Dalle profondità del Mar di Leptev, al largo delle coste della Siberia orientale, bolle di metano un tempo congelato stanno emergendo. I «giganti addormentati del ciclo del carbonio» si stanno risvegliando. E questo è un problema.
🇮🇹 Gli scienziati hanno scoperto che i depositi di #metano artico del "gigante addormentato" iniziano a liberarsi. Alla campagna partecipa anche Tommaso Tesi, del nostro istituto. https://t.co/2ou3CjTi2s
— CNR ISP (@cnrisp) October 28, 2020
La scoperta è di un team internazionale – di cui fa parte anche l’italiano Tommaso Tesi dell’Istituto di Scienze Polari del Cnr – impegnato da circa un mese sulla nave di ricerca russa Akademik Keldysh.
Con un poter climalterante circa 85 superiore a quello dell’anidride carbonica, il metano è ben presente nei sedimenti congelati del Mar Glaciale Artico. A causa del disgelo del permafrost sottomarino il gas, prima intrappolato, riesce a liberarsi raggiungendo la superficie dell’acqua per poi migrare in atmosfera. Nonostante risulti ad oggi un fenomeno ancora sul nascere, il rischio è che il riscaldamento delle acque possa incentivarlo e, a catena, incentivandosi l’altro dare spinta al surriscaldamento globale. «È un effetto retroattivo – sottolinea a Linkiesta il glaciologo del Cnr Isp Carlo Barbante – Con l’aumento delle temperature il permafrost fonde. Questa fusione libera il metano, contenuto nel permafrost, che a sua volta induce un ulteriore incremento termico».
A causare l’instabilità registrata in Russia potrebbe essere stato l’arrivo nell’Artico orientale di correnti calde provenienti dall’Atlantico, uno degli effetti del cambiamento climatico. L’Artide è già vittima di un aumento della temperatura doppio rispetto a quello medio globale. Basti pensare che in Siberia, nei primi sei mesi del 2020, sono stati registrati oltre 5 gradi in più rispetto alla norma.
«In questo momento è improbabile che tutto abbia qualche impatto sul riscaldamento globale – ha spiegato al Guardian lo scienziato dell’università di Stoccolma Orjan Gustafsson -, ma il punto è che questo processo è stato adesso avviato».
Nonostante la maggior parte delle bolle rilevate dal team di ricerca si sia dissolta prima di raggiungere l’atmosfera e nonostante i dati riscontrati siano ancora preliminari, i ricercatori hanno rilevato che la quantità di gas presente sulla superficie dell’acqua è da 4 a 10 volte superiore a quella attesa. Peraltro, in una zona piuttosto vasta a 600 chilometri al largo della costa.
«Questo è un fenomeno noto, e non riguarda solo il mare ma anche la terra – spiega Barbante – Prende il nome di termocarsismo e si riferisce alla formazione di bolle che sotto la superficie collassano, sprigionando metano, e lasciano dei crateri sul terreno. Per quanto riguarda il mare invece qui il gas si trova “addormentato” negli strati di ghiaccio sul fondale. Una volta liberato, sale in superficie dove è allora facile riscontrarlo in alte concentrazioni, come nel caso del Mar Glaciale Artico ora. Avere innescato questo processo e rilevarlo in queste zone comincia a destare una forte preoccupazione. È un segnale allarmante, l’inizio di qualcosa che deve farci riflettere».
Diverse samples/data secured. Two key findings: bubbles+methane released from slope (hydrates?) and shelf sunk-in craters. #scienceresearch #scienceoutreach #science #instaresearch #oceanography #climatechange #climate #greenhousegasses #explore #arctic #permafrost pic.twitter.com/Do99dylVDZ
— International Siberian Shelf Study Expedition 2020 (@ISSSarctic2020) October 22, 2020
Secondo il ricercatore dell’Accademia delle Scienze russa e capo scienziato a bordo della nave Igor Semiletov, le emissioni scoperte sono maggiori di tutte quelle registrate in passato e, potenzialmente, possono avere gravi conseguenze sul clima. «Probabilmente siamo di fronte a un tipping point – sottolinea Barbante – Un punto di non ritorno che aumenterà la rapidità con cui il riscaldamento globale avanza».