Come sarà il primo Natale post Covid 19? A distanza ormai ravvicinata, le prossime festività potrebbero assomigliare a quelle del dopoguerra, sottotono nella forma – niente abbracci e tavolate, fortemente ridotto lo shopping, pochi soldi da spendere – ma con un ritrovato spirito di fratellanza. Dal suo osservatorio Future Concept Lab, il sociologo Francesco Morace non ha dubbi: «Sarà il Natale in cui riscopriremo la meraviglia, l’attenzione verso il prossimo, gli affetti che contano davvero. Bisognerebbe anche ripensare l’espressione “distanziamento sociale”: in realtà quello che ci viene richiesto è un distanziamento fisico che, come abbiamo sperimentato in questi mesi, si è tradotto in un avvicinamento. Già durante il primo lockdown i legami con i nostri cari si sono rafforzati, si è assistito a un patto intergenerazionale tra nonni e nipoti in cui i più giovani hanno insegnato ai più anziani a usare gli strumenti tecnologici; abbiamo finalmente capito il ruolo della tecnologia che serve a unire, non a isolarsi».
«Nel modo distorto in cui li stavamo usando – prosegue Morace – i social ci stavano portando verso una deriva narcisistica: pensiamo ai selfie, alle foto instagrammabili, agli influencer che, ad eccezione dei pochi che avevano qualcosa da dire, sono stati letteralmente spazzati via dal bisogno di concretezza delle persone. Durante il primo lockdown, superata la sbornia iniziale degli aperitivi virtuali, abbiamo riscoperto il piacere della lettura, della scrittura, dei piccoli lavori manuali; chi si è dedicato a un hobby magari fino ad allora trascurato, chi ha sperimentato una vena artistica che non sapeva di avere, chi ha messo letteralmente le mani in pasta. Abbiamo riscoperto la meraviglia del fare, si è fatta strada la tendenza al deep living, ovvero a vivere la casa in modo più profondo, a prendercene cura in modo più diretto e personale». Secondo il sociologo, il cenone di Natale si annuncia come una sorta di compensazione affettiva rispetto al periodo complicato che stiamo vivendo. Verranno riscoperti il piacere delle cotture lente, il cibo fatto in casa che diventa pretesto per lo stare insieme, magari distanti ma uniti da una tecnologia per una volta piegata alle nostre esigenze. «Io sono napoletano e credo proprio che il prossimo Natale sarà all’insegna del presepe. Quando ero piccolo i preparativi iniziavano a settembre, si facevano in casa le statuine, si coloravano, assaporando la meraviglia di qualcosa che ogni giorno cresce e si trasforma. Ecco credo che questo sarà il Natale in cui riscopriremo la meraviglia del fare».
Nel suo ultimo saggio, “La rinascita dell’Italia. Una visione per il futuro tra etica ed estetica aumentata”, Morace immagina per il Paese un percorso di rinascita e rigenerazione in otto tappe, «un vademecum di istruzioni brevi per tutti gli italiani di buona volontà che desiderano adottare nuovi comportamenti e rilanciare nuove idee e nuove pratiche, non solo politiche ma soprattutto quotidiane, cioè alla portata di tutti. Il 2020 ha rappresentato una soglia simbolica, un arrivo e una partenza. La potenza dei numeri ha sempre plasmato l’immaginario del mondo e il 2020 non ha fatto eccezione: a prescindere dal Covid-19 che peraltro è un frutto avvelenato del decennio precedente, incubato e diffuso negli ultimi mesi del 2019. Possiamo considerarlo la tragica chiusura di un cerchio. Il 2020 è un anno doppio, bisesto, che come nel gioco di specchi che propone ha amplificato problemi e soluzioni: a partire dall’emergenza virus con cui abbiamo aperto le danze». (…)
«In questo contesto il 2020 diventa una data simbolica, uno spartiacque per chi si occupa di politica, di business e di social innovation: dinamiche che sempre più verranno ricondotte ai processi che le creano e le sostengono. Cresceranno attivismo e desiderio di contare e di contarsi, ponendosi al centro della scena con la propria presenza autentica, complementare a quella digitale che certo non verrà rifiutata ma al contrario utilizzata per amplificare quella fisica, come nei momenti più drammatici della quarantena a cui tutti noi siamo stati sottoposti».
Ed è proprio la tavola e quel che vi gira intorno che, secondo Morace, dà all’Italia il maggior vantaggio competitivo rispetto al resto del mondo: «Siamo – senza saperlo e senza volerlo – in sintonia con molti cambiamenti oggi in atto nella società globale. La convivialità che diventa condivisione tecnologica, il carattere del territorio che diventa progetto trans-locale, il familismo che diventa laboratorio inter-generazionale, il buon vivere che diventa approdo estetico ed estatico».
Il mondo desidera l’Italia, unico paese a poter contrapporre all’American dream un modello altrettanto potente, l’Italian way of life. Citando Marino Niola a proposito del cibo italiano per eccellenza, la pasta, diventato un mito globale, Morace conclude: «Emblemi incontrastati del Made in Italy alimentare, bucatini, penne e lasagne hanno conquistato il mondo surfeggiando sull’onda vincente della dieta mediterranea. E la cottura al dente ha rivoluzionato la sintassi del gusto. Indicando una terza via tra il crudo e il cotto. Un’arte del compromesso tipicamente nostrana. Che si sposa con la velocità della preparazione e con una trasformistica capacità di adattarsi a tutti i condimenti. Un piatto per tutte le stagioni. Dall’iperlocale al superglobale. È questa la ricetta vincente dell’Italia da mangiare. I sapori delle piccole patrie che diventano icone di un gusto planetario affamato di segni ad alta definizione. Di tradizioni, di localismi, di tipicità».