«Ho rappresentato un cambiamento nell’esercizio del potere, è indiscutibile. La mia sola presenza preoccupava le persone, in alcuni casi esplicitamente, in altri inconsciamente». Barack Obama sa che la sua presidenza è stata uno dei punti di svolta nella storia degli Stati Uniti, dell’Occidente, del mondo intero.
Il primo presidente afroamericano alla Casa Bianca è stato intervistato nel suo ufficio di Washington da Jeffrey Goldberg dell’Atlantic, una lunga conversazione – avvenuta tra mercoledì 11 e venerdì 13 novembre – in occasione della pubblicazione del memoir “A Promised Land” (pubblicato in Italia da Garzanti con il titolo “Una terra promessa”), il primo dei due volumi in cui ha diviso le sue memorie: questo va dalla sua infanzia fino all’operazione di cattura di Osama bin Laden nel 2011.
Nell’introduzione al suo articolo Goldberg spiega che Obama era di buon umore, felice di discutere del lavoro che lo ha impegnato negli ultimi tre anni e che lo stesso giornalista definisce «un libro di memorie presidenziale insolito: insolitamente interiore, insolitamente autocritico, insolitamente moderno (questo è il primo libro di memorie presidenziale, credo, che usi l’espressione ethereal bisexual per descrivere un interesse amoroso non corrisposto) e insolitamente ben scritto».
I cambiamenti portati dall’amministrazione Obama rientrano in quella gamma di effetti che si misurano prima ancora dell’entrata in vigore di una nuova legge o di un accordo diplomatico. «Se quando Michelle e io – dice l’ex presidente – ci diamo un pugnetto, un giornalista di Fox News chiede se sia un pugno da terroristi è abbastanza chiaro cosa sia cambiato. In alcune vignette degli oppositori dell’Affordable Care Act (la riforma sanitaria varata dall’amministrazione Obama, ndr) io sono vestito da stregone africano con un osso al naso, non ci sono molte interpretazioni possibili».
È uno dei motivi ricorrenti nelle discussioni sulla presidenza Obama: è difficile valutare quanto sia effettivamente cambiata la società americana, soprattutto per gli afroamericani, negli otto anni in cui è stato alla Casa Bianca. Obama però su questo sembra essere orientato su un giudizio positivo: «Le cose sono effettivamente migliorate. Non lo dico come motivo di compiacimento, piuttosto come uno stimolo all’azione. E soprattutto non significa che non possano peggiorare».
La conversazione tocca diversi argomenti, si va dall’attualità della convivenza con il virus, all’ottimismo obamiano sull’evoluzione della società nel lungo periodo, fino alla nuova stagione politica. Uno dei grandi protagonisti del discorso è inevitabilmente Donald Trump: Obama lo definisce «petulante», lo considera una minaccia per la democrazia americana, ma non tanto la radice del problema, quanto una conseguenza.
Intanto, dice Obama, Trump non rappresenta il modello di uomo forte americano: «Penso al classico eroe maschile nella nostra cultura: i John Wayne, i Gary Cooper, i Jimmy Stewart, i Clint Eastwood. C’era un codice, un’idea che un uomo è fedele alla sua parola, che si assume la responsabilità, che non si lamenta, che non fa il bullo ma difende i deboli. Penso che questa sia l’influenza della televisione nella cultura, che a volte mi manca perché non guardo molta tv. L’America ha sempre avuto un sistema di caste, non solo razziale ma anche economico. Ma quando inizi a vedere lo stile di vita dei ricchi e famosi, si trasmette la sensazione che o ce l’hai anche tu o sei un perdente. E Donald Trump incarna quel movimento culturale che è profondamente radicato ora nella cultura americana», dice Obama.
Modi e costumi che si ritrovano anche nell’attualità di questi giorni, con la transizione di poteri resa difficoltosa proprio da Trump: «Nonostante tutte le differenze tra me e George W. Bush – dice l’ex presidente – lui e la sua amministrazione non avrebbero potuto essere più gentili nell’assicurare un trasferimento regolare dei poteri. Una delle cose davvero angoscianti della situazione attuale è la quantità di tempo che si sta perdendo a causa della petulanza di Donald Trump e della riluttanza degli altri repubblicani a richiamarlo».
