L’operazione Conte non ha funzionato. Da Palazzo Madama ieri sera è uscito un governo già vecchio, malandato, incespicante su numerini che lo inchiodano a essere minoranza al Senato: il Conte 2 bis, o Conte bis bis, ha incassato la fiducia con soli 156 voti (contrari 140): è pienamente legittimo ma è fragile come un vetro di Murano. La crisi formale forse è chiusa, politicamente no.
Matteo Renzi se n’è andato dopo l’ultima intemerata al Senato (tra l’altro rivelando che Conte gli aveva chiesto se volesse un incarico internazionale) ma alla fine non ha ottenuto un governo forte né la testa dell’avvocato: Conte è sempre a Palazzo Chigi con un governo più debole. Qualcosa non ha quadrato.
La riflessione futura del diretto interessato aiuterà a fare luce su questa pagina chiara e strana allo stesso tempo: chiara perché le ragioni del dissenso c’erano tutte, strana per il suo esito politicamente non limpidissimo: non solo mancano i numeri al Senato, ma il governo ha solo messo insieme una somma di voti improvvisata e puramente aritmetica che non garantisce quella forza politica necessaria in una fase eccezionale come questa.
È arrivato anche l’aiutino del Cavaliere (2 voti: Andrea Causin e Maria Rosaria Rossi, l’ex assistente di Silvio soprannominata per questo «la badante di Berlusconi»), tre senatori a vita – fra cui Liliana Segre – poi la farsa dei senatori Ciampolillo e Nencini che non fanno in tempo a votare ma vengono riammessi dopo una “var” visionato dai questori del Senato. Di fatto i renziani hanno salvato il governo che pure avevano bombardato, astenendosi. Meglio un governo debole che nessun governo?
Se vogliamo dire così, il Conte 2 bis – tanto più se riuscirà nell’intento di restaurare il proporzionale – esordisce con frammentazione, personalismi, particolarismi, localismi e parzialità, una “coriandolizzazione” di una politica senza ordine. Insomma, avremo sempre più la saldatura dei difetti della Prima con quelli della Seconda Repubblica. Come si è visto in queste ore.
Non ci sono state trattative tra partiti, e nemmeno tra gruppi o sottogruppi, ma adescamenti personali alla caccia di un voto singolo da sommare ad altri voti singoli: ed è entrato in ballo di tutto, promessa di posti, soprattutto di rielezioni future, tralasciando qui i gossip da rotocalco che pure hanno tenuto banco.
Lo spettacolo è stato abbastanza deprimente, un caleidoscopio di frasi fatte – e spesso fatte male -, molta propaganda, cadute di stile. Giuseppe Conte non ha volato nemmeno a Palazzo Madama, essendo la sua unica preoccupazione (non solo sua, va detto) il pallottoliere impazzito come se si fosse ai “Pacchi” o del vecchio gioco dei fagioli di “Pronto Raffaella”, con senatori di una certa età sudaticci a cercare altri senatori spaesati per convincerli a votare per Conte, hai visto mai. Non è qualunquismo. È la fotografia di una politica colta nell’attimo del suo massimo smarrimento, del suo accartocciarsi su convenienze, posizionamenti e chance di sopravvivenza, della costruzione di sceneggiature buone per l’audience a partire da quella del match fra Conte e Renzi come fosse Alì contro Foreman.
E dunque in questi due giorni si è vista la politica come doveva essere nel 1910 o ancora prima, tanto che mai come in questo dibattito il nome di Agostino Depretis era risuonato tante volte ma invece il trasformismo di Conte è un’altra cosa: l’annegamento delle ragioni della politica nello stagno delle convenienze personali. Uno vale l’altro, fase suprema dell’uno vale uno.
Sotto i calcinacci di questo piccolo terremoto di gennaio restano un po’ tutti. Il presidente del Consiglio rischia di avere difficoltà insormontabili, Renzi deve darsi una linea più chiara, la destra non sa bene che dire, il Movimento cinque stelle ormai non si occupa di politica più di tanto. E il Partito democratico? Il Partito democratico saluta l’odiato Renzi e osserva un premier più debole di prima. Ma non ha più scuse: se il Conte bis bis naufragasse la colpa principale sarà stata soprattutto sua. Qualcosa dovrà inventarsi. Ma ieri sera non c’era nessuna bottiglia da stappare, al Nazareno.