Dialogo con Renzi e CalendaGiorgio Gori non si candiderà a segretario, ma chiede un congresso del Pd dopo l’emergenza

Il sindaco di Bergamo, intervistato nel corso de Linkiesta Festival, spiega che «non bisogna inseguire l’epidemia ma anticiparla», rendendo i dati pubblici. E sulla alleanza politica demogrillina per le prossime elezioni dice: «È un’alleanza perdente. Da Roma in su i Cinque Stelle non esistono»

«Questo è un momento in cui, a prescindere dalla parte politica, dobbiamo evitare di soffiare sul fuoco». Parla così, nel corso de Linkiesta Festival, Giorgio Gori, sindaco Pd di Bergamo, dopo che la protesta anti-zona rossa si è spostata addirittura sotto la sua abitazione, tra bandiere tricolori, striscioni e fumogeni.

«Qualcuno ha provato a strumentalizzare la protesta e, anziché fermarsi sotto il Comune, è arrivata sotto casa mia», racconta da quella che è stata la città simbolo della prima ondata del Covid. Il presidente della Regione Lombardia, il leghista Attilio Fontana, lo ha chiamato per esprimergli solidarietà. Ma, racconta Gori, «gli ho detto che a orientare la protesta contro il sindaco in piazza c’erano anche esponenti della Lega». In più, aggiunge, «penso che il modo in cui il presidente di Regione e il capogruppo della Lega regionale hanno bollato il provvedimento del governo parlando uno di “schiaffo alla Lombardia” e l’altro di “attacco del governo all’economia lombarda” non aiutino. Non voglio dire che Fontana abbia responsabilità, ma così si crea un clima che legittima la protesta».

Rispetto alla prima ondata, a oggi Bergamo conta un livello di contagi minori se confrontato con la situazione d’emergenza di Milano, Monza, Varese e Como. «Visto che il dpcm prevede una differenziazione delle misure su base provinciale, insieme ai sindaci di Brescia, Mantova e Cremona, abbiamo chiesto a Fontana di avere i dati dei nostri territori», spiega. «Se ci fossero le condizioni di un regime meno stretto nelle province in cui il Covid è meno diffuso, credo sia giusto attuare questa possibilità». La risposta sulla disponibilità dei dati non è ancora arrivata né da Fontana né dal ministro della Salute Roberto Speranza. Ma Gori insiste: «Si tratta di praticare quello che la legge prevede».

Rispetto alla prima ondata, dice, «siamo organizzati un po’ meglio ma non abbastanza». Oggi in Lombardia si fanno 30-40mila tamponi al giorno, a marzo se ne facevano 5mila. Ma «se direttore dell’Ats di Milano dice che abbiamo perso il controllo del tracing, vuol dire che non è sufficiente», spiega Gori. Stesso discorso sulla medicina territoriale, tallone d’Achille della Lombardia. «Ancora oggi siamo con pochi medici, anzi anche di meno perché da aprile in tanti sono andati in pensione, e tutto gravita ancora intorno agli ospedali».

Il punto, spiega il sindaco, è che «non bisogna inseguire l’epidemia, ma anticiparla. Ormai come si muove la curva è prevedibile. Bisogna avere il coraggio di prendere decisioni che oggi appaiono sproporzionate rispetto all’entità contagio. Il primo dpcm del governo Conte era troppo timido, invece quest’ultimo schema che si basa sui 21 parametri con delle soglie è molto leggibile. Bisogna fare però un ulteriore sforzo per dire ai cittadini di cosa stiamo parlando. Questi dati dovrebbero essere pubblici e invece non lo sono».

