Le carovane di trumpiani estremi
Forse è il più grande movimento di intimidazione di massa del voto in un Paese circa democratico. Di sicuro è il più spettacolare, e il più culturalmente devastante. Sono i Trump Train o Trump Caravan, quelle carovane di Suv che corrono nelle highway, con dentro uomini con fucile e cappello da baseball e donne trucidamente assertive. La loro cattiveria, il loro fare da squadracce fasciste stanno rovinando a tanti l’amore per i western e per la filmografia completa di Sam Peckimpah (viene in mente Convoy-Trincea d’asfalto; ma lì era trumpianissimo lo sceriffo Ernest Borgnine; il corteo di camion era guidato da Kris Kristofferson che al confronto pareva un esponente della sinistra sindacale).
Le Trump Caravan si formano negli Stati in bilico, girano intorno ai seggi per scoraggiare gli elettori democratici, di colore e non. Altri automobilisti trumpiani si fanno vedere nelle grandi città, sfidando la cittadinanza che vota democratico, e il ridicolo. «Gridando di voler Keep Rodeo Drive and Beverly Hills Great (dallo slogan trumpiano Keep America Great, ndr), hanno circondato e urlato insulti razzisti alla mia autista di Lyft perché è nera», ha twittato, Eric Ortner, ex della Casa Bianca di Barack Obama.
Dopo il successo dell’assalto autostradale al pullman di Kamala Harris in Texas, elogiato da Trump e su cui l’FBI ha aperto un’indagine, nel weekend le carovane sono state tante, dal Massachusetts alla California. I trumpiani estremi hanno bloccato l’autostrada tra il New Jersey e New York (Alexandria Ocasio-Cortez, che rappresenta il Bronx, l’ha definito «un tamponamento a catena di idioti»). Sono arrivati a Richmond, Virginia, hanno sparato da una macchina, da un’altra hanno spruzzato spray urticante su una donna che passava. A Forth Worth gli è andata peggio. Erano arrivati – scortati dalla polizia – a un seggio a maggioranza afroamericana. La maggioranza degli afroamericani in fila al seggio non ha apprezzato. Li hanno circondati, e li hanno cacciati con evidente soddisfazione (il video è virale).
Ieri un altro gruppo, temendo la fine dei trumpiani di Fort Worth, ha invitato nella carovana dei Proud Boys, della nota milizia. Lo ha fatto con regolare comunicazione allo sceriffo della Montgomery County, nello stato in bilico più importante di tutti, la Pennsylvania.
Una giornata distopica con l’incubo Pennsylvania
In Pennsylvania sono arrivate oltre tre milioni di schede postali. Lo spoglio comincerà dopo quello dei voti di persona, potrebbe richiedere giorni, ci saranno contestazioni e ricorsi. Se Donald Trump o Joe Biden saranno alla pari, la Pennsylvania sarà decisiva. Per questo, per non soffrire per giorni, molti sperano negli stati che contano le schede postali via via che arrivano. In un miracolo in Florida o North Carolina, un risultato netto per Biden. Ma pochi riescono crederci, nella vigilia elettorale più ansiogena di sempre. Gli anchor televisivi non della Fox sono costretti a ripetere che Trump non può fare le cose che dice; proclamarsi vincitore a inizio spoglio, licenziare Anthony Fauci, trovare un vaccino per il China virus. Da New York a Los Angeles, nei centri città aumentano le vetrine con assi di legno inchiodate, perché si temono scontri e saccheggi. A Washington, hanno montato un recinto metallico “non scalabile” intorno alla Casa Bianca, l’ultimo muro di Trump, quello che ha completato. Poi ci sono le carovane per Trump, e poi certo, la pandemia.
Il destino di Trump secondo gli esperti
Se perderà, «Donald non reggerà la ferita narcisistica della sconfitta. Non può. Nella famiglia di suo padre una sconfitta era una condanna a morte». È il parere di sua nipote Mary, psicologa clinica. Altri meno profondi fanno presente che, oltre a piangere in cameretta, Trump sta scatenando l’Honest Election Project, un gruppo oscuramente finanziato che «combatte le frodi elettorali» in tutti gli stati in cui ci sarà qualcosa di contestabile. E che il suo punto forte è non ammettere mai le sconfitte. Non quando faceva – sei volte – bancarotta, non se perderà la presidenza degli Stati Uniti.
