Il tenero CarloCalenda non sa che “I promessi sposi” li ha scritti Mastella (per non parlare della bufala)

Il leader di Azione ha svelato su Twitter le profferte telefoniche del sindaco di Benevento. Ma, come Renzi, dimentica che fin dai tempi del Manzoni, l’italiano adulto non ama chi alla mattina gli scosta il piumone e gli dice «su, alzati che è tardi»

Marco Merlini / LaPresse

Ognuno ha il suo punto di rottura, e per Filippo Ceccarelli fu la bufala. In quella summa del Novecento e dei suoi strascichi che è “Invano” (pubblicato da Feltrinelli), Ceccarelli ricostruiva un giorno in cui, durante il secondo governo Prodi, il suo giornale l’aveva mandato a seguire un vertice di maggioranza che si teneva nelle stanze dell’Udeur, il partitino di Mastella.

«Fu dunque là sotto che avvertii qualcosa che non andava, in mezzo ai colleghi, ai carabinieri con mitra e giubbotto antiproiettile, agli autisti e alle auto blindate […]. Un tombino esalava miasmi […]. Non c’era partito, grande o piccolo, che non avesse smanie, recriminazioni, casini e fratture al suo interno, e questo aggravio di impicci ognuno dei trenta e più partecipanti si portava dietro in queste riunioni il cui afflusso sembrava non finire mai. “So’ saliti tutti?” chiedeva con la radiolina il poliziotto di guardia al portone. “No, ne aspettamo un altro” gracchiava al medesimo apparecchio la voce di quello al piano […]. Ecco che la piccola folla di reporter e affini vide procedere verso di essa, con andatura lenta, un furgone bianco dal bagagliaio del quale, a ridosso del palazzo, alcuni addetti aiutati dal portiere cominciarono a scaricare delle grandi scatole di mozzarelle, omaggio di Mastella al centrosinistra riunito. Be’, io sarò pure troppo delicato, e le mie turbe del tutto irrilevanti, ma nell’immaginare tutti quei politici che con piatti e posate di plastica a un’ora incongrua affrontavano i problemi dell’alleanza e insieme le mozzarelle, ecco che un disagio mi prese allo stomaco, e poi anche un po’ alla testa».

Ecco: Carlo Calenda è troppo delicato. Ho pensato a Ceccarelli sabato, mentre su Twitter, comme d’habitude, Calenda baccagliava. A questo giro con gente più o meno seccata che l’animo delicato avesse, ohibò, svelato una telefonata di Clemente Mastella così riassumibile: tu dai l’appoggio governativo a noi, noi non candidiamo a sindaco di Roma un altro contro di te.

Calenda ne era indignato: che turpitudine, il mercimonio elettorale, che scandalo, il traffico delle influenze. Era così preso dal disagio allo stomaco e alla testa – e senza neanche aver saggiato la freschezza delle bufale – che, dopo averci riflettuto ventiquattr’ore, ha reso pubblica la telefonata di Mastella. Qualcuno su Twitter ha scritto che nessuno mai più farà una proposta politica a Calenda, rischiando lo sputtanamento.

Nessuno, almeno tra le reazioni che ho letto io, ha fatto notare quanto svelare in pubblico un’offerta di trattativa privata stesse tra il sedicenne duro e puro da assemblea d’istituto, il Grillo del periodo Vaffanculo (quello convinto che tutto dovesse essere trasparente e in streaming e aperto come una scatoletta di tonno), e certe trasmissioni con pretese giornalistiche le cui interviste sono fatte fingendo di tenere la telecamera spenta.

D’altra parte Calenda è relativamente nuovo del mestiere (diversamente da Mastella; ma Calenda non è il genere d’uomo che si faccia venire il dubbio: come mai questo qui dura da decenni?), e forse non gli è ancora ben chiara la società in cui si muove. Il paese di Manzoni, di Tomasi di Lampedusa, e di De André.

Calenda, come prima di lui Matteo Renzi, è convinto di poter acquisire consenso invocando la modernizzazione, l’efficienza, l’eccellenza; e con queste idee si candida a sindaco nella città che ambisce a un posto in un ministero ed è virtuosa del parcheggio in terza fila. Come si fa a non provare tenerezza per lui. Per lui che ha dimenticato quella descrizione che pittava l’Italia in Don Raffae’: «Prima pagina: venti notizie, ventuno ingiustizie, e lo Stato che fa? Si costerna s’indigna s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità». Calenda è ancora alla fase «s’impegna», tenerello.

Calenda, identico anche in questo a Renzi (tutti e due, leggendo qui, staranno dicendo «Non mi somiglia per niente» come Johnny Stecchino guardando sé stesso in televisione), non si fa una ragione del fatto che il mondo si è accomodato in una cialtroneria globale, la romanità ha vinto (andrebbe segnata come principale voce d’esportazione italiana, altro che moda e design), e tutti vogliono sussidi prebende e regalìe: nessuno vuole efficienza e modernizzazione (e ognuno pensa che inefficienti e pesi morti siano semmai gli altri).

Non si pone il dubbio che, se la percentuale dell’elettorato disposta a votare per lui è quella della lana vergine che c’è nei golf di acrilico comprati al mercato, non è perché sbaglia la comunicazione (la grande scusa di tutto ciò che, comunicato per ciò che è, non riscontra consenso).

È perché quello che ti apre la finestra alle sette d’una mattina d’inverno – e ti scansa il piumone e ti dice che se non ti sbrighi non fai colazione e devi ancora ripetere il capitolo di storia – sta sui coglioni, all’italiano adulto, tanto quanto gli stava sul cazzo a sedici anni, quando voleva dormire ancora cinque minuti o magari saltare la lezione con la scusa del mal di pancia. L’italiano adulto può finalmente scegliersi i genitori, e di certo non sceglierà quelli che gli dicono «non hai niente, smettila di frignare e fila a fare il tuo dovere», impedendogli di fare quel che gli pare tutto l’anno tanto poi a giugno c’è sempre quel mezzo miracolo per cui viene promosso; quel mezzo miracolo cui, se solo avesse fatto meno assenze a scuola, saprebbe dare un nome.

Calenda che apre un fronte di guerra con Mastella pone due domande. La prima è chi diavolo glielo faccia fare (secondo me è che si annoia, mi sbaglierò: polemizzare è la sua droga). La seconda è: Mastella (cito sempre da Invano) non è solo è quello che, da giovane, «ebbe l’astuta ingenuità di pubblicare un diario in cui raccontava la cura con cui intesseva relazioni politiche e gestiva le pratiche clientelari del suo collegio elettorale, comprese le raccomandazioni per far promuovere gli scolari somari»; è anche colui che da adulto, sempre in tema di raccomandazioni, ha pronunciato parole che il principe di Salina non avrebbe saputo comporre meglio.

Le raccomandazioni per Mastella sono, riporta Ceccarelli, «come un sacramento, al Sud sono servite a salvare la democrazia. Non le considero immorali, ma una pratica onesta se segnala un talento e una virtù. Ho raccomandato portantini, invalidi, funzionari pubblici. Sono stato un missionario in un ospedale da campo. Ho solo esercitato la Provvidenza». Tra uno così e uno che dice loro di studiare, sbattersi, conquistare con le loro forze ciò che vogliono, gli italiani chi preferiranno?

Se Calenda, come nei quiz televisivi, dovesse chiedere l’aiuto da casa, potete suggerirgli che il romanzo che tutti gli italiani hanno avuto in programma a scuola l’ha scritto un certo Alessandro Manzoni, e le sue vicende venivano risolte da un marchingegno narrativo mastelliano. No, non la bufala: la divina provvidenza.

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