Proposta radicaleLa competenza in politica dovrebbe essere imposta per legge

Lo scadimento della qualità della classe dirigente è un fatto, ma non irreversibile. Se avere governanti migliori e politici più preparati è un diritto, allora si dovrebbe imporre che almeno i ministri abbiano titoli di studio all’altezza (lauree o dottorati) della materia di cui si occupano

Gian Mattia D'Alberto (LaPresse)

Il fatto che i valori fondamentali dell’llluminismo, ovvero razionalismo, empirismo e la democrazia come strumento di governo e rappresentanza – i migliori governano, quelli che sanno fanno – siano in crisi non è una novità. Da questi principi tuttavia discende lo strumento della delega, un passo decisivo nella costruzione delle prime comunità umane. Ognuno si occupa di ciò che sa far meglio. Così è nata la civiltà, non in altro modo: l’organizzazione del rapporto bisogno/soddisfazione delle proto-comunità umane attraverso la divisione in compiti e responsabilità diverse. Questo principio fondamentale ci ha portati a sconfiggere malattie, a muoverci alla velocità del suono, a mettere piede sulla luna.

Ma oggi, 2020, ci si ritrova a farne una battaglia di retroguardia, da conservatori. Difendere questi principi oggettivi ci rende automaticamente nostalgici, ancorati ai vecchi dispositivi di pensiero e di organizzazione del vivere comune. Ma che dovremmo fare quando vediamo la linea del tempo invertirsi, curvarsi in una parabola regressiva che costringe in un angolo il progressista – a rimpiangere, a lamentarsi, a non capacitarsi?

La presa d’atto dello stato delle cose tuttavia non basta. Siamo costretti a progettare un nuovo modo di essere comunità dentro un paradigma di pensiero che è già percepito come superato senza un sostituto valido. Non che tutto ciò sia di esclusiva pertinenza italiana; abbiamo visto e ancora vediamo il trionfo dell’egocentrismo, del narcisismo infantile, del populismo strategico e violento ad ogni latitudine. Eppure tocca occuparsi di noi, assunto il placebo dell’elezione di Biden, che in nulla aiuta, mi perdoni Walter Veltroni, il futuro del progressismo in Italia.

Dicendo meglio quanto espresso sopra, il vecchio e il nuovo si sono scambiati di posto; i bigotti e i tradizionalisti vogliono i nuovi. Questo è il vero dramma; la giravolta logica del “nuovo”: non più concetto evolutivo ma semplice rottura di un continuum, rottura della cui qualità e capacità di costruzione del futuro non ci si cura.

La ricostruzione non può che passare dalla via strettissima, almeno in Italia, delle competenze. E della delega. Che passa dalla correzione della evidente sottovalutazione dell’esercizio del voto e della responsabilità del votato. E se la politica si fosse disgregata soprattutto perché non è mai stata esplicitamente legata alle competenze? Il voto andava a chi era nominato dal partito ed era il partito che faceva la sua selezione. Nominavano coloro ai quali delegare le decisioni importanti perché sapevano più di noi. Quasi sempre. Avevano l’aura della competenza, il parlare forbito, lo sguardo deciso e rassicurante.

Dove e come recuperare il legame tra potere decisionale e competenza? Di quanto dobbiamo tornare indietro per andare avanti? Quaranta anni bastano? Di più? Non si sa dire. Un fatto è certo: il primo parlamento della Repubblica italiana aveva più del 90% di laureati tra le sue fila. Quello attuale è sotto il 70%. Quasi che, con l’esponenziale crescita dei laureati – nel 1951 erano l’1% della popolazione, nel 2019 più del 19% – avesse fatto “scadere” il valore della laurea.

La pandemia ha disvelato in modo crudele la mancanza di strumenti della classe dirigente italiana. E lo ha fatto attraverso la conta quotidiana dei morti. Vite che avrebbero potuto essere salvate da una migliore gestione. E invece no; di fronte ai “te l’avevo detto io”, si abbozza: siano le discoteche libere o l’orizzonte del natale; siano gli interessi particolari o i giochi politici dei presidenti di regione o il leggibilissimo bluff del Presidente del Consiglio che ha preso decisioni solo in base al consenso. Siamo nella merda fino al collo. E al contrario di quanto diceva Beckett, non possiamo nemmeno cantare.

Questa analisi sommaria non è dissimile da altre già fatte. Ma tant’è. Che la pandemia ci aiuti, come minimo, a spaventare il popolo bue, i novelli san Tommaso che non si fidano che di loro stessi, che il virus non c’è, che i pronto soccorso non sono super affollati, che non ci avviamo dritti dritti verso la terza ondata – o meglio una seconda ondata bis oppure, se vogliamo dare il nome alle cose, la strage dello shopping natalizio.

Quel primario che aveva invitato i negazionisti del virus a farsi un giro nei suoi reparti ha capito tutto. Come i bambini, occorre che si scottino per non avvicinarsi alla fiamma. Occorrerebbe fargli vedere i cadaveri in decomposizione, le file di letti ingombrati da corpi assenti e proni, in attesa della morte. Occorrerebbe farli parlare con i familiari di chi ha perso qualcuno. Occorrerebbe una cura Ludovico da Arancia Meccanica. E poi vediamo se non ti affidi a chi ha competenza.

Pensaci tu, che sei più bravo, che hai studiato. Questa è la frase che dovrebbe stare sotto il nome di ogni partito progressista. Che tu debba aver studiato per rappresentarmi e prendere decisioni in mio nome, che tu debba avere comprovate competenze per relazionarti ai tuoi pari è un implicito.

I padri costituenti non l’hanno scritto – beati loro, mai avrebbero immaginato di vedere una classe dirigente così povera. E non l’hanno scritto perché vivevamo in una società arretrata e ancora più classista di quella di oggi. Era scontato, non occorreva dirlo.

Ma non sapevano quello che facevano, beati e santi padri costituenti. Tuttavia non occorre un genio. Se per asportare un neo devi avere una laurea, per guidare un intero Ministero ce ne vorrebbero per lo meno due. Sarebbe antidemocratico fissare dei requisiti minimi per accedere a ruoli pubblici o istituzionali? No. Oggi non lo sarebbe. E non sto parlando dei politici, sia chiaro, ma di quei politici che assumono responsabilità di governo.

Vuoi essere Ministro della Sanità? Puoi esserlo se soddisfi i requisiti minimi: forse un PhD in materie affini e una esperienza di gestione di sistemi sanitari e civili complessi? Abbiamo capito che non possiamo che avere politiche radicali; non si può fingere che non viviamo da tempo una polarizzazione estrema del dibattito politico. Da una parte chi usa il cervello, dall’altra chi usa le interiora. L’unico radicalismo davvero necessario riguarda le competenze. Questa è la strada. Iniziamo a raccogliere le firme.