Se il mondo non sarà più lo stesso dopo il Covid-19, anche il lavoro non potrà tornare al passato. Alcuni cambiamenti sui tempi e i luoghi di lavoro erano già in atto prima della pandemia, ma in pochi mesi si è avuta una accelerazione senza precedenti.
Lo smart working, esploso con l’emergenza, è destinato a restare. Chi più, chi meno, si è trovato improvvisamente a ingegnarsi per continuare a lavorare a distanza, scoprendo competenze nella gestione della crisi e della complessità, ma anche nella risoluzione dei problemi quotidiani. Ora sarà difficile tornare ai vecchi uffici. Ma questo cambiamento richiederà nuovi modelli di leadership nelle aziende, e anche un nuovo contratto sociale per i lavoratori più vulnerabili.
Una sorta di “rivoluzione copernicana” che rende necessario investire in infrastrutture digitali e competenze trasversali. Le imprese necessiteranno di leader capaci di guidare i propri collaboratori anche da remoto, sviluppando nuove procedure lavorative e garantendo il flusso trasparente e veloce di informazioni a distanza. E i lavoratori dovranno investire su nuove competenze in grado di renderli resilienti rispetto ai cambiamenti improvvisi.
«È necessario un cambiamento di leadership nelle organizzazioni, dettato dal distanziamento», spiega Andrea Malacrida, country manager Italia di The Adecco Group. E questo cambiamento si può fare in due modi: avendo fiducia nei propri collaboratori o adottando un atteggiamento di controllo e sospetto. «Questo è un punto determinante che può portare a risultati opposti».
Ma le normative di contenimento dei contagi avranno anche un impatto sugli spostamenti, con il flusso transfrontaliero di lavoratori costretto a rallentare nelle principali economie. Le stesse filiere, con blocchi di produzione a macchia di leopardo dentro e fuori i confini nazionali, andranno incontro a uno sgretolamento dei processi a cui si era abituati prima del Covid-19.
Senza dimenticare che l’esigenza di ridurre la presenza fisica in azienda porterà i datori di lavoro a comprimere temporaneamente il numero delle risorse interne. E anche il processo di recruitment subirà uno scossone destinato a restare sul lungo termine, spostandosi prevalentemente sul virtuale e su modalità di selezione da remoto.
E in questo contesto mutato, va considerata anche l’introduzione di nuovi diritti, con un nuovo contratto sociale basato sulla sicurezza dei lavoratori che estenda l’indennità di malattia ai lavoratori che finora non ne hanno goduto.
«C’è la necessità di lavorare sulle nuove geografie e sui nuovi luoghi di lavoro», dice Malacrida. «L’arma principale per rispondere a questa crisi è il reskilling». Sia dei lavoratori che dei manager.
Non è un caso, allora, che tre aziende su quattro indichino già la formazione degli organici aziendali tra le priorità per il rilancio. «È un’urgenza che già c’era», dice Malacrida, «ma questo è un momento disruptive che richiede di analizzare il background formativo dell’azienda e investire in nuove competenze per affrontare i cambiamenti e le trasformazioni a cui si andrà incontro».
Il lavoratore del futuro, però, «non potrà eccellere in una sola competenza. Basti pensare che per “assemblare un Leonardo” oggi avremmo bisogno di 13 differenti specialisti», spiega il manager. Le skill richieste nel futuro imminente – secondo i dati del gruppo Adecco – vanno dall’agility thinking alla social intelligence, dalla conoscenza transdisciplinare all’abilità di operare con e in contesti culturali diversi. Molte di queste competenze, come si vede, sono trasversali e non attribuibili a un solo ruolo, contribuendo a creare una professionalità interdisciplinare.
La parola chiave per il mondo del lavoro post Covid sarà quindi “polymath”. Dal greco: colui che ha imparato molto, ovvero il lavoratore che eccelle in più discipline e le sa unire per produrre cambiamenti in più campi.