Certo, «non attingere alle risorse che l’Europa ci ha dedicato per rafforzare la sanità è stato un errore», ammette. «Se avessimo preso i soldi del Mes a maggio, saremmo arrivati a novembre più solidi. Invece i soldi sono ancora fermi e alcune regioni non sono arrivate preparate». È «inconcepibile», aggiunge, «che per ragioni ideologiche e per non tradire gli elettori, il M5s tenga bloccato l’esecutivo su una decisione che ha a che fare con la salute dei cittadini. Forse avremmo potuto fare qualcosa di più noi Pd suscitando una mobilitazione delle nostre città: se non lo facciamo sulla salute, su che cosa possiamo chiedere ai cittadini di mobilitarsi? Abbiamo tenuto la discussione sul Mes nella stanza dei partiti, io invece lo avrei portato nelle piazze».

E sugli errori del Partito democratico, Giorgio Gori è molto critico. «Dobbiamo capire come riusciamo o non riusciamo a dare ai cittadini risposte convincenti. C’è stata una domanda di sicurezza che non abbiamo colto», dice. «Non abbiamo avuto capacità di accompagnare le trasformazioni e farci sentire vicini. Basti pensare che per molti la globalizzazione è immigrazione». E se da una parte c’era chi parlava di chiusura di porti, «noi abbiamo contrapposto argomenti umanitari nobilissimi, ma che non davano risposta a quel bisogno di sicurezza. Abbiamo pensato che sicurezza fosse una parola di destra». E invece, spiega, «dobbiamo gestire e governare l’immigrazione, che è necessaria, occupandoci anche di ciò che succede nelle città, evitando sacche di degrado e illegalità. Non si può affrontare il tema solo dicendo noi siamo per le posizioni umanitarie».

E sulla alleanza di governo con i Cinque Stelle? Gori ha appoggiato l’alleanza Pd-M5S per la formazione del governo Conte 2. Ma «un conto è uno stato di necessità, un conto è un matrimonio», dice. Molto dipenderà dallo schema elettorale. Nel caso di un sistema maggioritario, le alleanze che dovrà cercare il Pd «non si possono limitare ai Cinque Stelle, perché è un’alleanza perdente», risponde Gori. Stando ai sondaggi, le elezioni si perderebbero. Bisognerebbe invece «tenere aperto un ponte di dialogo anche con chi è uscito dal Pd. Renzi e Calenda non vogliono rientrare nel Pd, ma sono certamente persone con cui abbiamo tanto da scambiarci». Se lo schema elettorale sarà proporzionale, come sembra, «non c’è bisogno di fare alcuna alleanza pre elettorale con i Cinque Stelle. Avremo le carte in regola per provare ad attirare attorno a noi altre formazioni».

Il problema, dice, è che però la difficoltà del Pd di esercitare una egemonia nella alleanza di governo. «Non c’è modo di non vedere che i Cinque Stelle oggi valgono meno della metà del 2018», spiega Gori. «Stiamo parlando di un partito accreditato al 15%. Da Roma in su i Cinque Stelle non esistono. Perché non riusciamo a esercitare una egemonia come ha fatto Salvini quando i 5 stelle erano più forti? Non mi do una risposta: è problema di incisività e di forza».

E l’elenco dei fallimenti del Pd al governo è lungo, secondo il sindaco di Bergamo. «Abbiamo agganciato le relazioni tra Italia ed Europa, ma al di là di quello tante partite ci hanno visto soccombere». Dal Mes a quota 100, dal reddito di cittadinanza ai temi della giustizia. E «per più di un anno toccato i decreti sicurezza di Salvini. Ora li abbiamo modificati, ma il tema immigrazione non l’abbiamo toccato».

Nessuna candidatura in vista alla guida del Pd per Gori, che dice di voler continuare a fare il sindaco di Bergamo. «La mia persona non si candida a guidare il partito», spiega. Però, «spero molto che quando ci sarà occasione di confronto politico vero, come si fa nei partiti democratici, ci sia una posizione più liberal socialista che si confronti con l’altra e che possa prevalere. Bisogna discutere, il Covid tende ad allungare tempi, ma non possiamo rinunciare a un confronto franco tra tutti noi. Tutti i candidati alla segreteria avevano escluso una alleanza con i Cinquestelle, mentre ora non solo ci governiamo, ma qualcuno chiede che sia permanente».

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