Su due piediCome Ylva Johansson ha imparato a usare i calzini di Natale per mandare messaggi politici

La svedese responsabile del Berlaymont agli Affari Interni ha fatto uno spot molto artigianale mettendo uncinetti e filati al servizio del suo team. Anche la collega danese Margrethe Vestager lavorare a maglia per rimanere concentrata. Mentre il premier canadese Trudeau ha una collezione per ogni occasione

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È il regalo da scartare sotto l’albero per definizione. Il pensiero, talvolta un po’ spigoloso e pungente, che qualche brava zia non fa mancare mai ai nipoti, sfoggiando un’arte informale che spesso si tramanda di generazione in generazione. Insomma, fatte in casa o comprate last minute, un paio di calze per Natale non si negano davvero a nessuno. 

Un endorsement di peso per l’opzione calzino, alla vigilia del tradizionale scartamento che quest’anno si trasferirà su Zoom, arriva anche dagli algidi palazzi delle istituzioni europee. Niente filo di Scozia, però (in un momento in cui le istituzioni Ue si guarderebbero bene dall’aprire un nuovo fronte con il Regno Unito). La svedese Ylva Johansson, commissaria agli Affari Interni, ha fatto uno spot molto artigianale a sostegno della mozione amatoriale e messo uncinetti e filati al servizio del suo team. 

 «È un privilegio per me lavorare insieme a brillanti e competenti uomini e donne. Per mostrare loro quanto li apprezzi ho fatto dei calzini per tenerli al caldo», ha twittato Johansson, accompagnando un video che ritrae calze in lana di ogni misura, compreso un paio da neonato, schierate in rassegna sul tavolo ovale del suo ufficio al Berlaymont. Austere e con toni da sottobosco, ma l’inverno è appena arrivato.

Reazioni a valanga sul social: l’azzimato Margaritis Schinas, il greco che, da vicepresidente della Commissione ne è diretto superiore gerarchico, si è affrettato a prenotarne un paio, in attesa di includere il lavoro a maglia nel catalogo dello stile di vita europeo che è incaricato di promuovere (perlomeno secondo il titolo del suo portafoglio). 

E a chi si chiede, con toni pentastellati d’antan, quanto tempo libero abbia una commissaria europea per dedicarsi all’uncinetto, i già iniziati alla pratica ricordano che ogni magliaio che si rispetti è anche un abile multitasker

 

E gli uncinetti sferruzzano veloci dalle parti della Commissione europea. Ylva Johansson non è la sola a dilettarsi con i ferri nel team di Ursula von der Leyen. «Lavorare a maglia aiuta a rimanere concentrati», è il verbo di Margrethe Vestager, la danese vicepresidente esecutiva della Commissione con delega al Digitale e alla Concorrenza, che ha l’abitudine di tirar fuori i ferri anche durante le riunioni: «Mi aiuta a stare lontana dallo smartphone». Soggetto preferito: gli elefanti. C’è chi spesso li riceve pure in dono, come ad esempio il suo successore al ministero dell’Economia in Danimarca; con una nota di accompagnamento, come raccontato all’epoca dal Financial Times: «Gli elefanti sono animali sociali e riflessivi. Vivono in comunità e – devo proprio dirlo – in società matriarcali. Non portano rancore, ma ricordano tutto e bene». Un manifesto d’intenti per la zarina dell’Antitrust europeo, allora alla vigilia dell’inizio del suo mandato. 

Pur essendo il quadrupede simbolo del sempre più fatiscente Partito repubblicano al di là dell’Atlantico, negli Stati Uniti, però, gli elefanti non sembrano figurare nella pur variopinta collezione che Tim Scott, senatore conservatore della South Carolina, sfoggia tutto l’anno nei corridoi di Capitol Hill. «Le mie calze attirano molta attenzione e anche una certa dose di critiche. Il che non mi dispiace», ha commentato Scott, facendosi scudo con l’alibi classico del pavido uomo tutto d’un pezzo: «È l’unico modo che abbiamo per mostrare un po’ di personalità oltre i nostri abiti monocolore».

Dall’altra parte dei Grandi Laghi, invece, Justin Trudeau è l’uomo che non ha nulla da chiedere né da temere e – celebrato dalla stampa internazionale, dal New York Times alla BBC, passando per Vogue, che però sul tema gioca in qualche modo in casa – ha fatto della passione per le calze il suo marchio di fabbrica anche politico. Il primo ministro canadese è ormai una icona liberal-pop di chi crede che un altro multilateralismo è possibile. Convinto che l’abito possa fare anche il monaco, Trudeau ha inaugurato la diplomazia dei calzini.

