In principio era il panettone, e il panettone era presso il Decreto ministeriale del 22 luglio 2005, che ne definisce con precisione caratteristiche e composizione, fissando gli ingredienti obbligatori, quelli facoltativi e il procedimento di produzione a cui attenersi. Il cosiddetto «prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida», deve per legge contenere farina, zucchero, uova fresche, burro, uvetta e scorze di agrumi candite, lievito naturale ottenuto da pasta acida, sale. Sono invece ingredienti facoltativi: latte e derivati, miele, malto, burro di cacao, zuccheri, lievito di birra, aromi naturali, emulsionanti e i tanto odiati conservanti, a discrezione dei singoli produttori. Ciò a prescindere che si tratti di un panettone industriale, con un prezzo che va da 3 a 15 euro euro al chilo, o di un panettone artigianale lavorato a mano da un pasticciere, mediamente non inferiore ai 30 euro.
«Le principali differenze tra panettone artigianale e industriale», chiarisce Laura Onorato, biologa nutrizionista specializzata in Nutrizione Culinaria, «sono tre: il primo ha una lievitazione più lunga (dalle 24 alle 72 ore); il secondo invece lievita fino a 12 ore. L’artigianale, poi, ha una scadenza che arriva massimo a 30 giorni: il panettone industriale, per avere una vita più lunga e rimanere comunque morbido, si avvale di mono e digliceridi degli acidi grassi, additivi alimentari che ne alterano il sapore e lo rendono più ‘longevo’. I mono e digliceridi possono essere vegetali o di origine animale: in entrambi i casi contengono una percentuale elevatissima di grassi saturi, dunque di grassi ‘cattivi’, che aumentano il rischio cardiovascolare e alterano il quadro lipidico. Ultimo, ma non meno importante, cambia la scelta delle materie prime – farine, burro, uova, canditi, etc. – che nel caso del panettone artigianale sono di qualità decisamente più alta».
Per il consumatore l’unica tutela è costituita dall’etichetta, che deve obbligatoriamente riportare le varie componenti ed essere quindi oggetto di un’attenta e approfondita lettura. Per Vincenzo Santoro, pasticciere titolare della storica Pasticceria Martesana a Milano e Accademico presso l’Accademia dei Maestri del Lievito Madre e del Panettone Italiano, «L’etichetta è il biglietto da visita di un panettone: la scadenza entro 30 giorni non mente, così come la presenza di mono e digliceridi, che vanno comunque esplicitati. È palese che alcune aziende e pasticcerie lavorino con conservanti ed emulsionanti, altrimenti non potrebbero cominciare a distribuire i propri panettoni tra la fine ottobre e i primi di novembre: c’è chi ha iniziato a produrre già da tempo, per essere pronto al fabbisogno del Natale. Ovviamente qui l’artigianalità viene disattesa, perché la scadenza va ben oltre il mese prestabilito».
A volte, però, possono esserci dettagli capaci di sfuggire anche ai più ligi: «Oggi parecchi pasticcieri si appiccicano la qualifica di artigiani pur utilizzando semilavorati e mix semipronti, a cui aggiungere solo alcuni ingredienti per poi avere un prodotto finito», spiega Maurizio Bonanomi, pasticciere titolare della Pasticceria Merlo a Pioltello (Milano), nonché Presidente della Commissione esaminatrice dell’Accademia. «Chi non ha le competenze necessarie si appoggia a simili escamotage, e la legge non aiuta a differenziare: il panettone fatto con un mix è sullo stesso piano di quello fatto senza ricorrere al mix. È così decade la professionalità di un artigiano». «Un semilavorato è una miscela di ingredienti appunto in parte lavorati – già pesati, dosati, bilanciati – a cui l’artigiano deve solo aggiungere il prodotto fresco, che sia l’uovo, il burro, il candito etc. Qua poi si apre un’altra parentesi, sulla qualità delle materie prime: per fare un prodotto straordinario, devono per forza di cose essere eccellenti e avere caratteristiche ben precise. Il compito dell’artigiano è studiarle, ricercarle, selezionarle: bisogna avere una conoscenza pregressa e professionalità, il resto è aria fritta». «Noi artigiani siamo come sarti su misura», gli fa eco Santoro: «riusciamo, attraverso un costante studio e ricerca sulle materie prime, a personalizzare il nostro lievitato – al di là del disciplinare, che comunque costituisce la base di partenza».
Non è questione di un giudizio di merito, puntualizzano entrambi i Maestri Pasticcieri, bensì di trasparenza: «la soluzione migliore sarebbe dichiararlo in etichetta: ‘prodotto realizzato utilizzando semilavorati’», prosegue Bonanomi. «Perché non lo si fa? Per paura? È come andare al supermercato e comprare il ‘pane appena sfornato’: certo, è appena sfornato, ma è anche ottenuto da un prodotto decongelato e semilavorato. La freschezza è andata perduta, e la maggior parte delle persone non se ne rende conto. Spesso ci scontriamo con un’informazione ingannevole che confonde il consumatore: un artigiano serio non ha nulla da nascondere, anzi. Ogni cosa che crea è per lui un motivo d’orgoglio». «A volte vale di più un prodotto industriale ben fatto anziché un artigianale mediocre», ribadisce Santoro: «la questione è puramente di onestà intellettuale nei confronti degli acquirenti».
In quello che ha tutte le sembianze di un vero e proprio ginepraio, all’interno del quale diventa difficilissimo orientarsi – e fidarsi –, un faro è costituito dall’Accademia dei Maestri del Lievito Madre e del Panettone Italiano, istituita a Parma lo scorso settembre per «promuovere e salvaguardare l’utilizzo di materie prime artigianali di qualità e difendere l’eccellenza dei prodotti italiani nel mondo». La giovane realtà è nata dalla spinta di alcuni storici membri del gruppo dei Maestri del Lievito Madre, e si affida a una Commissione (di cui appunto Bonanomi è Presidente) per valutare le effettive e comprovate capacità di ciascun pasticciere, pizzaiolo e panificatore intenzionato a farne parte. Occorre utilizzare il lievito madre da almeno dieci anni, sottoporsi a un esame e dimostrare determinate competenze e requisiti stabiliti da un regolamento, che obbliga gli associati a «usare solo ingredienti di prima scelta», vietando categoricamente «preparati, semilavorati, sostituzioni o surrogati del lievito madre».
«Abbiamo disposto un’approfondita verifica professionale, storica e di prodotto perché non è sufficiente inviare una semplice domanda o mandare un panettone per una prova d’assaggio», precisa Bonanomi: riuscire ad apporre il logo dell’Accademia sul proprio prodotto, insomma, non è per niente una passeggiata. E in un mondo di furbetti pronti ad auto-dichiararsi artigiani senza averne i meriti o le capacità, è giusto che lo sia, pure a fronte del notevole differenziale di prezzo con un qualsiasi panettone industriale. «L’artigiano rifugge lo standard e cerca la nicchia: si tratta di una filosofia di vita, oltre che di un modo di pensare e di gestire il proprio lavoro», conclude il Presidente della Commissione dell’Accademia. «Una volta dicevano che la pubblicità è l’anima del commercio, ma io non sono d’accordo: il prodotto è l’anima del commercio, e sempre e soltanto il prodotto rappresenta la miglior pubblicità».