I nuovi poveriLa pandemia ha distrutto la classe media che adesso chiede aiuto per mangiare

Dalla scorsa prmavera le richieste al Banco Alimentare sono aumentate del 40%: si rivolgono alla rete delle Caritas Diocesane, si trovano in fila alle mense o in lista per i pacchi alimentari. Per molti è la prima volta e se ne vergognano

Cecilia Fabiano/ LaPresse

Ci sono artigiani, piccoli commercianti e camerieri. Ma anche lavoratori dello spettacolo e guide turistiche. Ai tempi del Covid, in fila alle mense o in lista per un pacco alimentare si registrano molti insospettabili. Una processione silenziosa e in aumento, quella dei nuovi poveri. La classe media, che media non lo è più.

Nel periodo tra maggio e settembre quasi la metà di chi si è rivolto alla rete delle Caritas Diocesane lo ha fatto per la prima volta. Un anno fa era il 31 per cento, oggi il 45. Molti nel Mezzogiorno, ma non solo. Famiglie per la maggioranza italiane, con figli minori. «La situazione è drammatica, bisogna fare i conti con un bisogno che continuerà a crescere», racconta a Linkiesta Giovanni Bruno, presidente della Fondazione Banco Alimentare, che assiste 2 milioni e 100mila persone attraverso ottomila strutture accreditate.

L’emergenza sanitaria è diventata crisi economica, ancor di più per chi ha perso il lavoro e adesso non riesce a mettere un pasto in tavola. Le zone rosse porteranno nuove chiusure e lo stop di altre attività. Un lockdown generale aggraverebbe un quadro già compromesso.

Cassa integrazione, ristori, blocco dei licenziamenti. Oltre alle buone intenzioni dei decreti, ci sono i numeri di un Paese in sofferenza. E famiglie che si sentono abbandonate. Secondo un’analisi della Coldiretti, a Natale quattro milioni di italiani saranno costretti a chiedere aiuto per il cibo da mangiare. Il cenone coi parenti non salterà a causa del virus, ma per colpa del portafoglio vuoto.

Il terzo settore si è mobilitato da tempo. Eppure chi porta il cibo ai più poveri rischia di dover rallentare il proprio lavoro, in un momento in cui le richieste s’impennano. Durante il primo lockdown molte associazioni hanno avuto serie difficoltà di spostamento.

Tra autocertificazioni, burocrazia e rischio multe, i volontari dovevano rincorrere le autorizzazioni delle autorità locali per poter raccogliere e trasportare il cibo. Adesso gli enti caritativi sperano che gli ostacoli siano superati, un’ordinanza del Ministero del Lavoro dovrebbe aver sciolto i nodi.

Il presidente del Banco Alimentare chiede concretezza: «Non vogliamo che ci dicano che siamo bravi, basta un minimo riconoscimento operativo che faciliti il nostro lavoro. Siamo fornitori di un servizio pubblico essenziale per tantissimi concittadini. Vogliamo continuare a fare la nostra attività ordinaria, pur in una situazione straordinaria come quella che stiamo vivendo».

Nell’Italia pre-Covid i poveri assoluti stimati dall’Istat risultavano 4,6 milioni, pari al 7,7 per cento della popolazione. Numeri superati da una pandemia che ha spazzato via tutte le certezze. Dalla scorsa primavera le richieste di aiuto al Banco Alimentare sono aumentate del 40 per cento, con punte del 70 per cento, ma a livello locale arrivano anche al 200 per cento. «Per fare un esempio basti pensare che nel milanese, a Cernusco sul Naviglio, si è passati da 30 nuclei familiari aiutati a 135».

Il presidente del Banco spiega: «Continuiamo a ricevere telefonate e mail con richieste di aiuto. Ci dicono: “Non lo faccio per me, ma per i miei vicini che hanno bisogno e non oserebbero mai dirlo”. Oppure “preferisco non rivolgermi alla parrocchia del quartiere perché mi conoscono”. C’è ancora molta vergogna nel chiedere aiuto. Parliamo di persone che hanno sempre vissuto dignitosamente del proprio lavoro e ora si trovano in una situazione di debolezza. L’aumento dei contagi ha fatto crescere il senso di vulnerabilità».

In questa seconda ondata, nemmeno la rete del no-profit resta immune. Alcune strutture caritative stanno chiudendo, soprattutto quelle rette da volontari anziani, i veri soggetti a rischio. Qualche mensa ha fermato l’attività, perché non avrebbe potuto garantire il rispetto del distanziamento.

Altre si sono trasformate raddoppiando e triplicando i turni dei pasti per evitare assembramenti. Hanno previsto percorsi separati di entrata e uscita, si sono attrezzate con sanificazioni e plexiglass. Più volontari e costi maggiori per adeguare le strutture. «Tutto a carico nostro ovviamente», raccontano dagli enti caritativi.

La modalità preferita in tempi di pandemia è quella del pacco cibo, spesso consegnato a domicilio. Pasta, biscotti, olio, omogeneizzati, sughi. «C’è qualcuno che si ricorda di me e mi sostiene in questo momento assurdo», dice che riceve aiuto. Spesso tra volontari e beneficiari si crea un rapporto di amicizia. La diffidenza iniziale cede il passo alla confidenza. Prima del Covid si entrava in casa e si beveva un caffè insieme, oggi il pacco viene lasciato sullo zerbino e si chiacchiera al telefono.

Per rispondere all’aumento delle richieste, sono cresciute le donazioni delle aziende della filiera agroalimentare. Ma la raccolta del cibo cambia volto, è inevitabile. Ogni anno il Banco organizza la Giornata della Colletta alimentare: nei supermercati migliaia di volontari con la pettorina gialla invitano i clienti a fare la spesa per i più poveri.

Quest’anno però niente folle davanti ai market. «Per garantire la raccolta nella massima sicurezza, dal 21 novembre all’8 dicembre proporremo una card da due, cinque o dieci euro acquistabile alla cassa oppure online. Soldi che si trasformeranno in cibo per gli indigenti».

Un gesto importante in un periodo denso di proteste e tensioni sociali, spesso cavalcate dalle frange estremiste. Attività come la distribuzione del cibo rappresentano anche un contributo al mantenimento dell’ordine pubblico, «Chi lavora per venire incontro a questi bisogni previene le strumentalizzazioni delle necessità primarie delle famiglie da parte della criminalità», ha riconosciuto il prefetto di Catania Claudio Sammartino.

E il presidente del Banco Alimentare non ha dubbi: «La generosità va educata, sostenuta e alimentata. Con la nuova ondata del virus, vedo il rischio di un individualismo di ritorno. Dopo i canti sui balconi e la solidarietà della scorsa primavera, oggi la paura potrebbe generare il si salvi chi può e sarebbe deleterio per la convivenza civile». Ognuno dovrebbe fare la sua parte. Il governo, prima di tutti. «Le istituzioni, quando va bene, conoscono il bisogno, ma è il volontario sul territorio che conosce il bisognoso».

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