Il silenzio italiano sulla prima impalcatura del Recovery Plan da presentare entro gennaio per ottenere i 209 miliardi di fondi europei comincia a preoccupare anche Bruxelles. La fiducia che il governo di Roma rispetti la road map inizia a vacillare – scrive oggi Repubblica. Tanto che negli ultimi giorni nella Commissione europea si inizia a fare riferimento a un potenziale “caso Italia”, nel caso in cui il governo Conte non dovesse presentare con puntualità il piano nazionale.
L’allarme è iniziato a risuonare la scorsa settimana, quando alcuni dei Paesi dell’Unione – l’ultimo è stato la Francia – hanno depositato negli uffici della Commissione i loro progetti.
La paura è che l’esecutivo di Conte abbia ormai accumulato già un sensibile ritardo. I tempi, va detto, non sono scaduti. Il limite, però, non è lontano: entro la prima metà di gennaio l’impalcatura del piano dovrà essere pronta. Ci sono meno di due mesi a disposizione, non più di 45 giorni, se si considera la pausa natalizia.
Dopo le linee guida generali di settembre, i passi avanti sono stati pochi. La situazione è seguita da Bruxelles con una certa preoccupazione, soprattutto perché l’Italia è la prima beneficiaria dei 750 miliardi messi a disposizione dopo l’accordo del 21 luglio al Consiglio europeo. A Roma ne sono stati riservati 127 di prestiti e 81 a fondo perduto. Eppure la macchina che doveva sfruttare l’«occasione storica», come l’hanno definita diversi ministri, al momento sembra ingolfata.
Oltre i famosi 557 progetti di discutibile valore, inviati alla cabina di regia del ministro Enzo Amendola, non si è visto più nulla. Tutto è ammantato dalla segretezza intorno al lavoro di Palazzo Chigi. Nella manovra è stato inserito un articolo che prevede una task force, un supercommissario e due conti correnti per ricevere i fondi da Bruxelles. Ma per fare cosa ancora non si sa.
I singoli ministeri fanno ancora a gara a intestarsi una quota di fondi anziché organizzare progetti in grado di ottenere il via libera della Commissione. E molti ministri puntano l’indice sulla scarsa collaborazione tra gli apparati dei due dicasteri chiave, quello degli Affari europei e quello dell’Economia.
Il problema, però, non è di poco conto. Il ritardo italiano può comportare lo slittamento dei finanziamenti a nostra disposizione. Il 10 per cento di anticipo previsto per il 2021 (quasi 20 miliardi) sarà effettivamente stanziato solo dopo il formale via libera europeo. L’esame, però, tra Commissione e Consiglio, richiede però almeno un paio di mesi. E il pericolo concreto dunque è che i soldi arrivino alla fine del 2021.
Se a questo si somma l’orientamento di non ricorrere al Mes, le conseguenze potrebbero essere disastrose. Senza fondi la possibilità di intercettare la ripresa e di facilitare il rimbalzo del Pil verrebbe vanificata. Del resto la legge di bilancio appena presentata in Parlamento si appoggia su una gamba che in questo modo non esiste. Al di là di sussidi e sostegni, la parte degli investimenti è stata delegata al Recovery Fund.
Fino all’approvazione finale del “Next Generation Eu”, che ancora non è stata formalizzata per l’opposizione di Ungheria e Polonia sul vincolo dello stato di diritto, nessuno può escludere neanche l’opposizione dei “frugali” del nord. Che, davanti a un eventuale ritardo italiano, potrebbero riaccendere la miccia delle tensioni di luglio.
Anche perché – spiega Repubblica – il clima intorno al nostro governo a Bruxelles è cambiato. La vittoria di Joe Biden negli Stati Uniti e l’arretramento del consenso sovranista in Italia rendono il governo di Roma meno imprescindibile. Nella maggioranza c’è una certa agitazione, soprattutto dopo le uscite di Di Maio e Sassoli sul Mes. Si fa strada l’ipotesi di una apertura a Silvio Berlusconi, che potrebbe scombinare le carte.
Ormai in pochi escludono un incidente in grado di dare il via a una nuova fase. E se l’incidente fosse il ritardo sul Recovery Fund, allora Conte sarebbe da mandare a casa, come lui stesso aveva detto. In quel caso la pedina Mario Draghi potrebbe tornare sulla scacchiera di Palazzo Chigi.