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Le imprese e il CovidMalacrida: «Servono manager in grado di cogliere il cambiamento, altrimenti non reggeremo alla seconda ondata»

Secondo il country manager Italia del Gruppo Adecco, tante aziende italiane stanno rispondendo in maniera positiva alle nuove modalità di lavoro, ma si vedono ancora molte resistenze. Il tavolo sullo smart working al ministero del Lavoro? «Rischia di essere l’ennesima opportunità mancata. Tanti addetti ai lavori non sono neanche stati coinvolti»

(Unsplash)

Flessibile, ibrida e fondata sulla fiducia reciproca tra lavoratori e manager. Ecco come sarà, secondo Andrea Malacrida, country manager Italia di The Adecco Group, la «nuova normalità» del lavoro dopo lo shock causato dalla pandemia. «Le aziende italiane», spiega, «vogliono ripartire il più velocemente possibile. L’imprenditore medio non vuole licenziare. Ma se tante aziende si sono organizzate e stanno rispondendo in maniera positiva allo smart working, si vedono ancora molte resistenze. Servono manager in grado di cogliere il cambiamento, altrimenti non reggeremo alla seconda ondata».

Malacrida, in base al vostro osservatorio, quale futuro prevedete per il mondo del lavoro?
Un’indagine fatta tra diverse aziende in diversi Paesi porta oggi a dire che ci sarà un 50% di lavoro a distanza e un 50% in presenza. Ovviamente questa ripartizione sarà molto differenziata rispetto al settore produttivo e interessa soprattutto alcuni lavori. Questa è la tendenza, ma poi come le aziende la fanno propria è un’altra cosa.

Come si stanno organizzando le aziende italiane?
Tante aziende si sono organizzate bene e stanno rispondendo in maniera positiva al cambiamento, registrando anche aumenti di produttività. Ma ci sono anche tanti manager che professano il cambiamento, ma poi tornano alla preistoria rispetto alla necessità di avere il dipendente fisicamente davanti a sé. Molti nei mesi scorsi hanno obbligato al ritorno fisico in azienda, senza un bisogno effettivo. La nuova normalità può essere organizzata sulla fiducia o sul controllo e il sospetto: sono due strade opposte.

Che risultati hanno avuto le aziende che si sono organizzate bene?
Abbiamo avuto la conferma oggettiva che tante attività che hanno traslocato in remoto hanno funzionato meglio e sono state più produttive rispetto al passato.

Sono i manager che devono cambiare in primis quindi?
Serve fare leva sui leader, c’è un chiaro bisogno di formazione dei manager. La maggior parte pensa di saperlo fare, ma non si è interrogato su quali sono le regole per fare smart working. Molti pensano che sia solo una replica a distanza del lavoro tradizionale a cui erano abituati. Alcune aziende sono riuscite a dare continuità al servizio, altre si sono bloccate il secondo giorno. Pensavano di essere in grado di gestire lo smart working, invece non lo erano. Ma se le aziende non si svegliano neanche dopo la seconda ondata, diventerà un problema cronico.

Cosa serve quindi per far funzionare questa nuova dimensione ibrida?
Bisogna saper combinare il lavoro in presenza e quello da remoto, dosando bene le due componenti. Vanno poi definite determinate regole, riuscendo a ricreare lo stesso clima o scenario aziendale che hai quando sei fisicamente presente con l’altra persona. Chi deve coordinare deve riuscire a trasmettere le regole e l’interpretazione di queste regole. E il lavoratore deve conquistarsi la fiducia, trasmettere la stessa disponibilità che darebbe in presenza. Serve un patto chiaro tra lavoratore e azienda in cui si lavori sulla capacità di normare determinati comportamenti, obiettivi e risultati.

Quali sono i comparti aziendali su cui si è dovuto agire per dare forma a questa nuova organizzazione?
La parte tecnologica in primis è stata stressata, in termini di hardware, di software e di connettività, ma anche l’apparato legato alla cybersecurity. Poi è stato importante rafforzare la parte della comunicazione interna, per fare in modo che il virtuale fosse come il fisico, senza reali distanze tra i team.

Al ministero del Lavoro, da poco, è stato avviato un tavolo con le parti sociali per regolamentare lo smart working in Italia. Cosa dobbiamo aspettarci?
Rischia di essere l’ennesima opportunità mancata di interpretare il lavoro e i cambiamenti del lavoro. Tanti addetti ai lavori non sono stati neanche coinvolti. Non sono convinto che le istituzioni in generale possano interpretare nel modo corretto i bisogni del mondo del lavoro attuale, di cui avrebbe grande necessità l’Italia per ripartire il prima possibile.

Quali sono i settori trainanti in questo momento? Quelli che stanno assumendo?
Sicuramente tutto il settore della cura, il medicale, la chimica, le sanificazioni, le pulizie e la detergenza: questo mondo è esploso. Poi, per le consegne e la logistica, c’è una richiesta nella consegna che è incredibile. Ormai un quarto della forza lavoro totale italiana è nel mondo della logistica. E infine l’alimentare che continua a essere in linea con i mesi precedenti. Tutto il resto è in stand by.

Ci sono aziende di altri settori che si stanno spostando verso questi comparti trainanti?
Molte aziende stanno riconvertendo la produzione verso prodotti, attività o servizi che sono determinanti in questo periodo: chi converte la produzione in mascherine, chi in ossigenatori, chi in detergenti. E poi ci sono molti lavoratori che si stanno riqualificando per rispondere alla domanda di lavoro in questi settori a più alta richiesta: chi lavorava in albergo, ad esempio, si sta riqualificando per svolgere mansioni di sanificazione nell’albergo. Infine, ci sono molte aziende che stanno crescendo nella consulenza su tutti i dispositivi di sicurezza richiesti dalle regole anti-contagio. Oggi la reception di un albergo non è più quella di otto mesi fa.