L’uso dello storytelling e, quindi, della narrazione di storie, eventi e casi è uno dei modi più efficaci per creare un picco di attenzione, perché il racconto come strumento di trasmissione del sapere occupa una parte importante nella storia dell’evoluzione dell’uomo, sia come specie, sia come singolo individuo.
Fin dagli albori della civiltà, la specie umana ha utilizzato la narrazione come strumento per il trasferimento di esperienze e di conoscenza, prima ancora di raggiungere quel livello di astrazione che consente di indurre dalle esperienze dei modelli trasmissibili. Inoltre, quello della narrazione è uno degli strumenti più usati anche per l’educazione e la crescita del singolo individuo. Basti pensare alla tradizione delle favole, che, attraverso il racconto, veicolano una morale e un messaggio significativi per il bambino che ascolta.
Il filosofo Walter Fisher ha proposto una teoria, che ha chiamato “Paradigma narrativo”, secondo la quale ogni comunicazione di senso è una forma di narrazione e gli esseri umani fanno esperienza della loro stessa vita come un procedere narrativo di eventi, con tutte le caratteristiche di una storia (un inizio, una fine, dei conflitti, dei personaggi, una trama). Di conseguenza, la forma più efficace di comunicazione di significati è quella del narrare.
Il modo, per esempio, con cui le persone spiegano e giustificano i loro comportamenti ha più a che vedere con il raccontare storie credibili che con il mostrare prove o con il costruire argomentazioni logiche.
Gli esseri umani, quindi, non prenderebbero le loro decisioni (come postulano alcune teorie classiche sul decision making) con una logica guidata dalle prove e dai fatti, ma piuttosto sulla base di narrazioni che ritengono credibili.
Più recentemente, Jonathan Gottschall, nel suo libro L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno resi umani, ha affermato che nessun altro essere vivente dipende dalla narrazione quanto l’essere umano: saremmo, quindi, veri e propri «storytelling animal».
Il ruolo centrale della narrazione nell’esistenza umana deriverebbe da alcuni vantaggi che la nostra specie trae dalla capacità di creare e abitare mondi fantastici: ascoltando e raccontando storie i bambini apprendono come organizzare e gestire i rapporti sociali, gli adulti esplorano mondi e possibilità alternative senza il rischio di doverle sperimentare in prima persona, accumulando così conoscenze che derivano dal sommarsi delle esperienze di diverse persone e diverse generazioni.
La capacità di narrare sarebbe uno dei tratti distintivi della nostra specie e una delle ragioni del suo successo evolutivo.
Secondo queste teorie, fa parte del nostro bagaglio profondo il fatto che, quando sentiamo la fatidica frase «C’era una volta…», o una qualsiasi altra variante che indica l’inizio di un processo narrativo, la nostra attenzione sia immediatamente catturata dall’aspettativa che la narrazione stessa porti con sé un messaggio potenzialmente importante per il nostro apprendimento e, in ultima analisi, per la nostra sopravvivenza.
La narrazione, quindi, è uno strumento efficace di creazione di un picco di attenzione proprio perché prescinde dalle condizioni indispensabili affinché funzionino le prime due modalità (la richiesta diretta e l’ancoraggio).
Non c’è, infatti, bisogno che il pubblico condivida l’obiettivo e non sia affaticato perché l’inizio di una storia attragga l’attenzione.
Anche Malcolm Gladwell ha fatto ampio uso di narrazioni nello speech per il The New Yorker Festival (in realtà, tutto il lavoro di Gladwell, sia come speaker sia come saggista, si basa su un uso di narrazioni diffuso, sapiente, abile e tecnicamente molto raffinato).
Nel discorso in questione, in particolare, è presente una storia-guida che impronta tutta la trattazione: la storia di Elisabeth Thompson, la cui evoluzione introduce i diversi concetti che Gladwell ha voluto esprimere (si tratta anche della storia annunciata come uno dei tre punti chiave all’inizio). Insieme a questa vengono utilizzate alcune altre narrazioni più o meno importanti a corroborare l’esposizione di ogni punto: la storia dell’ex Primo Ministro d’Australia Julia Gillard e la storia del gerarca nazista Adolf Eichmann, solo per fare due esempi.
Strumento molto potente, dunque, che, però, porta con sé alcuni rischi, legati a filo doppio alla sua efficacia: proprio il fatto che la narrazione come strumento di trasmissione del sapere abbia radici così profonde nel modo con cui gli esseri umani interagiscono porta come conseguenza che, da parte del pubblico, si alzino le aspettative sull’efficacia e sull’incisività dello speaker nel momento in cui sceglie di raccontare una storia. Ecco perché è bene conoscere alcune tecniche di base sull’uso della narrazione nel public speaking.
L’obiettivo, qui, non è quello di analizzare in maniera dettagliata le strategie dello storytelling: molti altri autori hanno svolto egregiamente questo compito, ma è utile trasferire alcune tecniche espositive di facile apprendimento, che consentano di massimizzare l’impatto potenziale della narrazione.
Prima una precisazione: usare la narrazione come strumento per la creazione di un picco di attenzione, e, quindi, come asse di una strategia di comunicazione in pubblico non significa affatto dover raccontare per forza storie epiche, importanti, impegnative.
Ogni volta che, all’interno del nostro discorso, fanno la loro comparsa dei personaggi e una trama, quella è già narrazione, per lo meno nel senso in cui intendiamo il termine in questo contesto.
Esempi di narrazione sono, quindi:
• l’esposizione di un caso di successo (o, al contrario, di insuccesso);
• una storia che esemplifichi un concetto o un modello;
• il racconto di un episodio realmente accaduto o di fantasia.
Ogni occasione, insomma, in cui uno o più personaggi sviluppano una serie di azioni e di interazioni che diventano una trama.
Sulla base dell’osservazione di molti speaker che hanno utilizzato la narrazione come strumento per creare picchi di attenzione, ho individuato tre piccoli trucchi che rappresentano un buon inizio per migliorare la propria tecnica narrativa davanti a un pubblico:
• costruire una struttura dinamica tra narrazione e messaggio;
• prendersi il gusto di raccontare;
• costruire uno sbilanciamento tra peso della storia e importanza del messaggio.
da “Il design delle idee. Progettare discorsi e presentazioni”, di Luca Baiguini, Egea editore, 2021, pagine 208, euro 25