L’allineamento del Partito Repubblicano ai modi e allo stile trumpiano sono la vera sorpresa, dice Obama, non tanto il carattere e il comportamento del presidente stesso: «Non riuscivo a credere con quanta facilità l’establishment repubblicano, persone che sono a Washington da molto tempo e credono in valori e norme istituzionali, abbiano semplicemente ceduto. Penso a John McCain: nonostante tutte le mie divergenze con lui, non avrebbe mai appoggiato un presidente che si accostava a Vladimir Putin o preferiva le interpretazioni russe degli eventi rispetto a quelle delle sue stesse agenzie di intelligence. Vedere gli esponenti del Partito Repubblicano ribaltare tutto ciò che hanno affermato di credere in precedenza è preoccupante. Certo, il Tea Party è radicato in frustrazioni reali che le persone stanno vivendo per i salari stagnanti e la deindustrializzazione. Fin dall’inizio della mia presidenza è stato evidente che si potevano manipolare rabbia e frustrazione e indirizzarle in quella che considero una direzione piuttosto malsana».
Allora Goldberg gli chiede se un atteggiamento più distensivo con i repubblicani durante il suo doppio mandato avrebbe portato risultati migliori: «Il problema con i repubblicani non è che non li ho corteggiati abbastanza. Il problema era che trovavano politicamente vantaggioso demonizzare me e il Partito Democratico. Tutto ciò è stato amplificato da organi di stampa come Fox News che avevano grande presa sui loro elettori, così nel tempo per i repubblicani è diventato molto difficile scendere a compromessi», replica Obama.
È in questo contesto politico che nasce la presidenza Trump. Ma le dinamiche che si vedono a Washington sono le stesse che esistono al di fuori del Congresso, della Casa Bianca, dei luoghi della politica. Per l’ex presidente le trasformazioni tecnologiche, con l’arrivo delle grandi aziende del settore che hanno stravolto i canoni dell’informazione e della comunicazione, rappresentano la più grande minaccia per la nostra democrazia. E Trump è un prodotto di tutto questo, al massimo ha contribuito ad accelerare un cambiamento, ma non lo ha creato.
«È un cambiamento piuttosto drastico – spiega Obama – ma non puoi rimettere il genio nella bottiglia. Non puoi cancellare internet, nemmeno le tante emittenti in onda che parlano solo alla loro nicchia in base alla preferenza politica. In questo modo diventa molto difficile affrontare grandi temi, dire per esempio “Ehi, abbiamo una pandemia, è mortale; mettiamo da parte le faziosità e ascoltiamo Anthony Fauci”. Non voglio dire che ritengo le società tecnologiche interamente responsabili. Però dobbiamo trovare una soluzione, perché se puoi perpetrare bugie folli e teorie del complotto, se non abbiamo la capacità di distinguere il vero dal falso, allora per definizione le idee perdono valore. E la nostra democrazia non funziona. Stiamo entrando in una crisi epistemologica».
Tra tutti gli esempi possibili per rafforzare le sue parole, Obama ne sceglie uno particolarmente attuale, che segna un cambio di paradigma netto tra la sua amministrazione e quella del suo successore. Parlando di cambiamento climatico fa riferimento al fatto che si possa intavolare una discussione sulle reazioni, sulle misure e i provvedimenti da prendere in merito, ed è perfino possibile dialogare con chi ritiene che sia troppo tardi per fare qualcosa quindi tanto vale adattarsi ai cambiamenti in atto. «Ma se mi dici solo che il cambiamento climatico è una bufala dei liberali, che i filmati sullo scioglimento dei ghiacci sono finti, da dove iniziamo a cercare una soluzione al problema?».
È quel genere di comportamento che l’amministrazione Trump ha avuto nei confronti del virus in questi mesi. Obama ad esempio riconosce che questa situazione inedita avrebbe messo in difficoltà qualsiasi presidente così come ha messo in difficoltà i Paesi che hanno agito in modo responsabile. «Se magari dalla Casa Bianca avessero detto fin dall’inizio “seguiamo la scienza e persone come il dottor Fauci” forse avremmo salvato alcune vite e avremmo avuto un controllo migliore della malattia».
Resta però un ottimismo di fondo nelle parole di Obama, un’idea positiva della storia degli Stati Uniti e di tutta l’umanità, che gli ultimi quattro anni non possono cambiare: è l’idea di un progresso discontinuo, provato dall’elezione di Joe Biden che certifica un passo avanti per il Paese. «Quello che ho sempre creduto è che l’umanità abbia la capacità di essere più gentile, più giusta, più razionale, più tollerante. Non è inevitabile. La storia non si muove in linea retta. Ma ci sono abbastanza persone di buona volontà che sono disposte a lavorare per conto di quei valori, allora le cose possono migliorare. L’America importante per il mondo, perché è il primo vero esperimento di costruzione di una grande democrazia multietnica e multiculturale. E non sappiamo ancora se può reggere».