La pandemia ha evidenziato il grande divario assistenziale tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi. La differenza è stata chiara fin dalla scorsa primavera: mentre i primi avevano la cassa integrazione, per i secondi c’era solo il bonus Covid – da 600 a mille euro – una tantum.
Nasce da qui l’Indennità di continuità reddituale e operativa, Iscro: una misura che assomiglia a una cassa integrazione per i lavoratori autonomi, la prima misura di questo tipo vista in Italia.
L’emendamento passato alla Commissione Bilancio della Camera prevede un assegno che va dai 250 agli 800 euro mensili per un massimo di sei mesi – fino a un ammontare massimo di 6.516 euro. Uno strumento che entrerà in funzione nel 2021, con l’anno bianco contributivo per le Partite Iva fino a 50mila euro di reddito.
L’Iscro è introdotto in via sperimentale fino al 2023 e si potrà incassare una volta sola nel triennio; è incompatibile con la pensione e il reddito di cittadinanza; inoltre va affiancato a un percorso di aggiornamento professionale obbligatorio monitorato dall’Agenzia per le politiche attive.
«È una vera e propria rivoluzione perché da un punto di vista culturale abbiamo abbattuto un muro», dice a Linkiesta la deputata del Partito democratico Chiara Gribaudo, prima firmataria dell’emendamento che dovrebbe pesare circa 50 milioni sulla manovra di Bilancio.
Un’ipotesi simile era stata paventata già prima della pandemia dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel), per coprire la distanza assistenziale tra le categorie di lavoratori. Ma era una proposta ancora molto timida, che solo la pandemia ha reso necessaria in tempi stretti.
È anche per questo che l’emendamento ha trovato un consenso quasi unanime tra le forze politiche del Paese. «L’Iscro è frutto di un’elaborazione condivisa tra associazioni, mondo del lavoro autonomo, e diversi soggetti politici. Nella proposta originale volevamo un tetto massimo che potesse andare oltre i mille euro, invece ci siamo dovuti fermare a 800», dice l’Onorevole Gribaudo, che aveva già lavorato nel 2017 al “Jobs Act del lavoro autonomo”.
«C’erano diverse proposte di emendamento in materia, sintomo che la politica aveva intuito la necessità di un intervento», aggiunge la deputata dem, «poi i testi sono confluiti in un’unica proposta, questa che avevo presentato io».
I lavoratori autonomi in Italia sono in calo negli ultimi anni – erano 5,7 milioni nel 2010, sono arrivati a 5,1 quest’anno – ma sono comunque moltissimi, soprattutto rispetto agli standard europei. Non tutti saranno idonei all’Iscro. È questa la principale criticità del nuovo strumento: la platea di lavoratori autonomi a cui è rivolto è ristretta dai tanti requisiti di accesso.
Intanto potranno richiederlo solo i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata dell’Inps, non i professionisti delle casse ordinistiche – medici, architetti, giornalisti, avvocati: in questo modo il totale delle persone che possono richiederlo dovrebbe arrivare poco oltre i 300mila, sono soprattutto comunicatori, pubblicitari, traduttori e altre professioni non iscritte alle casse ordinistiche.
«È meno di quel che avremmo voluto, ma è già un grande passo in avanti perché è un primo passo che porta ottimi auspici verso misure di assistenza più complete e comprensive che riguardino anche i professionisti iscritti agli Ordini», dice l’Onorevole Gribaudo.
Potranno richiedere l’indennizzo i lavoratori che hanno subito perdite del 50 per cento rispetto ai tre anni precedenti e abbiano dichiarato un reddito inferiore a 8.145 euro. Inoltre è diretto solo alle Partite Iva aperte da almeno 4 anni.
Questi parametri di accesso però non convincono le associazioni di categoria. «Non possiamo considerarla una misura risolutiva. Viene presentata come una rivoluzione ma non lo è», dice a Linkiesta Anna Soru, presidente di Acta, l’associazione che mette in rete i freelance italiani.
«L’Iscro – aggiunge Soru – è per pochi lavoratori autonomi: mettere uno sbarramento a chi ha la Partita Iva da meno di 4 anni vuol dire tagliare fuori una bella fetta di mercato, soprattutto i più giovani. Ma vuol dire anche non tener conto di un mercato del lavoro molto fluido, in cui una persona magari prima è dipendente, poi diventa autonomo, e allora la Partita Iva l’ha aperta da poco. E poi con la pandemia abbiamo notato ancor di più tutte le difficoltà di quelle forme di lavoro non dipendente, che vanno dagli stage a chi lavora con cessione del diritto d’autore, che sono convenienti proprio perché non richiedono l’iscrizione a nessuna cassa consentendo un bel risparmio. Ma loro sono tagliati fuori».
Il valore dell’Iscro viene così almeno depotenziato. Il primo timore delle associazioni è che non ci sia un secondo capitolo. «L’elemento positivo di questo emendamento – conclude Soru – è che fa un primo passo nella direzione giusta, ma se in futuro non arriverà altro allora non potrà bastare. Noi speravamo che la pandemia avesse aperto gli occhi su alcuni buchi del sistema di welfare, invece non sembra così».