Meno della metà degli italiani è in grado di calcolare un tasso di interesse semplice e solo un terzo di loro sa calcolare un tasso di interesse composto. E più della metà non conosce l’effetto dell’inflazione su una somma di denaro. Queste conclusioni provengono da un’indagine dell’Ocse sull’alfabetizzazione finanziaria degli adulti nei paesi del G20 e mostrano un paese impreparato ad affrontare un periodo difficile come quello che si preannuncia: capire poco i meccanismi dell’economia non è soltanto un problema per la qualità del dibattito pubblico, ma anche per la vita privata dei cittadini, più esposti a difficoltà finanziarie.
Che l’Italia fosse maglia nera in educazione finanziaria non è certo una novità. I risultati dell’ultima tornata di test Pisa relativi al 2018 hanno fatto emergere un quadro desolante: su un campione di 20 paesi (di cui 13 paesi Ocse), l’Italia si è classificata al tredicesimo posto, con un punteggio inferiore alla media Ocse e a quello di paesi come Spagna, Portogallo o Stati Uniti.
L’Ocse suddivide le competenze finanziarie in cinque livelli: da 1 (il più basso) a 5. In Italia il 20,9% degli studenti non raggiunge le abilità finanziarie minime (identificate dal livello 2) e solo il 4,5% dei quindicenni può vantare il livello di competenza più elevato, contro un media Ocse rispettivamente del 14,7 e del 10,5%. Colpisce soprattutto che, a distanza di sei anni dalla prima rilevazione, la conoscenza finanziaria degli studenti sia rimasta essenzialmente allo stesso livello: l’Italia non peggiora e non migliora, ma resta in ritardo.
«Il mondo è cambiato molto rapidamente ma non ci siamo adeguati a questi cambiamenti» spiega a Linkiesta Annamaria Lusardi, direttrice del Comitato Edufin (Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria) ed economista alla George Washington University School of Business. «Oggi la conoscenza finanziaria è importante quanto saper leggere e scrivere. Occorre cominciare a insegnarla nelle scuole».
Il ritardo non si ferma qui. I test Pisa mostrano anche come l’Italia sia l’unico paese in cui, in media, gli studenti maschi ottengono punteggi più alti in alfabetizzazione finanziaria rispetto alle studentesse: 15 sono i punti di distacco, mentre negli altri paesi il gender gap è in media di soli due punti. Un divario che permane anche nella popolazione adulta.
«Le radici di questa differenza sono profonde» continua Lusardi, «una minore alfabetizzazione finanziaria delle studentesse è spiegabile solo in parte con lo status socioeconomico della famiglia. C’è un altro elemento che influenza positivamente l’educazione delle ragazze: la presenza di una madre che lavora». Un’altra piaga squisitamente italiana, visto che solo la metà delle donne con figli ha un’occupazione. Ma anche il retaggio storico ha un peso: gli snodi commerciali di origine medievale hanno accelerato la trasformazione del ruolo delle donne nella società in alcune aree dell’Italia più che in altre, tanto che le ragazze restano indietro in particolare al Sud e nelle isole.
Non si contano le ragioni per cui l’alfabetizzazione finanziaria è importante ed è importante sempre. Scegliere quando andare in pensione, evitare un raggiro con un contratto di telefonia mobile, leggere le bollette elettriche, aprire un conto corrente: tutte queste azioni richiedono una conoscenza della finanza di base.
Ma oggi colmare il ritardo italiano è ancora più urgente. Un’indagine della società di ricerche e analisi di mercato Doxa condotta all’inizio dell’estate rivela che dopo l’emergenza sanitaria quasi il 60% delle famiglie italiane arriva con fatica alla fine del mese. E ancora: tre famiglie su dieci avrebbero difficoltà a reperire 2.000 euro entro un mese per affrontare un imprevisto, come la riparazione dell’auto o una spesa medica. L’ansia finanziaria riguarda soprattutto le donne, e sono sempre le donne quelle più deboli nella pianificazione di medio-lungo periodo.
Un dato però emerge dall’indagine, con implicazioni lampanti: chi dispone di solide conoscenze finanziarie è anche meno fragile finanziariamente. Quasi la metà di coloro che ritengono di possedere conoscenze finanziarie elevate sarebbe in grado di fronteggiare una spesa imprevista, contro il 27,7% del resto del campione. Allo stesso modo, chi ha maggiore alfabetizzazione finanziaria arriva più facilmente alla fine del mese. «L’alfabetizzazione finanziaria si è rivelata uno scudo per proteggersi dai colpi della crisi» commenta Lusardi, «chi sa di più è anche più resiliente ed è in grado di compiere le scelte più adeguate nei momenti di difficoltà». E così si rafforza anche la disuguaglianza di partenza, perché le conoscenze finanziarie dipendono ovviamente anche dal reddito famigliare e dal livello di istruzione.
Se la scuola non si è adeguata, il primo passo è proprio adeguarla. Per ragioni di equità – la conoscenza finanziaria serve a tutti e deve arrivare a tutti – e perché è meglio imparare prima di prendere decisioni finanziarie, per evitare di incorrere in errori costosi e dolorosi. Per di più, l’esperienza dei genitori è di poco aiuto ai ragazzi di oggi: gli investimenti “nel mattone” o in titoli di stato, tipici delle vecchie generazioni, non necessariamente sono i più appropriati in un mondo in costante cambiamento, con un’offerta sterminata di prodotti finanziari.
«Ma la scuola non basta» spiega Lusardi. «Per raggiungere anche gli adulti, le opportunità di educazione finanziaria devono trovarsi ovunque, dal posto di lavoro al museo, fino al cinema e al teatro». E il Mese dell’educazione finanziaria promosso dal Comitato Edufin sposa proprio questa filosofia. Oltre 600 eventi in calendario in tutta Italia nell’edizione 2020, che si è svolta dal 1° ottobre al 6 novembre: spettacoli teatrali, iniziative di edutainment, giochi interattivi, ma anche conferenze e webinar. Con un ruolo speciale dei comuni e delle comunità locali. Aggiunge Lusardi: «Il comune può diventare un hub di resilienza finanziaria. Chi meglio di un sindaco sa identificare le sacche di disagio economico nella sua città e dove è utile intervenire? Le realtà locali possono svolgere efficacemente assistenza ai piccoli imprenditori, alle donne e lavorare con le scuole».
Senza dimenticare il valore dei media. Proprio in questi giorni il Financial Times ha annunciato la nascita di una nuova fondazione benefica, la Financial Literacy and Inclusion Campaign. A partire dal prossimo anno, la fondazione produrrà con l’aiuto di giornalisti esperti una serie di video e altro materiale educativo che sarà distribuito nel Regno Unito e in tutto il mondo. E anche i lettori saranno invitati a contribuire sia finanziariamente sia come volontari per promuovere la causa. Una strada che anche le testate nostrane potrebbero imboccare.
La pandemia potrebbe rivelarsi l’occasione ideale per fare un grosso passo in avanti. Per l’incertezza che avvolge le nostre vite e l’impossibilità di spendere i soldi in viaggi, nei ristoranti o al cinema, la propensione al risparmio degli italiani è aumentata a dismisura. E infatti la liquidità depositata in banca è esplosa negli ultimi mesi, sfondando quota 1.700 miliardi secondo l’Associazione bancaria italiana. Il motivo è banale: gli italiani non conoscono le alternative al conto corrente, che oggi costa più di quanto rende. Imparare le regole base della finanza servirebbe anche a questo: sapere come investire i risparmi in modo altrettanto sicuro ma più fruttuoso. Così anche questa crisi diventerebbe un investimento.