Nuove mostruositàGli indignati e l’ascesa della cancel culture in live streaming

Forse per una volta abbiamo fregato gli americani: mentre nella cultura della cancellazione originale si cancellano le persone che in passato avevano commesso azioni oggi ritenute impresentabili, noi siamo passati alla cancellazione istantanea. Lo dimostrano i casi di Nicola Morra, la Lamborghini e Detto Fatto

Unsplash

Forse per una volta riusciamo a fregare gli americani: questa settimana abbiamo collaudato la “Cancel culture in live streaming”. Una versione premium di quella tradizionale, più veloce, ritmata e avvincente.

Ora, la Cancel culture finora si è giocata su tre tempi: il passato in cui il soggetto aveva commesso azioni o detto parole; il presente in cui qualcuno ripescava quelle azioni o parole e le trascriveva nella sede che considerava più opportuna (solitamente Twitter); il futuro in cui altre persone decidevano di non lavorare più con il soggetto in questione, di rimuovere ogni riferimento a collaborazioni passate o di eliminare ogni oggetto che lo ricordasse. Tra il primo e il secondo tempo potevano passare da pochi secoli, vedi gli ex-presidenti, a pochi mesi, vedi famosi registi. Tra il secondo e il terzo solitamente alcune settimane, intervallo fondamentale in cui le polemiche passavano il filtro della fermentazione: alcune maturavano arrivando alla fase della cancellazione vera e propria; le più si esaurivano e venivano cancellate (loro) attraverso un banalissimo processo di sostituzione con nuovo hashtag.

Nella “Cancel culture in live streaming”, risultato dell’impasto di dirigenti parastatali, manager spaesati, molta noia, poco tempo, molto terrore, poco ascolto, i tre tempi si comprimono parecchio e stanno dentro a una giornata.

Azione, polemica, cancellazione.

Se l’intensità dell’on demand è buona, ce la fanno pure in un pomeriggio. Nell’ultima settimana ce l’hanno fatta tre volte. La prima politica, la seconda fotografica, la terza televisiva.

Al mattino del venerdì 20 novembre Nicola Morra dice una frase molto discutibile su Jole Santelli? La sera del venerdì 20 novembre gli viene impedito di partecipare come ospite a un programma di Rai 3 a cui era stato invitato tre giorni prima. Quelli della direzione Rai gli dicono che vogliono «evitare di alimentare polemiche». È la variante della maligna battuta che circola nei corridoi di viale Mazzini, solitamente riferita alla notizia: «Se la conosci, la eviti», la polemica. Pazienza se quella puntata è dedicata proprio alla sanità calabrese, se buona regola del giornalismo è far parlare i protagonisti piuttosto che evitarli e se un parlamentare si vede bloccata un’apparizione. Magari anni fa avremmo riempito piazze di striscioni o social di hashtag. Ma con altri protagonisti, altri governi, altri tempi, altre tempistiche.

Passano due giorni. La Lamborghini pubblica sui suoi social alcuni scatti commissionati a Letizia Battaglia per un progetto piuttosto figo. Si vedono paesaggi palermitani, Lamborghini e bambine. Quelli che conoscono la storia e le opere di Letizia Battaglia sanno che le bambine sono da decenni al centro della sua ricerca. Gli altri sono la maggior parte di quelli che protestano: le immagini sono «sessiste, maschiliste, problematiche per il retaggio culturale che queste evocano», scrivono quelle di Non una di meno. Nel giro di un pomeriggio, sindaco e azienda corrono ai ripari. Orlando chiede che la campagna pubblicitaria venga sospesa. I dirigenti dell’azienda si precipitano a dire che sì, va bene, sospendiamo tutto, non siamo d’accordo per niente, ma leviamo immediatamente. Di più, rimuoviamo subito le foto pubblicate su tutti i social.

Giuste o no le polemiche (anzi, diamo per scontato che siano tutte e tre giuste), quello che colpisce della “Cancel culture in live streaming” è il processo. Niente spiegazione, niente difesa delle opere della fotografa, niente dibattito, manco quello con due “b”. Letizia Battaglia si dice ferita, prova addirittura a spiegare i suoi decenni di carriera, la sua iconografia, quelle foto (una delle qualità imprescindibili dei grandi fotografi è la pazienza). Qualche ora dopo, si dimette dalla direzione del Centro Internazionale di Fotografia a Palermo, progetto che era riuscita a fondare dopo tanti sforzi tre anni prima, nella sua città.

Riflessioni, proteste, editoriali, inviti a ripensarci? Macché. La “Cancel culture il live streaming” si nutre di se stessa, di quella che Michele Serra definisce «lo spirito della punizione, della colpa (sempre altrui), di un feroce moralismo di gruppo». Due giorni, ed è l’ora di una nuova polemica. A Detto Fatto va in onda il tutorial di Emily Angiolillo. Davanti alle proteste l’amministratore delegato della Rai Fabrizio Salini fa quello che fanno gli altri: cancella. Cancella tutto. Avvia un’istruttoria, ma intanto decide la rimozione della puntata incriminata da RaiPlay e la sospensione immediata del programma, per fare «valutazioni sul suo futuro». Non specifica che le valutazioni sul futuro si fanno a inizio stagione, e non specifica perché il programma che va in onda da anni e con contenuti simili debba essere sospeso proprio da quel giorno.

E qui, come in ogni buona farsa, si compie il capolavoro. Per riempire il buco della giornata del 26 novembre, visto il programma sospeso, quelli di Rai2 decidono di mandare una replica del programma sospeso. Che contiene un altro tutorial sexy, questa volta una sfilata di lingerie con la musica del film Nove settimane e mezzo. La piddina Valeria Fedeli non si trattiene: «Ma ci state prendendo in giro?!». Nuove scuse degli ormai rintontiti dirigenti Rai, che ora si suppone non abbiano manco mai visto Detto Fatto, e decisione di sospendere pure le repliche. Capolavoro di Cancel culture in live streaming con tanto di replay on demand.

Ora, difficile prevedere quanta strada farà questa cosa qua. Molto dipenderà dalla reazione delle folle (stiamo pur sempre parlando di Twitter) davanti alla notizia della cancellazione subitanea. Se sarà di plauso, in futuro dirigenti, politici e manager potrebbero osservare sempre più scrupolosamente e velocemente il comandamento di Carlo Fruttero che valeva per scrittura e aggettivi: «Nel dubbio, togli. Togli tutto». Ché così ti pari meglio, sazi la folla e aspetti la prossima shitstorm.

Se la reazione sarà dubbiosa, come già è stata nel caso di Detto Fatto, potrebbero fare quello che i funzionari politicamente più furbi sanno fare meglio di tutti da sempre: stare seduti ad aspettare. Sopportare il proprio turno di shitstorm e attendere il prossimo, che presto investirà qualcun altro. Oppure potrebbero percorrere la terza strada: quella che prevede di ascoltare una legittima polemica, documentarsi, ascoltare tutte le istanze, ascoltare i protagonisti, seguire procedure democratiche, garantire i diritti di tutte le parti, valutare il da farsi, argomentare e solo alla fine prendere una decisione intellettualmente onesta da comunicare in maniera trasparente. Altro che live streaming, roba da buona, vecchia, replica in seconda serata tv (senza alcun riferimento ai Bellissimi di Rete4, prima che il dir mi sospende pure a me).