Trump e il finto orgasmo
«Il golpe di Trump è come un finto orgasmo», diceva ieri Rick Wilson del Lincoln Project in “The New Abnormal” (l’unico podcast politico ancora sopportabile, non si prendono sul serio e spettegolano tantissimo). Tradotto: molto rumore, grande agitazione strumentale, ma poco coinvolgimento, nessuno pensa che Trump faccia un golpe. Sia perché i vertici militari sono contrari, sia perché, dicono, è troppo pigro (e di certo i servizi segreti non lo aiuteranno, non i vertici e non gli agenti che lo scortano, si è saputo ieri che ne ha fatto infettare 130). E poi il suo apparato di indignazioni post-elettorali si sta smantellando.
La campagna di Trump è stata abbandonata da un altro studio legale, Porter Wright, quello più impegnato nelle cause per presunti brogli. E il presidente uscente è stato invitato ad ammettere la sconfitta perfino dal Las Vegas Review-Journal. Che è di Sheldon Adelson, miliardario di zona, suo principale finanziatore elettorale (quest’anno gli ha dato 75 milioni).
Un gruppo di dirigenti degli uffici elettorali federali, statali, e locali ha prodotto un documento in cui si spiega che è stata «l’elezione più sicura della storia americana», e che le accuse di brogli sono «rivendicazioni infondate». Theodore Olson, il legale di George W. Bush alla Corte Suprema nel 2000, parlando alla Federalist Society ha fatto un elegante discorso traducibile in «Donald, stacci. L’elezione è finita e hai perso». E ieri è finita sul serio, l’Arizona e stata assegnata e Biden non ha più bisogno di Pennsylvania e Georgia.
Al netto di colpi di testa prima di gennaio (qualcuno dice un attacco all’Iran, però magari no) e beghe giudiziarie, molti prevedono che il prossimo ruolo di Trump sarà di “troll in capo”, che perseguita l’amministrazione Biden su Twitter, da Palm Beach.
Biden fa una cosa di sinistra
Nel transition team di Joe Biden sono stati chiamati dei critici di Wall Street, tanto per segnalare la fine dell’iper-indulgenza trumpiana verso la finanza. A occuparsi di regolamenti ci sarà con una sua squadra Gary Gensler, già ingaggiato da Barack Obama, che non aveva fatto felici le grandi banche dopo il 2008. Biden è in ottimi rapporti con Wall Street, ultimamente è stato molto finanziato, e i nuovi arrivi hanno sorpreso qualcuno e fatto contenta la sinistra del partito. «È un all-star team di esperti intelligenti e aggressivi che conoscono le magagne del sistema finanziario», ha lodato Bharat Ramamurti, ex consigliere di Elizabeth Warren (Warren voleva il Tesoro; con un Senato probabilmente a maggioranza repubblicana, lei e Sanders non verrebbero approvati; in più lei e Bernie vengono eletti in stati con governatori repubblicani che nominerebbero un repubblicano per terminare il mandato, quindi resteranno senatori, salvo imprevisti).
Le chat di scuola salveranno Jivanka
La previsione è di Emily Jane Fox, giornalista di Vanity Fair e autrice di Born Trump, sugli eredi del presidente uscente. “Jivanka” è un soprannome di Jared Kushner e Ivanka Trump, che da gennaio dovrebbero tornare a New York e che presentano problemi di accettabilità sociale per cui ci vorrebbe la penna di Edith Wharton (più che per L’età dell’innocenza per The Custom of the Country, grande storia di ansie e arrivismi).
Jared e Ivanka non sono più ben accetti nella società newyorkese di prima fascia, quella invitata al Met Gala, quasi tutta anti-trumpiana. Però, ha sostenuto Fox nel suo podcast The Hive, potranno frequentare i genitori delle scuole ebraiche. Non quelli riformati e riformisti, gli ortodossi e osservanti come Kushner, a cui la politica ultra-filoisraeliana di Trump non è dispiaciuta.
Altri nuovi amici di un’eventuale post-pandemia potrebbero essere dei ricchissimi di paesi petroliferi o comunque lontani, delle mogli di oligarchi russi, dei ricchi meno ricchi e molto aspirazionali. Che rischiano, dice Fox: potrebbero venire ostracizzati pure loro se si saprà che cenano con Jared e Ivanka. I due potrebbero diventare un rara coppia che conta molto sulle chat di classe, ma forse no.
