La lunga e complessa relazione tra il Regno Unito e l’Unione Europea avrà ufficialmente fine il 31 dicembre del 2020. In quella data, che giunge a quasi un anno di distanza dalla conferma della Brexit, le strade di Londra e Bruxelles si separeranno e scadrà l’accordo di transizione che tiene ancora legate le parti. L’esecutivo conservatore guidato dal premier inglese Boris Johnson guarda con una certa fiducia al 2021 che, nelle intenzioni del governo, sarà l’anno in cui il Regno Unito si riaffermerà come grande potenza commerciale sullo scenario globale. Johnson è convinto che l’Unione Europea inibisca le potenzialità del Regno Unito e che il Paese riuscirà a stipulare accordi commerciali bilaterali molto più convenienti in solitudine. Un’impresa difficile ma non impossibile.
Sino al 31 dicembre del 2020 il Regno Unito continuerà a essere parte degli accordi commerciali stipulati tra l’Unione Europea e i Paesi terzi. Dal primo gennaio del 2021, le intese non saranno più efficaci e Londra ha già stipulato alcuni nuovi accordi che entreranno in vigore a partire da quella data e che garantiranno la continuità delle attività commerciali delle imprese britanniche.
Tra i Paesi con cui è già stato raggiunto un accordo ci sono il Cile, la Corea del Sud, la Giordania, Israele, il Marocco, gli Stati insulari del Pacifico, la Tunisia, l’Ucraina, il Canada (almeno in linea di principio) e il Giappone. La firma dell’accordo di libero scambio con Tokyo ha avuto un’importanza particolare ed è stata definita come la prima intesa significativa siglata dal Regno Unito come nazione indipendente dal punto di vista commerciale. Il valore complessivo degli scambi commerciali tra le parti aveva raggiunto i 32 miliardi di euro nel 2018 e secondo Londra l’accordo lo potenzierà di altri 17 miliardi di euro.
L’intesa semplificherà le norme che consentono alle aziende britanniche di operare nel Paese del Sol Levante. Il Giappone attualmente esporta beni per un valore di 12 miliardi di dollari verso Londra (perlopiù nel settore automobilistico) e importa beni per un valore complessivo di 8 miliardi di euro (in particolare nel settore automobilistico e farmaceutico). Il nuovo accordo, secondo quanto riferito dall’Organizzazione indipendente di factchecking ingliese FullFacts.org, risulta migliore di quello stipulato tra Giappone e Unione Europea in settori come l’e-commerce e i servizi finanziari ma presenta anche debolezze in altri ambiti, come quello agricolo, che rischiano di mettere in condizione di svantaggio gli esportatori britannici.
Alla fine di novembre Boris Johnson ha ottenuto una vittoria significativa con la firma di un accordo commerciale, seppur provvisorio, con il Canada. L’Accordo di Continuità tra Londra e Ottawa comporta l’eliminazione dei dazi per il 98 per cento dei beni esportati tra i due Paesi e funge da apripista per nuovi negoziati che dovrebbero portare a un’intesa più ambiziosa e permanente e focalizzata su temi legati all’ecologismo e al commercio digitale.
Il Regno Unito è il quinto partner commerciale del Canada e gli scambi tra i due Paesi hanno raggiunto i 29 miliardi di dollari nel 2019. I negoziati su un accordo più specifico tra Canada e Regno Unito non saranno comunque facili dato che, in passato, ci sono voluti ben otto anni di trattative per finalizzare l’Accordo Economico e Commerciale Globale (CETA) tra Canada e Unione Europea. L’agricoltura e il settore dei servizi finanziari potrebbero rivelarsi ostacoli difficoltosi e servirà una certa dose di pazienza e la volontà di raggiungere alcuni compromessi per poter raggiungere e superare il traguardo finale.
«Il sogno del Partito Conservatore britannico sotto la leadership di Theresa May e in parte anche per quanto riguarda Boris Johnson» ha dichiarato Andrea Muratore, business Analyst presso la multinazionale di consulenza strategica Accenture, «è quello di riuscire a fare un grande accordo commerciale con le nazioni dell’Anglosfera, che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti e di istituire una sorta di area di libero scambio corrispondente ai territori del Commonwealth».
«La regionalizzazione degli accordi commerciali» prosegue Muratore «rende questa prospettiva difficile ed è più probabile che Londra continui ad avanzare stipulando accordi bilaterali e si rivelerà particolarmente importante il raggiungimento di un’intesa con l’Unione Europea».
Non è stato ancora raggiunto, a trenta giorni dall’uscita del Regno Unito dal mercato comune e dall’unione doganale europea, un accordo in ambito commerciale tra il Regno Unito e Bruxelles. I colloqui sono attualmente in fase di stallo a causa di alcuni disaccordi emersi nel settore della pesca (relativi all’accesso alle riserve situate nelle acque territoriali britanniche) e per quanto riguarda l’adozione di regole comuni in ambito commerciale. Il tempo sta scadendo dato che un’eventuale intesa dovrà essere ratificata tanto dal Parlamento britannico quanto da quello europeo.
Un eventuale no-deal, secondo quanto riferito dal sito Bloomberg Quint, potrebbe rivelarsi molto più dannoso per l’economia inglese dell’impatto economico generato dalla pandemia. L’assenza di un accordo potrebbe far contrarre il Prodotto Interno Lordo britannico del 7 per cento. Una prospettiva disarmante che rischia di affondare l’esecutivo di Boris Johnson e che dovrà essere disinnescata per evitare tragiche conseguenze. In assenza di accordo l’Unione Europea considererà il Regno Unito come un Paese terzo e ciò dovrebbe portare, almeno in una prima fase, all’introduzione di dazi doganali e di controlli ai confini. Le importazioni di beni comunitari potrebbero rivelarsi più costose a causa della presenza di dazi, di costi amministrativi e della svalutazione delle valute.
Il Regno Unito potrebbe scegliere di puntare tutto, in assenza di un accordo con Bruxelles, sugli Stati Uniti. Ma le notizie giunte da oltreoceano non sono rassicuranti. La vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali americane rischia di far sfumare la scadenza temporale, fissata a metà 2021, per il raggiungimento di un accordo commerciale con gli Stati Uniti. A pesare potrebbero essere in primis le divergenze ideologiche tra i due esecutivi e in seconda battuta le tempistiche estremamente ridotte.
Il rapporto speciale tra Londra e Washington rischia di deteriorarsi e la vittoria di Biden può isolare ancora di più Boris Johnson sullo scacchiere internazionale e di fomentare possibili dissidi all’interno della compagine parlamentare del Partito Conservatore. Il futuro, in parole povere, è ancora tutto da scrivere.