Tutto lascia pensare che il 7 gennaio gli studenti delle superiori resteranno a casa. Fallito il rientro in classe inizialmente fissato a dicembre, i riflettori sono ora puntati sui tavoli provinciali coordinati dai prefetti ai quali è affidato l’incarico di fare l’impossibile pur di riportare i ragazzi in aula alla ripresa delle attività didattiche.
Ad oggi, però, non esiste un piano dettagliato e condiviso per la riapertura. Questo doveva essere il tempo di approntare le soluzioni mentre siamo ancora nella fase del confronto e dei distinguo.
E così presidi, genitori, insegnanti e studenti sono molto preoccupati. E arrabbiati. Da Nord a Sud, da ogni parte piovono critiche e sul banco degli accusati finiscono, ancora una volta, la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina e l’intero governo. I nodi da sciogliere sono sempre gli stessi: orari di ingresso e di uscita scaglionati e potenziamento del trasporto pubblico locale. Di questo si discuteva ad aprile, di questo si discute oggi, a pochi giorni dal Santo Natale.
Al di là delle proposte che lasciano il tempo che trovano, esercizio nel quale si è distinta la ministra dei Trasporti Paola De Micheli con l’idea di mandare i ragazzi a scuola anche la domenica, chi ha voce in capitolo non solo mette le mani avanti ma di fatto suggerisce di prendere altro tempo. Sembra una rincorsa senza fine.
In Piemonte, per esempio, la scuola potrebbe riaprire non prima dell’11 gennaio, con il 50 per cento degli studenti in classe e non il 75 come si sperava. I presidi hanno bocciato l’ipotizzato piano di rientro della Regione Piemonte che prevedeva orari di ingresso alle 8 e alle 10. Come riferisce La Stampa, il prefetto del capoluogo piemontese Claudio Palomba, che coordina il Tavolo Trasporti, ha ammesso che «l’immediata attuazione del 75 per cento potrebbe causare criticità». Tradotto dal burocratese significa che non se ne farà niente.
Antonio De Nicola, dirigente scolastico dell’istituto Bosso-Monti di Torino ed esponente di punta dell’associazione nazionale presidi entra nel merito e spiega: «Per le scuole l’ipotesi del turno 10-16 non è mai stata praticabile. Pensare che un ragazzo arrivi a casa alle 17 -17,30, di fatto senza aver mangiato e che abbia poi l’energia per mettersi a studiare, non pare realistico».
Esattamente ciò che pensano non solo i capi d’istituto ma anche gli insegnanti, chiamati a partecipare, in questi giorni, alle riunioni del collegio docenti convocate in fretta e furia per permettere ai dirigenti scolastici di riferire gli esiti della discussione avviata con i tavoli prefettizi.
Sul fronte sanitario non va meglio e chi prende la parola dice chiaro e tondo che non siamo pronti. È il caso, tra i tanti, del direttore generale della Asl Napoli 2, Antonio D’Amore: «Resta un’imprudenza – afferma – riaprire il 7 gennaio, bisogna aspettare 20 giorni e far partire la campagna vaccinale dopo le feste. E’ così impellente aprire le scuole? Dateci il tempo di vedere se i comportamenti dopo le festività determinano una nuova curva epidemica».
C’è di più: una ricerca sulla diffusione dell’infezione da Covid-19, condotta da un gruppo di studiosi e pubblicata sulla rivista Eurosurvillance conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che le aule non sono un luogo sicuro: «La trasmissione all’interno delle scuole – evidenziano nel report i ricercatori che hanno preso in esame la provincia di Reggio Emilia – si è verificata in un numero non trascurabile di casi (in a non-negligible number of cases, scrivono) nella fascia di età tra 10 e 18 anni mentre non sono stati registrati casi importanti nella scuola dell’infanzia».
A fronte di questi numeri, la ministra dell’Istruzione Azzolina richiama tutti al senso di responsabilità: «Sarà un Natale diverso – ha detto la titolare del dicastero di viale Trastevere partecipando all’evento il Natale digitale del Ministero – ma dobbiamo essere ancora di più responsabili: abbiamo un dovere come paese, riaprire le scuole superiori. Più saremo responsabili e cauti durante le vacanze, più quell’obiettivo sarà realizzabile».
Ma non basterà il senso di responsabilità dei cittadini a riportare alla normalità il sistema scolastico.
Per i sindacati sono troppi gli errori commessi, troppo il ritardo accumulato in tutti questi mesi in cui non è stato fatto ciò che si doveva fare. Anche per l’organizzazione sindacale nella quale ha militato Lucia Azzolina sarebbe sbagliato riaprire il 7 gennaio perché, sostiene il presidente dell’Anief Marcello Pacifico, «regna tanta confusione, non si può essere pronti in questa situazione».
A suo parere, a partire dal 10 gennaio andrebbe reso obbligatorio uno screening con tampone per tutti gli 8 milioni di studenti e il milione e mezzo di personale, tra docenti e assistenti tecnici e amministrativi. Fatto questo, aggiunge il sindacalista, si potrebbe prevedere il rientro a scuola il 1° febbraio.
Categorico anche Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc-Cgil: «Da quando alcuni presidenti di Regione prima e il governo con un Dpcm poi, hanno deciso di fermare la scuola in presenza non è stato fatto abbastanza. Quindi più passano i giorni – osserva – e più quel 7 gennaio diventa una data improbabile, a meno che qualcuno non ci spieghi che le scuole, o per un calo generalizzato dei contagi o per accorgimenti nuovi che però noi non vediamo, possano riaprire in sicurezza».
Molto critica anche Maddalena Gissi, segretaria generale della Cisl-Scuola, che contesta anche l’approccio utilizzato dal governo per affrontare temi così importanti: «Non si può continuare ad affrontare questioni così complesse sfornando annunci e contro annunci, servono atti concreti e non slogan: tutti, in primo luogo la politica, siamo chiamati a dare prova di serietà e di responsabilità».
Tirando le somme, il 7 gennaio la condizione degli studenti impegnati con la didattica a distanza non cambierà. A meno di un miracolo, anche questa volta la profezia del rientro a scuola è destinata a non avverarsi.