Grammatica della crisiConte al Colle, poi un nuovo gruppo e il rimpasto

Sale il pressing del Movimento Cinque Stelle e Pd per le dimissioni e un terzo mandato. Ma il premier resiste: sì alla distribuzione dei nuovi ministeri ai responsabili, ma no al governo ter. Il Senato però al momento è ingovernabile nelle commissioni. Intanto oggi si vota il nuovo scostamento di bilancio

Foto Mauro Scrobogna / LaPresse

Dopo la fiducia al photofinish ottenuta in Senato, già oggi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dovrebbe salire al Quirinale. Ma non per dimettersi, come vorrebbero Partito democratico e Movimento Cinque Stelle nell’ottica di battezzare formalmente il nuovo inizio con i responsabili.

Conte prende tempo – come scrive La Stampa. E gli viene in aiuto il quinti decreto ristori che il Consiglio dei ministri dovrebbe licenziare entro questo fine settimana. Da Palazzo Chigi parlano di almeno dieci giorni, se non due settimane, per mettere un punto ai negoziati con i nuovi costruttori.

Ma – come spiega Repubblica – il piano di Conte non può comunque prescindere da un passaggio fondamentale: deve nascere, e in fretta, il gruppo centrista al Senato. Alla Camera è solo questione di giorni: Bruno Tabacci ha radunato i disponibili.

Non è un problema solo estetico. È anche e soprattutto una questione di governabilità: soltanto con la costituzione di un gruppo si potranno riequilibrare a favore dei giallorossi le commissioni parlamentari del Senato. Senza il sostegno di Italia Viva, alcune sono in mano alle opposizioni. Due, in particolare, preoccupano: Bilancio e Affari costituzionali. Nella prima deve tra l’altro transitare il Recovery Plan, nella seconda la riforma della legge elettorale in senso proporzionale.

Nel frattempo, sarà anche stilato un patto di legislatura, fissando tre o quattro riforme chiave per gli ultimi due anni di legislatura. Ai primi posti quella fiscale e la legge elettorale.

Soltanto in seguito, e quindi non prima di febbraio, si aprirebbe la partita del rimpasto di governo. Rimpasto e non Conte ter, perché Conte non intende dimettersi. A sconsigliare il passo indietro c’è innanzitutto la necessità di evitare la liturgia della crisi formale. E per di più, si preferisce non certificare con enfasi il passaggio dei responsabili, che Palazzo Chigi e il Pd sperano invece di far dimenticare presto.

Meglio, quindi, muoversi con interventi mirati, sfruttando i posti lasciati liberi da Italia Viva. Magari allargando la compagine da 60 a 65 posti, con un decreto che verrebbe motivato dalla necessità di introdurre il sottosegretario ai Servizi. La Stampa parla addirittura della possibilità di arrivare a 70 incarichi in totale tra ministri e sottosegretari.

Per Andrea Orlando del Pd si ipotizzano due caselle: Interno o Giustizia, in questo secondo caso dirottando Alfonso Bonafede ai Servizi. E poi c’è l’Agricoltura, già promessa all’Udc se riterrà di entrare in maggioranza con i suoi tre senatori. Ballano poi il ministero della Famiglia e un posto da sottosegretario agli Esteri. Di due ministeri Conte avrà bisogno per accontentare i costruttori che hanno ceduto al suo appello o si faranno avanti nei prossimi giorni. Di sicuro, uno andrà al gruppo di Bruno Tabacci alla Camera. Un altro a Riccardo Nencini, che ieri ha strappato con Italia Viva alla seconda chiama.

Senza dimenticare anche l’ipotesi di sdoppiare qualche ministero, ad esempio Infrastrutture e Trasporti, ma anche Rapporti con il Parlamento e Riforme, Cultura e Turismo e Sport e Giovani. Sono poltrone in più che serviranno per i nuovi equilibri. Intanto oggi c’è lo scostamento di bilancio da approvare. E Conte prende tempo.

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