Le conseguenze di breve e medio periodo di questa pandemia le stiamo già vedendo e le vedremo meglio tra alcuni mesi. Saranno vaste e trasversali, non riguarderanno solo l’economia, ma come è già stato fatto notare dagli esperti, coinvolgeranno anche la demografia. Non solo per le vite in eccesso perse a causa dei tanti anziani morti per il virus, ma anche per il calo di nascite che sarà evidente solo nei prossimi mesi visto che i bambini venuti al mondo fino ad oggi siano stati in realtà in gran parte concepiti prima del Covid.
Tra i motivi non c’è solo una vaga incertezza per il futuro che attanaglia un po’ tutto, ma anche una concretissima evidenza: perlomeno in Italia la crisi sta colpendo di più proprio le donne nell’età più fertile e che avevano già avuto figli.
Tra le donne tra i 15 e i 34 anni il calo del tasso d’occupazione tra il secondo trimestre del 2019 e quello corrispondente del 2020 è stato massimo, e ovviamente superiore alla media, proprio tra quelle che erano già madri. E questo nonostante fosse già particolarmente bassa.
Solo il 44,5 per cento delle giovani madri l’anno scorso lavorava, ma nel 2020 si è scesi al 38,7 per cento.
Una riduzione del 5,9 per cento che non si è riscontrata tra le donne della stessa età che vivono da sole, tra cui è stata del 4,9 per cento, o tra quelle che erano in coppia ma senza figli, e che comunque avevano un tasso d’occupazione superiore. Non è accaduto lo stesso neanche alle donne più anziane. Quelle oltre i 35 anni hanno subito un calo occupazionale molto minore e comunque in linea con la media.
Un altro dato particolare è che al Nord, proprio dove finora il tasso di fertilità stava calando meno, questa riduzione è stata peggiore, dell’8,3 per cento per le madri under 35.
Sembra la tempesta perfetta per la nostra demografia già in crisi: a subire più di tutti la recessione sono proprio coloro che dovrebbero sostenerla, le donne più giovani, del Nord, lavoratrici.
Soprattutto lavoratrici. Perché ormai sappiamo bene che a dispetto di quanto si pensava un tempo è soprattutto l’occupazione femminile a favorire la fertilità. Sono le aree d’Europa in cui è maggiore la quota di donne che lavora quelle in cui il calo delle nascite si è invertito. E sta diventando così anche in Italia.
E non possiamo neanche dire che si tratti di un problema soprattutto di età. È vero che i giovani sono stati più colpiti dalla crisi, ma tra questi le donne molto di più, il doppio all’incirca. E il gender gap è ancora più evidente se guardiamo al segmento dei genitori.
Il calo del tasso d’occupazione dei giovani padri è stato solo del 0,5 per cento, anche inferiore a quello che si è riscontrato tra quelli più anziani. Quello delle giovani madri del 5,8 per cento.
È un contrasto che fa male. È come se certi vecchi stereotipi e riflessi, quelli a salvare il posto del “padre di famiglia” e a vedere il lavoro della madre come più sacrificabile in una crisi, siano ancora più vivi tra i giovani.
La ragione è però soprattutto che i posti non sono tutti uguali, troppo spesso quelli delle donne, soprattutto se hanno già avuto dei figli, sono più fragili, part time, a termine. E in quei settori come il commercio e il turismo, che sono stati colpiti maggiormente per esempio dell’industria, dove lavorano più uomini.
A incidere poi c’è un altro fattore, spesso ignorato quando si guardano le statistiche globalmente. È il fattore immigrati.
Non abbiamo ancora i dati per età, ma nel complesso il tasso di occupazione delle donne straniere tra la primavera del 2019 e quella del 2020 è sceso molto più di quello delle italiane, -6,4 per cento contro -1,7 per cento. E in quale fascia di età le donne immigrate sono di più? Nella più giovane naturalmente. E chi ha più figli in Italia? Le giovani donne straniere.
Il danno della pandemia sembra quasi chirurgico.
Allarga il gap che già era presente tra l’occupazione delle madri e delle altre donne della stessa età (15-34 anni), che dall’11,3 per cento sale al 15,4, in particolare al Nord.
E colpisce di più chi ha un’istruzione inferiore. Tra le donne tra i 25 e i 49 anni il tasso d’occupazione è sceso solo dell’1,8 per cento nel caso delle laureate con figli, del 6 per cento tra quelle con solo la licenza media, tra cui immaginiamo ci siano molte straniere. Al Nord questo -6 per cento diventa poi -10. Ma una forte riduzione c’è ovunque, anche nel Mezzogiorno, dove la percentuale di madri con istruzione minore che lavorano era l’anno scorso già scandalosamente bassa, solo del 16,8 per cento.
Forse la crisi demografica che ci attende nei prossimi anni come conseguenza dell’impoverimento di quel segmento che è più predisposto ad avere figli convincerà finalmente gli italiani a superare i propri blocchi ideologici sull’argomento.
La sinistra potrebbe essere aiutata nel mettere da parte l’imbarazzo che una parte di essa istintivamente prova quando si parla di sostegno alle famiglia e alle nascite, convincendosi che si tratta di qualcosa di necessario e non di “retorica familista di destra”.
La destra ormai sovranista capirà finalmente che i figli nascono quando non si inducono le donne a stare a casa, ma anzi a lavorare, a eliminare il gender gap, che una maggiore occupazione femminile non è una “fissazione femminista e radical chic”, ma ugualmente una necessità.
Tra i tanti tabù che incrostano il discorso politico economico e culturale in Italia questi forse sono tra quelli da smontare prima.