Ma ora ci si chiede cosa farà, cosa gli succederà. Sul New Yorker, Jane Mayer ha parlato con i migliori trumpologi, che fanno varie ipotesi. Sembra improbabile torni nell’immobiliare. Ha troppe centinaia di milioni di debiti e i suoi alberghi e resort sono tracollati per il Covid. Neanche la Deutsche Bank, si legge sul New Yorker, ha più voglia di finanziarlo. Potrebbe, ipotizzano, trasferirsi a Mar-a-Lago e dalla Florida sostituire il malatissimo Rush Limbaugh nel suo show radiofonico di destra. Sarebbe un pulpito quotidiano già pronto, è programma di riferimento dei maschi bianchi che lo amano; ma c’è chi dice che Trump sia troppo pigro per tre ore di diretta ogni giorno. Si parla di una Trump Tv a destra di Fox News da lanciare dopo le elezioni. Ora però è un rischio, quando sono stati in tv in contemporanea, Trump ha fatto meno audience di Biden (di Biden). Il banchiere suo ex collaboratore Anthony Scaramucci sostiene che potrebbe andare in Florida e continuare a spillare soldi a oligarchi di vari Paesi. E che «continuerà a fare guai».
Il destino di Trump, i dubbi dei democratici
In caso di vittoria di Biden, in caso di maggioranza al Senato e alla Camera, i democratici dovranno scegliere. Se iniziare una serie di investigazioni su Trump, col rischio di dedicarci troppo tempo e non occuparsi, per esempio, di assicurazioni sanitarie, e di dividere gli americani ancora di più. O se sperare segretamente che Trump prima di gennaio si perdoni. O si dimetta e si faccia perdonare da Mike Pence. O che scateni una guerra civile per poter trattare un’immunità urbi e orbi, anche dalla procura distrettuale di Manhattan.
I presidenti di alcune commissioni della Camera vogliono continuare a indagare. I democratici più vicini a Biden sono più che cauti, lui si è presentato per tutta la campagna come il candidato che voleva unire un Paese diviso. Nancy Pelosi per ora non parla. Ma la Camera, dicono dalle sue parti, potrebbe decidere caso per caso. Intanto, molti democratici propongono di approvare subito leggi sui conflitti d’interesse presidenziali, le consuetudini, da Trump in poi, non possono essere considerate vincolanti.
Lindsey e le donne
A due giorni da un voto che decide la sua vita politica, Lindsey Graham ha adottato un punto di vista popolarissimo. Rivolgendosi alle giovani donne, ha detto: «Voglio che ogni giovane donna lo sappia, c’è un posto per te in America se sei per la vita, se sei religiosa e se segui la struttura della famiglia tradizionale. Se è così puoi andare dove vuoi, signorina». Graham, presidente della commissione Giustizia del Senato, cruciale nella nomina di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema, si è espresso forse sull’onda del successo ultrareazionario. O forse, dopo la morte di John McCain a cui era devotissimo, Graham si è liberato e riesce a esprimere misoginia e razzismo (tempo fa ha detto che un nero può muoversi liberamente in South Carolina, basta che sia conservatore). Negli ultimi sondaggi, Graham conduceva 46 a 44 sul democratico afroamericano Jaime Harrison, chissà se qualche repubblicana oggi non andrà a votarlo.
Florida Men, il fiato sospeso
I seggi chiudono alle 19, una di notte ora italiana, con un paio di distretti che chiudono un’ora dopo. Trump e Biden sono testa a testa. Ci sono vecchi repubblicani preoccupati per il Covid che hanno votato Biden e giovani uomini ispanici basici a cui piace Trump (va forte anche tra gli haitiani, nonostante siano in maggioranza neri, nonostante Trump abbia definito Haiti uno shithole, un posto di merda; come tante cose in questa campagna elettorale).