolore, ha camminato a braccetto con il lutto per tanto tempo. Ha perso una moglie e due figli, ha la grazia e la decenza dell’empatia, sa parlare a chi soffre perché sa soffrire.
Quella di Biden è una lunga carriera politica da protagonista e non da normalizzatore, ma per saperlo, appunto, bisognerebbe conoscerlo e non limitarsi a quel riflesso condizionato.
Gli elettori italiani del partito democratico americano sono implacabili.
Sul piano inclinato delle loro certezze le palle rotolano tutte nello stesso modo e non c’è salvezza, o son bianche o sono nere.
Obama?
Un compagno, per forza, come potrebbe non esserlo un afroamericano?
Obama è di sinistra, anzi non lo è stato abbastanza perché ha tradito il partito e i compagni del Circolo del PD Barack Obama!
Nelle certezze granitiche dei italodem non c’è spazio per il dubbio e nemmeno per le sfumature. Il partito democratico americano ma italiano è per forza un partito di Sinistra e non si capacitano del perché Obama, Hillary Clinton e Biden si ostinino a non capirlo.
Bisogna parlare alla gente, tornare nelle periferie,
Sì ma quali periferie?
Non m’interrompere le periferie!
Sì, ma quelle periferie le conosci?
Lascia perdere non puoi capire, le periferie le bacia tutte il Sol dell’Avvenire! E poi noi italodem non vogliamo più candidati prodotti dall’élite!
Guarda che Biden è davvero uomo della middle class, uomo di sacrifici.
Non diciamo idiozie è un bianco anziano wasp!
Ma non è wasp cosa dici, non sai niente!
Certo che è wasp ed è pure bandiera del patriarcato!
E poi se lo votiamo…
Ma non puoi votarlo, vivi al Pigneto!
Se lo votiamo è proprio e solo perché è il meno peggio tra i due!
Ecco la vera magia.
Il meno peggio.
Non la valanga di luoghi comuni triti, ritriti e pure un po’ razzisti, la teoria del meno peggio è il capolavoro definitivo degli iscritti al partito democratico americano ma italiano, i grandi afflitti.
Meno peggio di Trump ci sono diversi tipi di calamità naturali, alcune dittature subsahariane, disturbi gastrointestinali e una miriade di altre cose. Meno peggio di un suprematista bianco, presidente a cottimo, vero nemico dell’America e affarista goffo c’è più o meno qualsiasi cosa.
Ma gli americani non votano solo e sempre per il meno peggio, anzi a volte proprio in quei casi non votano.
Stacey Abrams non ha fatto registrare centinaia di migliaia di votanti in Georgia per sostenere il meno peggio.
Kamala Harris non è stata scelta dal meno peggio.
Joe Biden è il miglior candidato che il partito democratico potesse avere in campo per queste presidenziali e con grande scorno dei pundit del partito democratico americano ma italiano, ha vinto.
Joe Biden ha vinto.
Dello strazio di leggere articolesse tutte identiche dopo le prime ore dello spoglio, la notte del 3, hanno già detto in tanti.
Lorenzo Pregliasco è stato deriso per ore da gente che non aveva capito il meccanismo del voto postale e recitava il de profundis con ancora milioni di voti da scrutinare.
Amen.
Un comico social media manager opinionista ha sentenziato così (seguito e approvato da gente che sui quotidiani ci scrive davvero): «Metti un candidato che non vale una sega e poi se non stravince ti chiedi cosa mai sarà successo».
Amen.
Quello che però non può e non deve passare in cavalleria è il tic insopportabile e antico della più grande lobby d’opinione italiana, i compagni della sezione Greta Thunberg ex Barack Obama ex Bill Clinton.
L’idea di poter stravolgere e travisare continuamente i fatti, di tirare per la giacchetta chiunque trasformandolo in una macchietta, di infilare nel tritacarne del messianismo de sinistra chiunque e poi risputarlo come inadeguato è un’idea insopportabile.
Ed è una cagata pazzesca, come avrebbe detto quello (anche lui prima simbolo e poi nemico).
Lo capì il migliore di tutti tanti anni fa, Corrado Guzzanti quando nei panni di Veltroni annunciò che Di Caprio l’ho chiamato e lui ha rifiutato. Ha detto già ho fatto Titanic, non mi posso fossilizzare nella parte di quello che affonda.
Inutile importare modelli laqualunque, masticarli e poi con la spocchia più formidabile bocciarli.
Ripetiamo tutti insieme.
Joe Biden non è un uomo di sinistra e non c’è motivo per cui debba esserlo.
Non deve parlare alle nostre periferie.
Non deve convincere gli afflitti e gli indignati di casa nostra.
Non deve ricostruire l’idea di America che piace a quelli che hanno un’idea di America.
Joe Biden deve ricostruire l’America, con buona pace dei compagni della Sezione Amedeo Nazzari del Pigneto, gemellata con quella di Nola.
Ah, Joe Biden ha stravinto, magari proprio mentre scrivevate di America dilaniata e del meno peggio.