Stati generali della RestaurazioneDi Maio è il leader che si meritano i Cinquestelle nella stagione della grande mediocrità

Il rituale finto in cui sarà approvato un documento aperto alle alleanze, al governismo a tutti i costi. Il passato è stato scaraventato in soffitta come un vecchio cimelio. Non è un male, anzi, ma il presente è altrettanto grottesco

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La pomposità del nome – Stati generali – non tragga in inganno: la sceneggiatura dell’appuntamento dei grillini di sabato e domenica è tutta già scritta, e il genere è quello del rito falsamente democratico dove tutto è stato deciso, controfirmato e messo in cassaforte. Ora, la ripetizione di un rituale a beneficio dello (scarso) pubblico pagante è teatro, diremmo che in questa circostanza è teatro comico o meglio ancora farsa animata dai soliti personaggi in cerca di gloria politica.

Nel copione è scritto che Luigi Di Maio ha fatto l’accordo con Roberto Fico dando così vita a una corrente del Golfo che è maggioritaria come lo era la corrente del Golfo di Antonio Gava e Vincenzo Scotti negli anni precedenti il crollo della Democrazia cristiana. Corsi e ricorsi.

Disseminati lungo quest’asse Di Maio-Fico sono gli altri maggiorenti che contano, Paola Taverna, Alfonso Bonafede e chi più ne ha più ne metta, un asse messo su per circoscrivere le chance di Alessandro Di Battista, ormai l’unico bastian contrario dei governisti, che però conta poche truppe pur soffiando sul fuoco degli scontenti tagliati fuori dall’operazione Conte 2 (le Lezzi, le Grillo).

Ma come si vede stiamo parlando di logiche e alchimie da partito super-tradizionale, nulla a che vedere con le velleità che si manifestavano sui palchi di Beppe Grillo (non a caso ben lontano da questo appuntamento) a botte di vaffanculo e assalti al cielo della politica in uno stordimento populista che preconizzava un futuro a misura di Casaleggio padre (stavolta il figlio è stato messo da un lato).

Tutto lontano, tutto finito, tutti ricordi scaraventati nelle soffitte della Storia, cimeli tristi di un passato a suo modo rivoluzionario, memorie ormai inerti in questo tempo di grande restaurazione contian-dimaiana, tutta brace fredda che non si rianimerà più. È questo infatti il tempo del governismo a tutti i costi, Salvini o Zingaretti per me pari sono, e se dopo il Papeete oggi va di moda il Partito democratico ponti d’oro al Partito democratico ed evviva il Nazareno, qualunque cosa pur che vada bene ai dem.

Volete il Mes? E alla fine siamo d’accordo anche noi. Volete escludere la Raggi dalla corsa di Roma? E vedremo di convincerla, sperando in una sentenza del Tribunale per lei negativa. La famosa alleanza strategica declinata da Dario Franceschini come una grande strategia viene dal Movimento interpretata come nei paesini, una mera intesa di potere.

Tutto sommato, è meglio di niente. È evidente che questa linea non porta voti – a quanti stanno i grillini? Al dieci percento? – perché senza un progetto politico vero più di tanto non puoi raggranellare, e anzi produce sempre maggiore disillusione. Tanto è vero che per decidere i 30 che parleranno per cinque minuti ognuno ha votato sul blog solo il 17 percento degli aventi diritto, per in totale di 26mila persone, pensa che grande partito.

Gli Stati generali della Restaurazione approveranno un documento di stampo dimaiano, apertissimo alle alleanze, l’esatto opposto del solipsismo autarchico e autoreferenziale – una sorta di sovranismo applicato a se stessi – trasformatosi dunque in una totale disponibilità alla logica dell’accordicchio di potere.

La mitica collegialità invocata tante volte ripeterà su scala interna questa inedita mentalità inciucista, misurando con il bilancino da vecchio manuale Cencelli il peso delle correnti all’interno di una specie di segreteria che verrà istituita dopo l’appuntamento online di sabato e domenica.

Vedremo se Di Battista si limiterà a piagnucolare per magari poi eclissarsi ma è chiaro che in un partito nel quale ormai la democrazia è pura rappresentazione scenica il potere vero sarà tutto o quasi nelle mani del ministro degli Esteri, vero unico leader, perfetto nella stagione della grande mediocrità della politica.

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