La Scilipoti week è cominciata. Giuseppe Conte è andato al Quirinale a ribadire che non rinuncerà al biglietto della lotteria vinto nel 2018 né alla congiunzione astrale che l’ha incomprensibilmente tenuto a Palazzo Chigi col cambio di maggioranza del 2019. Conte cercherà deputati e senatori responsabili, responsabilissimi, almeno quanto i colleghi americani che pochi mesi fa hanno preferito non rimuovere Trump dalla Casa Bianca per non interrompere l’emozione del Cialtrone in Chief al governo, con i risultati ormai noti.
Conte ha tutto il diritto di provare a compensare l’uscita di Italia Viva dalla maggioranza, pescando altre risorse dentro le Camere, perché siamo una democrazia parlamentare da oltre 70 anni, quindi lo eravamo anche tre anni fa quando Conte e associati volevano scardinarla come una scatoletta di tonno al modo degli ubriachi con le corna di Capitol Hill, e sostituirla con un clic su Rousseau, con i contratti di Casaleggio e con il vincolo di mandato (tutto anticostituzionale, anzi eversivo, ma vuoi mettere con l’Air Force Renzi e il Giglio magico?).
Ma, appunto, sono passati alcuni anni dagli assedi al Parlamento, dalla marcia su Roma, dall’occupazione dei tetti di Montecitorio, dalle accuse di golpe ancora più campate in aria di quelle trumpiane. Anni durante i quali il casaleggismo di Conte, dopo un solido passaggio sovranista e trumpiano, oltre che putiniano e cinese, a completare un grande slam dell’autoritarismo, si è evoluto fino a ricevere l’incoronazione surreale di Nicola Zingaretti quale leader fortissimo di tutti i progressisti.
Conte è Conte, ma lo spettacolo indecoroso cui stiamo assistendo in questi giorni è quello del mondo politico, giornalistico e tuittarolo impegnato a manganellare Matteo Renzi da sinistra a destra, dall’alto e dal basso, coadiuvato dai volenterosi carnefici di Casalino che sono arrivati ad accusare l’ex segretario del Pd di tradimento della patria e di comportamento anti italiano, e a lodare la «dignità e l’onore» di Giuseppe Conte con un linguaggio a metà strada tra Ordine Nuovo e un cattivo doppiaggio di serie televisiva americana.
Una resa miserabile allo squadrismo digitale di Casalino, propalato pure dai canali ufficiali del Presidente del Consiglio, salvo poi dare la colpa non ricordo se ai minacciosi hacker o al gatto che si è mangiato il compito. Tutto da manuale del perfetto maoista digitale e senza spendere una parola su un governo imbarazzante che ci ha regalato la doppietta del primo posto al mondo per morti da Covid e per decrescita economica, quest’ultima, in effetti, una promessa elettorale mantenuta da Di Maio, sia pure senza cenni nemmeno impercettibili di felicità.
A proposito di Felice, inteso Emanuele, responsabile economico del Pd, l’altro giorno ha impiegato quattro tweet per negare, peraltro timidamente, di considerare Hillary Clinton, la candidata sconfitta da Donald Trump nel 2016, un’avversaria del mondo progressista, a fronte invece di una comprensione civile per le ragioni dell’elettorato trumpiano rappresentato da Jake Angeli e dalle sue corna suprematiste lanciate all’assalto del Congresso. Per questi intellettuali progressisti, gli avversari sono Clinton, Blair, Macron, appunto Renzi e il neoliberismo che si è appropriato della sinistra, molto più di quanto lo siano Trump e Di Battista.
Non sono interessati ad altro che a sconfiggere i “neoliberisti”, l’ingiuria definitiva, come da tradizione marxista per cui il nemico è sempre il vicino riformista perché è così legato al sistema capitalistico da risultare indistinguibile dai liberali. Ma con Felice e compagnia siamo in zona Gennarino Carunchio più che Karl Marx, il personaggio interpretato da Giancarlo Giannini in ”Travolti da un insolito destino” che alla padrona bene intenzionata e di larghe vedute, Mariangela Melato, dava di «bottana socialdemocratica».
Il Pd per fortuna non è solo questo, può contare su componenti serie e non complici, anche se minoritarie e troppo gregarie: c’è l’ala europeista e di governo di Paolo Gentiloni, con Enzo Amendola, Lia Quartapelle e Filippo Sensi e molti altri, ci sono numerosi ex renziani come il ministro Lorenzo Guerini e Tommaso Nannicini, c’è l’ala di Matteo Orfini, quella concreta dei sindaci e degli amministratori locali come Giorgio Gori, Stefano Bonaccini e Beppe Sala.
Insomma, non sono tutti impegnati a colpire il nemico prossimo e a restare in silenzio davanti agli incapaci di tracciare e di tamponare, i quali un anno dopo lo scoppio della pandemia – presi di sorpresa dalla seconda ondata e anche dalla terza che si sono già giocati come jolly per giustificare i prossimi fallimenti – non hanno ancora avviato la campagna nazionale di vaccinazione, sprecando tempo a discutere di strutture avveniristiche a forma di primula da costruire nelle principali piazze italiane, probabilmente dopo l’inaugurazione del Ponte di Messina.
Ma prima o poi gli adulti del Pd dovranno prendere l’iniziativa politica sul piano di recovery che così come è stato fatto, con le tante mance e i pochi investimenti, è possibile che venga rigettato dalle istituzioni europee che giustamente pretendono progetti strategici e non bonus. Prima o poi dovranno dire che Conte, Casalino e i loro facilitatori non solo hanno dimostrato di essere i peggiori difensori del mondo di fronte all’attacco del virus, ma anche di essere gli irresponsabili che non ricostruiscono il sistema sanitario con i soldi del Mes per accomodare le idiozie sovraniste dei Cinquestelle e non programmano lo sviluppo economico dei prossimi anni con i miliardi che le istituzioni europee sarebbero pronte a versarci in rate semestrali, se solo avessimo un governo in grado prima di chiederglieli e poi di non sprecarli.
La crisi probabilmente si concluderà con un Conte due bis, un trattamento più duro del 41 bis che finirà per consegnare l’Italia al Jake Angeli del Papeete se gli adulti delle istituzioni non affronteranno in modo serio la stagione dei vaccini e della ricostruzione. L’esito responsabile della crisi, dunque, è uno solo: un patto di legislatura tra le forze politiche europeiste per un governo senza Conte e Casalino.