Ha un menu per tutti i gusti. Per augurare una buona fine del Ramadan ai musulmani un paio con su scritto «Eid Mubarak» e la stella e la mezzaluna, mentre all’inaugurazione del nuovo quartier generale Nato a Bruxelles sfoggiò il logo dell’Alleanza Atlantica all’altezza delle caviglie. Più scanzonata la scelta in occasione con i mismatched socks a tema Star Wars, con i droidi R2D2 in blu e grigio e C3PO in nero e oro, sfoggiati il 4 maggio, nella giornata mondiale dedicata a Guerre Stellari al grido di May the Fourth be with you. 

Proprio i calzini spaiati, oltre che una bandiera politica (e il soggetto di una meravigliosa canzone di Vinicio Capossela), sono negli ultimi anni diventati un manifesto sociale. Il 21 marzo, giornata dedicata a sensibilizzare sulla trisomia 21 è accompagnata ormai da un po’ da una campagna che invita tutti a indossare calzini spaiati, «per testimoniare l’unicità, la dignità e la bellezza di tutte le persone che hanno la sindrome di Down».  

Meglio ancora, poi, se quelle calze ai piedi possono diventare portatrici di felicità. Ne è convinto John Lee Cronin, poco più che ventenne ragazzo di New York con la sindrome di Down, che ha convinto papà Mark a darsi all’imprenditoria in tandem, lanciando un business che è anche qualcosa di più e ha conquistato gli Stati Uniti: il portale John’s Crazy Socks. Ne è nata un’amicizia con un fan inaspettato: l’ex presidente George W. H. Bush, che nella vecchiaia si era convertito al culto delle calze spiritose. Ed è a John che Bush senior si rivolse anche nell’ora del dolore, per onorare la moglie Barbara il giorno dei funerali, quando indossò delle calze a tema biblioteca, in memoria dell’impegno dell’ex first lady nella promozione dell’alfabetizzazione. 

L’assenza di gusto piombata negli ultimi quattro anni sulla Casa Bianca ha eclissato l’uso politico dei calzini dall’agenda sartoriale di Washington. A riportarla in auge ci ha pensato il solitamente trasandato e arruffato premier Boris Johnson, nella speranza di strappare un ambizioso accordo commerciale tra Stati Uniti e Regno Unito che colmi la distanza oceanica e allontani Londra dall’Europa continentale una volta per tutte: il manifatturiero britannico è tra i maggiori esportatori al mondo di calze, ma queste devono fare i conti con dazi del 19% all’ingresso negli Usa, s’è lamentato Johnson alla vigilia di un incontro con l’amico e collega di stile Donald Trump. 

Un consiglio non richiesto che inviti a tenere saldi gli occhi sul mercato europeo, dove è comunque commercializzata la metà della produzione britannica di calze? Non per Nigel Farage, ovviamente. Il leader del Brexit Party e alfiere dell’uscita di Londra dall’Unione europea foderò con la Union Jack caviglie e polpacci nel giorno in cui l’allora premier Theresa May notificò formalmente il recesso dall’Ue; stesso pattern delle calze che poco più di un anno dopo donò a favor di camera all’allora presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. 

E in Italia? Relativamente poca fantasia: al netto di spin-off giudiziari su note cromatiche (i cultori del genere ricorderanno il giudice civile milanese Raimondo Mesiano e le sue calze turchesi denunciate come stranezze dalle telecamere di Canale 5 ai tempi del lodo Mondadori), la linea attivista è difesa dal sindaco di Milano Beppe Sala, che l’anno scorso diede il benvenuto social al Gay Pride sfoggiando toni arcobaleno. Ma rimane memorabile sicuramente dalle parti del protocollo quirinalizio l’accostamento di Matteo Salvini, che per il giuramento da vicepremier del governo Conte 1 sfoggiò un classico modello Gallo a righe multicolor, goffamente abbinato a un abito scuro. 

Insomma, con un capo che mette d’accordo tutti, dagli europeisti ai Brexiteers, il Natale di ogni political nerd che si rispetti sembra aver trovato il suo regalo d’elezione. 

Ma attenzione al confine quasi impercettibile tra chi la politica la fa con i calzini e chi con i piedi. 

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