Il giudice federale non salva Trump
L’11 dicembre, tre giorni prima che i grandi elettori dei vari Stati si incontrino per votare Joe Biden presidente, un giudice federale ha convocato un’udienza a distanza sul caso di E. Jean Carrol. La giornalista accusa Trump di averla stuprata 23 anni fa in un camerino di Bergdorf Goodman (luogo e personaggi da Sex and the City, non rendono, in caso, lo stupro meno stupro). Il giudice ha anche respinto la richiesta del dipartimento della Giustizia di rappresentare Trump in una causa che Carroll gli ha fatto per diffamazione (dopo il 20 gennaio, si prevedono svariate indagini su Trump; ma le accuse di Carroll potrebbero portare a un processo spettacolare, purtroppo con molto Trump).
Barrett, la mano di Dio
Amy Coney Barrett è forse pronta a essere la mano di Dio in terra; in caso Dio abbia deciso di scatenare l’Apocalisse. L’arcidiocesi cattolica di Brooklyn ha chiesto alla Corte Suprema di abolire il numero chiuso anti-Covid di partecipanti alle cerimonie religiose. La Corte ha già respinto altre richieste simili; i conservatori avevano votato per le messe-focolaio, ma il Chief Justice John Roberts ha votato coi liberal. Ora però, dicono all’arcidiocesi, «le circostanze sono cambiate». C’è una nuova giudice che tende a schierarsi con le chiese ( Coney Barrett «è fondamentale per la sopravvivenza della nostra libertà religiosa», ha detto Trump all’evento nel Rose Garden dove si sono infettati tutti).
Black Lives Matter al Congresso
I centristi della Camera si disperano per i seggi persi (specie due deputate ex della Cia, Abigail Spanberger ed Elissa Slotkin, che prevede «una guerra civile democratica»). E se la prendono molto con Alexandria Ocasio-Cortez e la sua Squad, Ayanna Pressley, afroamericana, Rashida Tlaib, di origine palestinese, Ilhan Omar, nata in Somalia. Intanto la Squad accoglie un nuovo membro, la prima attivista di Black Lives Matter eletta al Congresso. È Cori Bush, infermiera, pastora fondatrice di una chiesa, eletta nella St. Louis dei ghetti ma anche dei quartieri borghesi dove accoglievano i dimostranti con armi di un certo livello. Bush, parlando col New Yorker, ha detto di non essere preoccupata perché molti repubblicani (e qualche democratico) trattano le giovani deputate di colore e di sinistra “come punching bags”: «Ho dovuto fare i conti con la rabbia contro quelli come me tutta la vita. La rabbia della destra, degli estremisti, dei suprematisti» (Bush non cita la polizia, ma racconta che, crescendo, gli abusi dei poliziotti erano continui).
Per il momento, deve fare i conti con i conduttori di Fox che la confondono con Cory Booker. È successo l’altra sera a Sean Hannity, che ha poi concluso «non sapevo che ce ne fossero due» (e comunque pensava lei fosse un uomo).
Tommy Tuberville, uno storico al Senato
Tuberville, neosenatore repubblicano dell’Alabama, ex allenatore di college football, è un big man on campus nato. Come John Belushi in Animal House, che per motivare gli amici gridava «ci siamo forse arresi quando i tedeschi hanno bombardato Pearl Harbor?». In un’intervista al podcast dell’Alabama Daily News, Tuberville ha spiegato che Joe Biden è un socialista, il che è inaccettabile: «Mio padre ha combattuto nella Seconda guerra mondiale per liberare l’Europa dal socialismo», e presto forse toccherà all’America (i giornalisti fissi al Senato twittano «seguirlo sarà interessante»).
Florida Men, Parscale e gli immobili
Brad Parscale è stanco della politica. L’ex campaign manager di Trump, indagato per 40 milioni spariti e arrestato per aver dato di matto ha detto al Daily Mail che vuole «tornare a essere nessuno». E fare quel che gli piace veramente, comprare e vendere case. La casa di Fort Lauderdale dove è stato arrestato è sul mercato per 3 milioni e 149 mila dollari (l’aveva pagata 2 milioni e 450 mila, quindi bene). Parscale vende anche due condomini sulla spiaggia, uno a 965 mila dollari, un altro a 1milione e 200 mila (Parscale sta per avere molte spese legali, o forse sta per scappare, non si sa).