La Svezia ha gestito l’emergenza sanitaria determinata dalla pandemia del virus SARS-CoV-2 in maniera molto diversa da altre nazioni. Nel Paese scandinavo non è mai stato imposto alcun lockdown, negozi, bar e ristoranti sono sempre rimasti aperti così come le palestre e le piscine. L’uso dei dispositivi di protezione personale, in primis le mascherine, non è mai stato reso obbligatorio in alcun luogo pubblico e il governo ha fatto affidamento sul senso di responsabilità dei cittadini nel seguire le raccomandazioni dell’Agenzia di Sanità Pubblica in merito al distanziamento sociale e alla necessità di evitare assembramenti.
Anche in Svizzera l’atteggiamento del governo non è stato molto diverso e il Paese ha cercato di evitare la chiusura totale del sistema produttivo puntando a limitare quanto più possibile la pandemia. Qualcosa, però, è andato storto. La seconda ondata della pandemia ha travolto la Svezia. Il tasso di infezioni è aumentato a partire dalla fine di ottobre e anche il numero di decessi è cresciuto in maniera preoccupante. Nel giro di un mese il sistema ospedaliero è entrato in crisi e poco prima della metà di dicembre il 99 per cento dei posti in letto in terapia intensiva, nella capitale, era occupato da malati Covid.
Il Re Carlo XVI Gustavo ha dichiarato che il Paese ha fallito nella sua risposta al Covid e il governo ha introdotto, il 18 dicembre, delle misure restrittive relativamente pesanti per lo standard svedese come la chiusura di tutti i luoghi pubblici non essenziali, come palestre, piscine e musei.
In Svizzera il governo ha deciso di chiudere tutti i bar, i ristoranti e i centri sportivi a partire dal 22 dicembre mentre i negozi al dettaglio dovranno cessare le proprie attività a partire dalle sette di sera e restare chiusi durante le domeniche e i festivi. I cantoni (la Svizzera è una repubblica federale) dovranno decidere se chiudere o meno gli impianti sciistici. Una delle associazioni mediche svizzera aveva lanciato, alla metà di novembre, un vero e proprio allarme in merito alla saturazione delle terapie intensive nel Paese e solamente l’intervento dell’esercito e la creazione di nuovi posti letto aveva salvato la nazione dal collasso.
In Svezia, secondo l’ultimo aggiornamento dei dati pubblicati dal Centro Europeo per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie, il tasso di incidenza del Covid-19 è pari ad 878 casi per 100mila abitanti negli ultimi quattordici giorni. Stoccolma si piazza così ai primi posti in Europa per quanto concerne l’incidenza della malattia e supera di gran lunga nazioni come Regno Unito (475 casi per 100mila abitanti), Francia (269 casi per 100mila abitanti) e Italia (371 casi per 100mila abitanti). In Svizzera il tasso di incidenza è di 661 casi per 100mila abitanti ed è sostanzialmente stabile da settimane. Una stabilità che però preoccupa dato che il trend, per diventare sostenibile, dovrebbe essere in diminuzione.
Non tutto quello che è stato fatto in Svezia è stato, però, da buttare via. Buona parte della popolazione svedese ha rispettato e continua a rispettare le indicazioni anti-contagio che provengono dalle agenzie governative. Si tratta di una relazione, quella tra Stato e individuo, che tende alla responsabilizzazione di quest’ultimo e che induce benefici di natura psicologica. Ogni cittadino può scegliere come comportarsi nella consapevolezza di quale è il bene ultimo, cioè la tutela della comunità.
L’esecutivo svedese non considera il cittadino come un bambino da educare e a differenza di quanto accaduto in Italia non impone regole o regolamenti bizantini per controllare ogni aspetto della vita sociale. In questo modo si possono preservare le relazioni più basiche e un discreto livello di salute mentale.
L’assenza di chiusure generalizzate di intere categorie commerciali ha inoltre evitato fallimenti di massa, crisi di settore e licenziamenti su larga scala consentendo a tutti di poter continuare a lavorare e di poter sopravvivere grazie alle proprie forze. Le stime della crescita economica nel 2020 non erano così negative e indicavano che il prodotto Interno Lordo sarebbe calato di in un -5,3 per cento su base annua. La Svezia ha inoltre potuto beneficiare di alcuni vantaggi quasi unici e relativi all’organizzazione sociale interna. In molti vivono da soli e ciò consente una maggiore facilità nell’evitare che le diverse classi di età entrino in contatto tra loro, inoltre lo smart working è già la norma per un certo numero di lavoratori del Paese.
Le autorità hanno, però, commesso alcuni gravi errori nell’affrontare la pandemia. Le mascherine facciali sono state considerate, anche dagli esperti in materia, come poco utili nel prevenire la diffusione del contagio. Secondo Anders Tegnell contribuirebbero a creare una sensazione di sicurezza fallace e più in generale è stato dato molto risalto al distanziamento sociale piuttosto che all’uso delle mascherine. Una strategia, quest’ultima, che poteva rivelarsi vincente nei caldi mesi estivi quando buona parte della vita sociale si svolgeva all’aria aperta. L’uso delle mascherine facciali negli spazi chiusi è di fondamentale importanza, come dimostrato da numerose ricerche, e questa carenza ha sicuramente influito sull’aumento di casi di Covid-19 nelle ultime settimane.
La tutela della salute delle persone più anziane, nello specifico di coloro che si trovano nelle case di riposo, è stata estremamente deficitaria. La metà delle 6400 persone che hanno perso la vita a causa del Covid-19 era ospite di una casa di riposo e secondo quanto riferito dall’Ispettorato per la Salute ed i Servizi Sociali alcune di loro sarebbero morte senza ricevere nemmeno una visita medica. Le visite da parte dei parenti sono state vietate, nel corso della prima ondata, solamente a partire dal primo aprile e il divieto è stato poi rimosso il primo ottobre. Una leggerezza imperdonabile che ha contribuito a riportare il virus in circolazione proprio dove non avrebbe dovuto.
La Svizzera ha risentito, a lungo andare, della propria posizione geografica e del fatto di essere uno dei più importanti crocevia d’Europa. I grandi flussi commerciali e di persone che attraversano questo Stato hanno favorito una maggiore diffusione del virus ed un continuo rimescolamento delle carte in ambito epidemiologico che non ha giovato. Il contact tracing non è stato praticato con la necessaria scrupolosità e ciò ha favorito il proliferare incontrollato delle catene di contagio a livello territoriale.
La decisione di lasciare aperti gli impianti di risalita nel corso delle festività ha creato, per alcune settimane, una forte tensione con i Paesi vicini come Italia e Francia, oltre a portare a un più generale irrigidimento delle relazioni con l’Unione Europea. L’assenza di cooperazione con Bruxelles non ha aiutato così come non si è rivelato benefico, nel medio periodo, l’essere al di fuori di un’importante organizzazione internazionale. A fiaccare gli sforzi della Svezia e della Svizzera è stata, infine, la covid fatigue, la forte stanchezza che si è sviluppata negli individui a causa del prolungarsi delle restrizioni sociali. L’abitudine a ubbidire a norme pesantemente restrittive si è rivelata difficile da sostenere, nel lungo termine, in quei luoghi dove le libertà individuali sono tutelate e strutturate da secoli.