La città di Mostar, in Bosnia-Erzegovina, ricorderà il 20 dicembre 2020 come un giorno importante della propria storia, al pari del 23 luglio 2004. Allora venne rimesso in piedi il simbolo di questa città, lo Stari Most, l’iconico ponte sul fiume Neretva distrutto dai croati durante la guerra di Jugoslavia degli anni ’90. Oggi si celebra il ritorno della politica: dopo 12 anni, si sono tenute nuovamente le elezioni comunali, attese con ansia non solo dalla comunità locale ma anche da quella nazionale e internazionale. C’è in ballo un potenziale ingresso nell’Unione Europea da parte di Sarajevo che dal 2013 aspetta di unirsi agli altri Paesi balcanici in Europa. Il futuro europeo passa proprio da Mostar.
L’elezione dei 35 consiglieri comunali in questa cittadina di 100 mila abitanti erano infatti il primo punto nel documento stilato dalla Commissione europea nel 2019 che indicava le 14 priorità che il governo bosniaco doveva seguire per portare avanti l’iter di adesione. «Le elezioni si sono svolte in modo ordinato, come confermato dalle autorità elettorali e dagli osservatori locali. Il nuovo consiglio comunale deve ora adottare uno statuto cittadino rivisto ed eleggere un nuovo sindaco per affrontare le questioni di governance» hanno dichiarato Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri, e Olivér Vàrhelyi, commissario europeo per l’allargamento, in una nota congiunta. «È un primo passo, forse piccolissimo, ma era importante farlo, soprattutto se la Bosnia vuole davvero entrare in Europa. Mi auguro che nei prossimi 4 anni ci sia un’atmosfera diversa e al primo posto ci sia il cittadino, aldilà della sua provenienza etnica», dichiara a Linkiesta Dario Terzic, giornalista e docente all’università di Konjic e nativo proprio di Mostar.
La città, infatti, è ancora ostaggio delle rivalità etniche, divisa tra i croati, la maggioranza, che sostiene il partito nazionalista HDZ, e la minoranza musulmana dei bosgnacchi, che appoggia invece l’SDA. Un odio che li porta a vivere in maniera segregata: i croati al di qua del ponte, i musulmani al di là. Una città divisa, con due uffici postali, due ospedali pubblici, due reti telefoniche e due università. «C’è poca voglia, poca responsabilità civile di unirsi. Ognuno è rimasto nella propria metà, quasi spaventato da quello che c’è dall’altra parte del ponte», sottolinea Terzic. A 25 anni dagli accordi di Dayton, che sancirono la fine della guerra in Bosnia-Erzegovina, gli orrori sono ancora ben presenti negli occhi di tutti e non è un caso che la Commissione abbia chiesto al governo di Sarajevo di «favorire la formazione di un ambiente comprensivo che superi le divisioni lasciate dalla guerra».
La divisione per etnie è stata la causa di questo stallo durato dieci anni. Croati e bosgnacchi non sono stati in grado di trovare un’intesa su una nuova legge elettorale, dopo che la Corte costituzionale bosniaca nel 2010 aveva bocciato quella proposta dall’Alto rappresentante Paddy Ashdown nel 2004 perché non rispettava la parità di voto. Così, dopo lo scioglimento nel 2012 del consiglio comunale eletto nel 2008, Mostar non ha più avuto rappresentanti. Sono rimasti in carica soltanto il sindaco Ljubo Beslic di HDZ, con un mandato ad interim, e Izet Sahovic, capo del settore finanze del comune ed esponente di SDA.
Per quasi un decennio lo stallo del Parlamento di Sarajevo ha comportato una mancanza di trasparenza nella gestione della cosa pubblica a Mostar e i nodi sono venuti al pettine: problemi nel trasporto pubblico e nella gestione dei rifiuti; la discarica di Uborak che ha continuato a operare nonostante i permessi scaduti e il nuovo depuratore cittadino, finanziato dall’Unione europea e pronto dal 2017, mai entrato in funzione con le acque reflue scaricate nel fiume Neretva.
«In questi 12 anni la città si è addormentata, prima c’era voglia di fare, di cambiare le cose, di migliorarsi ma questi ultimi anni sono stati segnati da un lungo e profondo letargo», evidenzia sconsolato Terzic. A risvegliarla è stata un’insegnante di filosofia, Irma Baralija, 36 anni, vicepresidente di Nasa Stranka (Il Nostro Partito), piccola formazione indipendente che ha presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti umani a Strasburgo contro il suo Paese, vincendo.
Costretti dalla Corte, HDZ e SDA hanno così trovato un accordo nel giugno 2020, con la benedizione della comunità internazionale. Il voto di domenica, tuttavia, non ha cambiato gli scenari preesistenti. La commissione elettorale ha decretato la vittoria dei due partiti nazionalisti e in testa sembra esserci l’HDZ, che ha ottenuto il 37% dei voti totali. «È ancora presto per poter dire chi sarà il nuovo sindaco», sottolinea Terzic. «Molto dipenderà dalle alleanze. Non è da escludere però che ci possa ancora una sorta di “Grosse Koalition” tra i nazionalisti croati e quelli bosniaci, che al potere trovano sempre un modo per collaborare». Il futuro di Mostar è ancora tutto da scrivere.