È arrivato il momento del complottismo progressista, e Neal Casler è il suo influencer più da ridere. Non è un politico, non è un politologo, non è un giornalista e neanche una star. È un ex assistente di Donald Trump a The Apprentice (poi diventato stand-up comic) che su Twitter racconta, su Trump, pettegolezzi orrendi che però paiono spiegare i suoi comportamenti meglio delle analisi serie. L’altro giorno, lo storico Michael Beschloss twittava virtuoso: «Quando nella storia abbiamo visto un presidente degli Stati Uniti sparire dalla pubblica vista in questo modo?». Casler gli ha risposto: «Si sta abbuffando di Adderall e benzodiazepine da quando ha perso le elezioni. Le due volte che lo abbiamo visto era fuori di testa e si stava pippando la faccia».
I seguaci anti-trumpiani di Casler hanno reagito con l’entusiasmo. Notando che Trump odia lo sport e l’aria aperta, e non ha amici, perciò non si capisce cosa faccia sempre al golf. Un altro offende la memoria di un grande antieroe della storia della televisione: «Trump che gioca a golf è come Tony Soprano nel seminerrato. È lì che si commettono i crimini perché c’è meno sorveglianza». I più furbi ipotizzano che sul campo da golf, lontano dai microfoni della Casa Bianca, tratti i suoi affari sporchi (lasciando il telefono sull’automobilina, e per questo in certe ore twitta poco).
Trumpiani con ciambella espirano
Domenica, mentre Trump giocava a golf o comunque era lì, un lealista trumpiano ha aggredito due donne fuori dal circolo di golf, soffiandogli addosso. Il trumpiano, Raymond Deskins, 61 anni, aveva addosso una maglietta Make America Great Again e una ciambella gonfiabile con Trump al posto della papera. Quando le due dimostranti gli hanno detto di allontanarsi perché era senza mascherina, lui ha cominciato a soffiargli addosso. La polizia è prontamente intervenuta, e Deskins è stato denunciato per aver «espirato con forza», ed è sicuramente una metafora di fine trumpismo.
Il ritorno dei radical chic
È arrivato il tempo della rivolta dei radical chic; forse. O forse, le discussioni sul radical chicchismo possono ridiventare un’utile diversione mediatica (forse il centrosinistra sta imparando a usarle, non è sicuro). Per distrarre l’attenzione del pubblico sui social network da pecche più serie di candidati e nominati.
L’ultimo è Tony Blinken, scelto da Joe Biden come segretario di Stato. Blinken è un ex diplomatico, sottosegretario di Stato, viceconsigliere per la sicurezza nazionale di Barack Obama, ma anche produttore di film e ragazzo di buona famiglia. Jason Horowitz sul Washington Post lo ha definito «l’uomo più cosmopolita di Washington».
E procede a raccontare un aneddoto che finisce per evocare la festa neworkese descritta da Tom Wolfe, che lanciò il termine (non lo ha inventato: “radical chic” si trova per la prima volta in “Shake It For The World, Smartass”, libro di Seymour Krim, scrittore beat e collaboratore del Village Voice). Alla serata di raccolta fondi del 1970 a casa del direttore d’orchestra Leonard Bernstein era arrivato un gruppo di ospiti Pantere nere (la raccolta di fondi era per le loro spese legali).
Mentre nella casa di Parigi dei genitori di Blinken, anni fa, c’è stata una festa in onore di Spike Lee, «che, la madre di Blinken ricorda con entusiasmo, continuava a chiamarmi “sister”» (Blinken, che a Parigi ha pure suonato in una jazz band, ha avuto frequentazioni fichissime fin da piccolo, Valery Giscard d’Estaing, Mark Rothko, Christo, e ha prodotto un film di vampiri di Abel Ferrara).
Ma quattro anni di Trump hanno stremato anche gli anticasta non trumpiani. E quando Horowitz ha condiviso il suo pezzo, erano molte le repliche come «aspetta. Vuoi dire che non è un amministratore delegato di Big Oil che può profittare da accordi sottobanco con dittatori?» (Può darsi che parlasse di Rex Tillerson, primo segretario di Stato di Trump).
