Gli italiani stanno invecchiando e fanno sempre meno figli, non è una novità. Negli ultimi anni tuttavia il processo ha avuto un’accelerazione tale da produrre una diminuzione della popolazione. Se dal 2011 in poi vi per qualche tempo vi era stato in incremento dei residenti, prodotto dall’aumento degli stranieri, ora anche questi non bastano più.
Tra 2018 e 2019 vi è stato un calo di 175.185 persone. Rispetto al 2011 il saldo rimane positivo, ma ancora per quanto? Se l’anno scorso le nascite sono diminuite di 19.663 unità, nel 2020 e ancora di più nel 2021 ci aspettiamo un crollo, causato dall’incertezza che la pandemia sta portando nelle famiglie.
Il problema riguarda anche gli stranieri, che come gli italiani hanno cominciato a fare meno figli, seppure in questo caso il calo appare più lento (il loro tasso di fecondità infatti è ancora a 1,98 figli per donna). Uno dei risultati è che l’incremento degli immigrati anno dopo anno è sempre più ridotto. Nel 2019 se ne sono aggiunti solo 43 mila in più, all’incirca. Sia per l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di alcuni, sia per i minori arrivi.
Tuttavia questo non vuol dire che l’Italia non cambi volto. Dietro un’apparente e a volte deprimente immobilità senile vi sono cambiamenti, soprattutto dal punto di vista geografico, che saranno sempre più evidenti negli anni a venire.
Sono visibili già dai numeri della popolazione: se il Sud tra 2018 e 2019 ha perso 83.593 abitanti, al Nord Est il calo è stato solo di 954.
E se il divario Nord-Sud non rappresenta certo una novità, ora se ne aggiunge un altro, quello tra grandi e piccoli centri. Non fosse per i comuni sotto i 5 mila abitanti, in cui la popolazione è scesa di 384.403 persone, i residenti in Italia nel 2019 sarebbero stati più di quelli del 2018, considerando anche l’incremento di 440.527 unità nelle città sopra i 100 mila abitanti. Il risultato è il declino demografico dell’Italia di provincia che si interseca con quello economico.
È già in parte visibile nelle statistiche sull’invecchiamento della popolazione. Le aree del Centro-Nord più periferiche, cioè quelle dell’ex triangolo industriale non toccate dallo sviluppo milanese, nel Piemonte orientale e in Liguria, si uniscono al Polesine, al ferrarese, al sud della Toscana, al ternano, tutte unite a una percentuale di over 60 tra gli italiani che supera il 35%.
Alcune aree del Sud, come il napoletano, ancora presentano invece percentuali molto basse, ma già si nota come altre province al Nord, Bolzano in testa, ma anche Bergamo, Brescia, Vicenza, Reggio Emilia, ovvero le aree anche economicamente più dinamiche, hanno già una popolazione meno anziana di quella delle zone più periferiche del Mezzogiorno.
Dati ISTAT
Ed è evidente un un disallineamento tra questi dati e quelli relativi alla distribuzione degli stranieri in Italia. Che in molti casi sono più presenti là dove pure non vi sono i più gravi problemi di invecchiamento della popolazione, bensì come è naturale dove vi sono più possibilità economiche.
Dati ISTAT
Emergono allora diverse Italie. Vi è quella, che potremmo dire della compensazione, in cui classicamente a una popolazione italiana invecchiata, con percentuali di over 60 sopra la media, corrisponde una di stranieri anch’essa sopra la media. Piacenza, Prato, Imperia, Alessandria, Mantova ma anche Firenze e Torino, aree in cui gli immigrati compensano il calo della popolazione grazie al fatto che seppur in declino l’economia rimane un po’ più florida che nel resto del Paese, certo, non abbastanza da invertire la tendenza all’invecchiamento degli italiani, ma in modo sufficiente per attirare stranieri da fuori o da altre province d’Italia). In questi casi qualche nazionalista straparlerebbe di sostituzione etnica, ignorando che è molto più probabile che invece si troverà davanti a nuovi italiani, ma questa è un’altra storia.
Vi è poi l’Italia che potremmo chiamare vincente, in cui non solo arrivano più stranieri che altrove, ma in cui vi sono anche più giovani, o meglio più persone in età lavorativa, under 60. Non a caso in questo ambito vi è Milano, Roma, le province di Bergamo, Verona, Padova, Trento e Bolzano, ma anche, unica del Sud, Ragusa.
Si tratta di quella porzione del Paese che è riuscita a combattere il declino, grandi città che hanno cavalcato l’emergere dei servizi avanzati, distretti industriali che hanno saputo esportare. E nel prossimo decennio potranno quindi anche crescere demograficamente.
Vi è poi l’Italia sconfitta, quella in cui non solo vi sono meno immigrati, ma anche più anziani italiani. Da Biella a Lucca a Udine, ad Ascoli Piceno a Rovigo.
Si tratta per ora di una parte minoritaria del Paese, periferica, in cui da molto tempo si fanno meno figli ma in cui non vi è abbastanza dinamismo economico perché questi vengano compensati dall’arrivo degli stranieri.
È più popolosa l’Italia di ieri, la quarta Italia, con minore percentuale di anziani, ma anche di immigrati, come era tutto il Paese decenni fa, e che ancora per un po’ potrà risultare più giovane del resto d’Italia, grazie alla grande fecondità di una volta (e però anche alla maggiore mortalità). Napoli, Catania, Palermo, Bari: gran parte del Sud fa parte di questa Italia, che sarà però destinata a non progredire se i ragazzi, che sono sempre di meno, continueranno a emigrare. E se non saprà attirare stranieri, mediamente più giovani.
Dati ISTAT
Questo è il panorama che ci aspetta nel prossimo decennio.
Quello di un Paese forse ancora più diviso, sia in ricchezza o (più probabile) in povertà, in salute o in malattia, perché con o senza la sconfitta del Covid, con o senza una ripresa economica vera,, siamo destinati a vedere l’Italia vincente allontanarsi sempre più dal resto della nazione, attirando competenze e capitali, giovani istruiti e stranieri dalle aree dell’Italia in declino, che si trovino al Nord o al Sud.
Si tratta di un trend chiaro da più di 10 anni. È possibile invertire questa rotta, abbiamo l’occasione del Recovery Plan e non possiamo sprecarlo. Ma prima ancora si dovrebbero convincere gli italiani che non andrà sprecato: perché le aspettative sono importanti, sia per fare un investimento che per mettere su famiglia. E il pessimismo, dopo tanti anni di declino, è ormai troppo alto, come si vede dal crollo delle nascite.