La rivincita dei lobbisti
Il vero problema di Blinken non è l’essere radical chic, è l’essere lobbista. Lui e Michèle Flournoy, ex sottosegretaria al Pentagono con Obama e forse prossimo numero uno con Biden, nel 2017 hanno fondato WestExec Advisors. E gli advisor sono ex dell’amministrazione democratica, e la loro missione è «colmare il divario tra le compagnie tech e il dipartimento della Difesa», insomma aiutano la Silicon Valley a vendere tecnologie al Pentagono (hanno aiutato anche Google, poi c’è stata una rivolta interna e il contratto non è stato rinnovato).
Di loro si dice che vendano la loro esperienza nell’amministrazione Obama e la loro presenza probabile nel gabinetto Biden (Blinken è stato anche consigliere di Biden, è considerato vicinissimo a lui, è uno dei suoi maschi bianchi irrinunciabili, e bisogna vedere quanti ce ne saranno).
I repubblicani nervosi
«Si stanno innervosendo». Dicono pundit e telegiornalisti e chiunque li guardi in video e in voce. Ora anche Chris Christie, l’ex governatore del New Jersey legato a Trump da un timoroso rapporto tipo associato di Tony Soprano con Tony, ha definito le cause multiple per presunti brogli «un imbarazzo nazionale».
Intanto Carl Bernstein, quello del Watergate, condivide una lista di 21 senatori repubblicani «che hanno privatamente espresso sdegno nei confronti di Trump». Ci sono anche trumpiani provetti come Rick Scott della Florida e la sconfitta in Arizona Martha McSally. Mentre Marsha Blackburn del Tennessee, su Abc News, ha definito Joe Biden «presidente eletto», e addirittura Kamala Harris «vicepresidente eletta».
Poco dopo la sua portavoce ha detto che Blackburn aveva «sbagliato parola»; che Blackburn si è già detta convinta che Trump vincerà un secondo mandato. «È divertente vedere i repubblicani esprimere in privato il loro desiderio di farla finita con Trump. Ma ora lui possiede voi codardi. Lo avete lasciato fare e ha appena iniziato. Anche Vanky. Fidatevi».
Lo ha twittato Neal Casler, l’ex assistente di Trump ora comico (Vanky è Ivanka). Aggiungendo «non riesco a non pensare che in questi quattro anni c’è stato un flusso continuo di lavoratrici del sesso al Trump Hotel di Washington, che hanno raccolto informazioni compromettenti su tutti i tipi repubblicani che gli baciavano l’anello… Le userà per esercitare potere» (ma no).
Florida Men, Jeb l’indignato
Sfottuto da Trump per tutte le primarie, pure definito «low-energy», l’ex governatore Jeb Bush cerca di mostrare la sua tempra di combattente. Non contro Trump (ha detto che non lo votava, non ha osato appoggiare Biden). Non per i golpismi trumpiani e le cause per brogli (nel 2000 portò la Florida al fratello). Contro Room Rater, un account Twitter che dà i voti agli sfondi della gente collegata da casa.
Bush ha preso 6, giudizio «belle finestre, manca un po’ d’arte, alza l’inquadratura», e non l’ha presa bene. Non ha replicato, ha aspettato il voto a un repubblicano (per la verità aveva preso 9/10) e ha controtwittato: «Mr. Room Rater, è possibile, ora che le elezioni sono finite, valutare le stanze in modo non fazioso? Sei un perito delle stanze o una persona iper schierata? Abbiamo bisogno di meno faziosità sugli sfondi in questi tempi difficili per il nostro paese».
Bush voleva sembrare ironico, ha ripetuto le accuse in un altro tweet ed è parso serio. Il consulente repubblicano ha dichiarato di essere contento del 9. Room Rater ha superato i 350 mila followers. E Bush ha ragione: l’account è stato creato col lockdown da Claude Taylor, che presiede un gruppo anti-Trump, il Mad Dog PAC (Room Rater è molto bello: e l’ex assistente pettegolo di Trump Neal Casler ha ritwittato fiero il suo 10, ottenuto grazie a camino in pietra viva, più che radical chic, Flinstone chic, e ha senso).